domenica 3 marzo 2019

Lo straniero

Lo straniero, Albert Camus
Straniero alla vita, al mondo, a se stesso.
Apatico, disilluso, indifferente, anaffettivo, emotivamente vuoto, senz'anima, Meursault è un modesto impiegato che vive e lavora ad Algeri.
Nella prima parte del romanzo con una scrittura asciutta ed essenziale, seguiamo il susseguirsi lento e monotono delle sue giornate.
Partecipa al funerale della madre di cui non ricorda nemmeno l'età precisa, impassibile, distaccato, annoiato, infastidito dal caldo opprimente, ha fame, è stanco, desidera soltanto dormire, è finalmente sollevato quando tutto finisce.
L'incontro casuale con Marie, sua ex collega di lavoro, passione fisica, puro desiderio sensuale, non la ama ma potrebbe anche sposarla, per lui nulla è importante.
Il lavoro monotono, la mancanza di ambizione, l'amicizia con uomo ambiguo, il delitto in spiaggia, assurdo, senza senso, casuale.
Nella seconda parte in un'atmosfera kafkiana si svolge il suo processo, altrettanto assurdo quanto l'omicidio commesso. Viene processato perché ha ucciso un uomo o perché non ha pianto al funerale della madre e dunque è un mostro malvagio agli occhi di tutti?
Assiste impassibile, estraneo a tutto quello che gli accade intorno, stanco, distratto, a tratti infastidito rinuncia quasi a difendersi, si abitua alla sua nuova condizione di prigioniero, accetta con lucida calma la condanna, rifiuta l'effimera consolazione della religione e dell'amore. L'indifferenza di Meursault è la suprema, divina indifferenza del mondo, dove tutto è dominato dal caso, cieco, brutale, insensato.
 
Cosa mi resta dentro di questo libro sublime e immenso?
La sua prosa scarna, concisa, lucida, che disseziona i fatti nudi e crudi con la precisione chirurgica di un bisturi affilato, sbattendo contro il muro dell'indifferenza di Meursault, la cui interiorità rimane inaccessibile.
Straniero alla vita, al mondo, a se stesso. Apatico, disilluso, indifferente, senz'anima, emotivamente vuoto Meursault.
Quel deserto emozionale, quel vuoto sconvolgente, quella paralisi interiore, quel caldo opprimente che non dà tregua, quella luce bianca abbacinante, il blu del cielo e del mare, la sabbia rossa, riarsa, infuocata, asfodeli bianchissimi, una donna che ride felice nel suo vestito a righe, l'acqua salata che rinfresca, quegli abbracci tra le onde, il cielo immenso che si restringe e diventa il soffitto minuscolo di una prigione, un uomo che guarda fuori attraverso sbarre anguste, siamo noi siamo noi, il tempo che si dilata all'infinito e poi si riduce, che scorre lento e veloce, il tempo lungo e breve dove esistono soltanto ieri e domani, quelle sensazioni fisiche, concrete, materiche, quei bisogni primordiali istintivi, ebbrezza da vino, volute di fumo, terra rosso sangue, passione pura istintiva sensuale, una finestra aperta sul mondo, sul suo viavai frenetico, il chiacchiericcio vuoto, casuale con estranei, amici, improbabili vicini, un cane e un uomo dalla pelle spaccata piena di croste, che cercano di ammazzare la propria solitudine ringhiandosi addosso, la vecchiaia, tremenda malattia inguaribile, il signor Perez e il suo ultimo amore, il riverbero accecante del sole su una lama di coltello che diventa una spada, quel dolore lancinante, le vene che pulsano sulla fronte, il sole spietato, quei quattro colpi di rivoltella che spalancano l'abisso nero dell'infelicità e del non senso, quell'uomo di legge terrorizzato col suo crocifisso d'argento, rassicurante scudo contro il non senso della vita, l'assurdità di un processo kafkiano, farsa grottesca, burattinai togati e marionette dai fili recisi, un uomo senza lacrime, le grandi assenti ingiustificate, senso di colpa, assurdo e perverso, feroce solitudine, polvere e stanchezza, quella cella angusta nella quale ci troviamo rinchiusi, soli con i nostri pensieri, prigionieri in attesa trepidante e angosciosa dell'alba, luce del mattino o condanna a morte implacabile, le notti d'estate, i giorni nei quali smarrirsi fino a perdere il proprio nome, la sera che spegne il giorno in "una tregua malinconica", il caso, la tenera Indifferenza del mondo, dove nulla ha senso, le pietre e i muri che non riflettono un volto ma soltanto il vuoto, la paura, il respiro roco, affannoso, il destino comune di tutti i condannati a vivere o morire non importa, in fondo sono la stessa cosa e quel sole che stordisce e abbaglia gli occhi, l'amore e la religione effimere chimere prive di senso e quel vuoto assoluto nel quale dissolversi.
Un libro che si legge in poche ore, che scava voragini interiori e non si dimentica, un libro che conduce a profondità abissali e oscure, a strani pensieri inquieti e poi riemergi e hai voglia di toccare quel cielo blu sfumato di rosa, di nuotare tra quelle onde, di guardare oltre le sbarre della tua prigione, finalmente libero.
 
***
"Dopo un altro momento di silenzio ha mormorato che ero strano, che di sicuro mi amava proprio per questo ma forse un giorno le avrei fatto schifo per lo stesso motivo."
"Non mi ero reso conto di quanto i giorni potessero essere al tempo stesso lunghi e brevi. Lunghi da vivere, senza dubbio, ma così dilatati da finire per riversarsi gli uni negli altri. Sino a perdervi il proprio nome. Ieri e domani erano le uniche parole che conservassero un senso per me."
"No, non c'era via d'uscita, e nessuno può capire cosa sono le sere in prigione."
"Dall'oscurità della mia prigione mobile ho ritrovato a uno a uno, come dal fondo della mia stanchezza, tutti i suoni familiari di una città che amavo e di un'ora in cui mi capitava di sentirmi contento. Il richiamo degli strilloni nell'aria già distesa, gli ultimi uccelli nei giardini, il grido dei venditori di sandwich, il lamento dei tram sui tornanti della città alta e quel rumore del cielo prima che la notte si rovesci sul porto: tutto ciò ricomponeva per me un itinerario da cieco che mi era ben noto prima di entrare in prigione. Sì, era proprio l'ora in cui, tanto tempo fa, mi sentivo contento. Ad attendermi, all'epoca, era sempre un sonno leggero e senza sogni. E tuttavia qualcosa era cambiato, poiché, con l'attesa dell'indomani, quella che ho ritrovato è stata la mia cella. Come se i percorsi familiari tracciati nei cieli d'estate potessero portare tanto alle prigioni quanto ai sonni innocenti."
"La cosa importante era una possibilità di evasione, un balzo fuori dal rito implacabile, una folle corsa che offrisse tutte le possibilità della speranza. La speranza, ovviamente, era di essere abbattuti all'angolo della strada, in piena corsa, e con un colpo secco. Ma, a pensarci bene, non c'era niente che mi permettesse quel lusso, tutto me lo precludeva, la meccanica mi riagguantava."
"Mi sono accalorato un po'. Gli ho detto che era da mesi che guardavo quei muri. Non c'era cosa o persona che conoscessi meglio al mondo. Nei primi tempi, forse, vi avevo cercato un volto. Ma qual volto aveva il colore del sole e la fiamma del desiderio: era quello di Marie. L'avevo cercato inutilmente. Ora avevo smesso. E in ogni caso non avevo visto emergere niente da quel sudore di pietra."
Ma lui mi ha interrotto, voleva sapere come vedessi quell'altra vita. Allora gli ho gridato: "Come una vita in cui potessi ricordarmi di questa," e subito ho aggiunto che ne avevo abbastanza.
(...) Allora, non so perché, dentro di me è scoppiato qualcosa. Ho cominciato a gridare a squarciagola e l'ho insultato e gli ho detto di non pregare. L'avevo preso per il bavero della tonaca. Gli rovesciavo addosso tutto quello che avevo nel cuore, conati in cui si mischiavano gioia e collera. Sembrava così sicuro vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era neanche sicuro di essere vivo, perché viveva come un morto. Certo, io sembravo a mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e della morte che mi aspettava. Sì, non avevo altro. Ma almeno possedevo quella verità quanto lei possedeva me. Avevo avuto ragione, avevo ancora ragione, avevo sempre ragione. Avevo vissuto in un modo e avrei potuto vivere in un altro. Avevo fatto questo e non avevo fatto quello. Non avevo fatto quella cosa ma avevo fatto quest'altra. E dopo? Era come se avessi aspettato per tutta la vita quel minuto e quell'alba che mi avrebbero giustificato. Niente, assolutamente niente aveva importanza, e sapevo bene perché. Anche lui sapeva perché.
Dal fondo del mio futuro, per tutta la vita assurda che avevo condotto, un soffio oscuro mi veniva incontro attraverso anni non ancora nati, e quel soffio livellava al suo passaggio tutto ciò che mi veniva offerto negli anni non più reali che vivevo.
Che m'importava della morte degli altri, dell'amore di una madre, che m'importava del suo Dio, delle vite che si scelgono, dei destini che si eleggono, se poi era un unico destino a eleggere me e con me miliardi di privilegiati che, come lui, si dicevano miei fratelli? Capiva, lo capiva adesso?Tutti erano privilegiati. C'erano solo privilegiati. Un giorno anche gli altri sarebbero stati condannati. Anche lui sarebbe stato condannato. Che importava se, accusato di omicidio, sarebbe stato giustiziato per non aver pianto al funerale della madre?"
"Andato via lui, ho ritrovato la calma. Ero sfinito e mi sono gettato sulla branda. Credo di aver dormito, perché mi sono svegliato con le stelle sul viso. Rumori di campagna salivano fino a me. Odori di notte, di terra e di sale mi rinfrescavano le tempie. La meravigliosa pace di quell'estate dormiente entrava in me come una marea. A quel punto, e sul limitare della notte, si è levato un urlo di sirene. Annunciavano partenze per un mondo che adesso mi era indifferente per sempre. Per la prima volta dopo tanto tempo ho pensato a mamma. Ho creduto di capire come mai alla fine di una vita si fosse presa un fidanzato, come mai avesse giocato a ricominciare. Laggiù, anche laggiù, intorno a quell'ospizio dove delle vite andavano spegnendosi, la sera era come una tregua malinconica. Lì, così vicino alla morte, mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch'io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Quasi che quella grande rabbia mi avesse purgato dal male, svuotato della speranza, di fronte a quella notte carica di segni e di stelle mi aprivo per la prima volta alla tenera indifferenza del mondo. Nel riconoscerlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito di esser stato felice, di esserlo ancora. Perché tutto fosse consumato, perché mi sentissi meno solo, dovevo solo augurarmi che ci fossero molti spettatori il giorno della mia esecuzione, e che mi accogliessero con grida di odio."

 

 


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