lunedì 28 dicembre 2015

Il mulino sulla Floss


Il mulino sulla Floss, George Eliot (1860)

Mary Anne Evans, che  utilizza forse  per moda o capriccio  uno pseudonimo maschile, pur non avendone assolutamente bisogno, era una traduttrice e saggista  già nota e la sua stessa vita è stata una sfida costante all’ipocrisia e al perbenismo del suo tempo, scrisse questo romanzo nel 1860.
Al centro del libro vi sono le travagliate  vicissitudini della famiglia Tulliver, i rovesci di fortuna dovuti a scelte incaute, e il simbiotico legame  tra Maggie e il fratello Tom.
Maggie dalla bellezza selvaggia, capelli scuri e occhi penetranti, dal carattere impetuoso, in costante lotta tra istinto che significa passione, e sacrificio che significa  rinuncia ai desideri  e ai sogni  in obbedienza ai dettami familiari, al padre e al  fratello ciechi e insensibili nel loro odio. Maggie e i suoi amori imperfetti, Philip intelligente e talentuoso nelle arti quanto deforme nell’aspetto fisico, figlio di chi ha causato non pochi problemi alla famiglia Tullivar e per questo osteggiato nei suoi sentimenti profondi e puliti e Stephen, appassionato e affascinante, un amore proibito, da dimenticare. La corrente impetuosa del fiume, la corrente impetuosa delle passioni. Maggie sacrifica la propria esistenza rinunciando all’amore, alla vita, ai sogni più belli della sua età, fedele a se stessa, ai propri ideali  e al cieco amore che la lega indissolubilmente al fratello. L’impetuosa Maggie, il riflessivo Tom, implacabile nel suo giudizio e nella sua sterile condotta irreprensibile. Un legame inscindibile che li unirà per sempre in un abbraccio, mentre il fiume scorre e travolge.
Ho trovato la prima parte del libro che narra l’infanzia dei due protagonisti un po’lenta nei molteplici dettagli/dialoghi che tendono a ricostruire minuziosamente le  scene di vita domestica, ma da pagina 300 circa la narrazione decolla e avvince il lettore. Un romanzo “pieno, maturo, positivista moralista e intimista”, dove la scrittrice condanna il gretto e soffocante  perbenismo del  tempo, che mortifica i sentimenti e gli slanci emotivi più intensi.
 


sabato 26 dicembre 2015

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Nessuno può salvarti se non
tu stesso.
Sarai continuamente messo
in situazioni praticamente
impossibili.
Ti metteranno continuamente alla prova
con sotterfugi, inganni e
sforzi
per farti capitolare, arrendere
e/o morire silenziosamente
dentro.
Nessuno può salvarti se non
tu stesso
e sarà abbastanza facile fallire
davvero facilissimo
ma non farlo, non farlo, non farlo.
Guardali e basta.
Ascoltali.
Vuoi diventare così?
Un essere
senza volto, senza cervello, senza cuore?
vuoi provare
la morte prima della morte?
nessuno può salvarti se non
tu stesso
e vale la pena di salvarti.
E' una guerra non facile da vincere
ma se c'è qualcosa che vale la pena vincere
è questa.
Pensaci su
pensa al fatto di salvare il tuo io.
Il tuo io spirituale.
Il tuo io viscerale.
Il tuo io magico che canta e
Il tuo io bellissimo.
salvalo.
Non unirti ai morti-di-spirito.
Mantieni il tuo io
con umorismo e benevolenza
e alla fine
se necessario
scommetti sulla tua vita mentre combatti, fottitene
del prezzo.
Fallo! fallo!
allora saprai esattamente di cosa
sto parlando.

( C. Bukowski)


Raw with love

Ragazzina mora dagli occhi gentili
quando verrà il tempo di usare il coltello
non batterò ciglio
e non incolperò
te,
mentre guido lungo la costa, da solo
mentre ondeggiano le palme,
palme brutte, pesanti
quando i vivi non arrivano
e i morti non se ne vanno
non incolperò te,
invece
ricorderò i baci
le nostre labbra scorticate d’amore
e ricorderò come mi hai dato
tutto quello che avevi
e come io ti ho offerto
quello che restava di me
e ricorderò la tua stanzetta
il senso di te
la luce alla finestra
i tuoi dischi
i tuoi libri
i nostri caffè mattutini
i nostri pomeriggi le nostre notti
i nostri corpi fusi
addormentati
flussi e correnti minime
immediate ed eterne
la tua gamba la mia gamba
il tuo braccio il mio braccio
il tuo sorriso e il tuo calore
tu
che mi hai fatto ridere
di nuovo.
Ragazzina mora dagli occhi gentili
non hai un coltello.
Il coltello è mio e non lo userò
non ancora.

(Bukowski)

lunedì 21 dicembre 2015

Top e flop

Tempo di bilanci, ecco dunque la mia  classifica "top e flop" dei libri letti quest'anno :

Top

1) Tutta la luce che non vediamo (A. Doerr)
2) Il tè nel deserto (P. Bowles)
3) Apnea( L. Amurri)
4) Villette (C. Bronte)
5) Le poesie di Ted hughes, Cortàzar, Anne Sexton
6) Rayuela, il gioco del mondo (Cortàzar)
7) Achille piè veloce (Benni)/Chi manda le onde(F.Genovesi)
8) Viaggio al termine della notte (Cèline)
9) L'urlo e il furore (Faulkner)
10)Orientarsi con le stelle (Carver)

Flop

1) Non si muore tutte le mattine (Capossela)
2)Versilia rock city (F.Genovesi)
3) Guida astrologica per cuori infranti (S.Zucca)
4) Perchè tu non ti perda nel quartiere (Modiano)
5) La camera azzurra (Simenon)
6) Follia (McGrath)/ Agnes Grey (A.Bronte)
7) Una più uno (J Moyes)
8)La saga di Bridget Jones (Fielding)
9)  La sposa giovane (Baricco)
10) Saltatempo (Benni)






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In quel preciso momento l'uomo si disse:
che cosa non darei per la gioia
di stare al tuo fianco in Islanda
sotto il gran giorno immobile
e condividere l'adesso
come si condivide la musica
o il sapore di un frutto.
In quel preciso momento
l'uomo stava accanto a lei in Islanda.


( Borges)

 

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Con cosa potrei trattenerti?
Ti offro strette vie, tramonti disperati, la luna dei sobborghi deturpati.
Ti offro l’amarezza di un uomo che ha fissato a lungo la luna solitaria.
Ti offro i miei ancestri, i miei morti, quei fantasmi che i vivi onorano nel bronzo: il padre di mio padre ucciso nella frontiera di Buenos Aires, due pallottole nei polmoni, barbuto e morto, avvolto dai suoi nella pelle di vacca; il nonno di mia madre – ventiquattro anni appena – a capo di una brigata di trecento uomini nel Perù, nient’altro che fantasmi, ora, su cavalli sfumati.
Ti offro qualche frase riuscita tra i miei libri, qualche cenno di virilità o di umore nella mia vita.
Ti offro la lealtà di un uomo che non è mai stato leale.
Ti offro il centro di me stesso, che in qualche modo sono riuscito a salvaguardare – il cuore meridiano che non usa parole, non traffica coi sogni, ancora inattaccato dal tempo, dalla tristezza, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una rosa gialla osservata al tramonto, prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni su te stesso, teorie su te stesso, autentiche e sorprendenti notizie su te stesso.
Posso offrirti la mia solitudine, la mia penombra, la fame del mio cuore; sto cercando di comperarti con l’incertezza, il pericolo, la sconfitta.

(J. L. Borges)

(Una delle poesie più belle, che abbia mai letto)


sabato 12 dicembre 2015

I cento colori del blu


I cento colori del blu, Amy Harmon

A dispetto del titolo questo libro non ha nulla a che vedere con strane sfumature di grigio, nero o rosso, è un libricino semplice, una storia romantica e pulita quasi adolescenziale con qualche incongruenza ma tant’è.
 Se dovessi menzionare tre cose positive di questo libro che non mi ha fatto impazzire, forse perché non ho più 15 anni( purtroppo!) o per il suo stile piatto e incolore, salverei sicuramente  la protagonista Blue, per la sua forza e il suo coraggio nell’affrontare situazioni più grandi di lei e nel cercare di fare luce su un passato oscuro e  nebuloso e due citazioni strabelle, la splendida canzone  di Bob Dylan “make you feel my love” e un chiaro riferimento  a una dolcissima  poesia di Elizabeth Barrett  Browning, a riprova del fatto che anche in un libro insulso possono celarsi piccole e  preziose gemme. In realtà è stata una piacevole evasione, in un periodo in cui non ho voglia di letture che mi facciano pensare troppo o che vadano a scavarmi dentro facendomi male.
E soprattutto c’è un bel lieto fine e non guasta neanche quello di questi tempi.
Sulla trama non anticipo nulla, la  particolarissima storia di Blue e Darcy ( di austeniana memoria) e del loro  limpido amore.
 


mercoledì 9 dicembre 2015

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Definitivamente il mio ginocchio
è innamorato.
di te.
del tuo cervello.
del fatto che mi ascolti.
Definitivamente vuole essere baciato.
sulla cicatrice brutale di bambina.
(è il ginocchio sinistro).
In ginocchio
il mio ginocchio
ti chiede:
che mi accogli
che mi parli
che mi abbracci sotto casa
che mi prendi per i polsi
delle mie tante ferite
che mi fai tabula rasa.

  (Francesca Genti)

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Non c’è domanda che io ti possa fare
se mi rispondi sempre
che sei mare.
Del resto il nostro incontro
è stato vento,
vento che urlava
per strettoie e forre.

Mare che invade coste
e le sommerge,
furia, sudore, corpo a corpo.
Non siamo e non saremo mai
pace e silenzio, ferma calma,
la brezza dolce che accarezza
e passa.
Siamo fatti di carne, tu ed io
quella carne che uccide
e che germoglia.
Di pelle che trema per una carezza,
di scuotimenti improvvisi
e terremoti.
Siamo fatti di carne tu ed io
e di natura che non ha domande.

(Abner Rossi)

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Ti domandi se mi sento sola:
Ok allora, sì, mi sento sola
come un aereo vola solo e orizzontale
sulla sua onda radio, puntando
oltre le Montagne Rocciose
verso le piste recinte di blu
di un aeroporto sull’oceano
Mi vuoi chiedere, mi sento sola?
Bene, certo, sola
come una donna che attraversa il paese guidando
giorno dopo giorno, lasciandosi dietro
miglio dopo miglio
piccole città dove avrebbe potuto fermarsi
a vivere e morire, da sola
Se mi sento sola
dev’essere la solitudine
di svegliarsi per prima, di respirare
il primo respiro freddo dell’alba sulla città
di essere l’unica che è sveglia
in una casa avvolta nel sonno
Se mi sento sola
è come la barca chiusa nel ghiaccio della riva
nell’ultima luce rossa dell’anno
che sa che cos’è, che sa che non è
ghiaccio nè fango nè luce d’inverno
ma legno, con quel dono di poter bruciare.


(Adrienne Rich)

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Quanto tempo – dirai. E ci sarà
odore di treni, di fritto
e una piuma di vento marino
già all’Uscita. Sugli agri giardinetti
della Stazione tornerà la luna.
– Come va – chiederai. Da un indomato
vecchio spiccio poema d’amore
sorriderti sarà meraviglioso:
– Bene, quando ti vedo.


(Daria Menicanti)

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Sto leggendo delle poesie bellissime e non posso fare a meno di condividerle, che meraviglia!!!

 Tu sei il mio amore e la mia disperazione.
Tu sei la mia follia e la mia saggezza.
E sei tutti i luoghi in cui non sono stato
e che mi chiamano da tutti gli angoli del mondo.
Tu sei queste sei righe
cui devo limitarmi per non gridare

( Henrik Nordbrandt)

Ti voglio e non sei qui. Mi soffermo
in questo giardino, a respirare il colore che è il pensiero
prima di diventare linguaggio nell’aria ferma. Pure il tuo nome
è un pallido spettro e, per quanto lo esali senza
posa, non mi rimarrà accanto. Stanotte
ti invento, ti immagino, i tuoi movimenti piú nitidi
delle parole che ti faccio dire e che hai già detto.
Ovunque tu sia ora, nella mia testa mi fissi
con uno sguardo, standotene qui mentre la luce fresca della sera
si dissolve nella terra. Sbaglio la tua bocca
ma sorride lo stesso. Ti stringo a me piú vicino, cosí lontano,
a inventare l’amore finché il canto di uccelli notturni
interrompe e muta quel che doveva succedere, di sicuro,
in ricordo. Le stelle ci stanno filmando senza scopo.

(Carol Ann Duffy)

Primi incontri

Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: “Tu sia benedetta”,
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.
Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e “Dio mio! ” tu eri mia.
Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tua svelò
il proprio nuovo significato: zar.
Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.
Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo
Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.


( Arsenij Tarkovskij)