giovedì 22 novembre 2018

L'incubo di Hill House

L'incubo di Hill House, Shirley Jackson
Hill House circondata dalle colline, la sua torre alta e diroccata, la biblioteca, gli angoli sghembi e le proporzioni distorte, le porte sempre chiuse, quella facciata sinistra e malvagia, finestre come occhi che osservano e spiano nel buio, silenzio spettrale e inquietante nei corridoi deserti.
Non è soltanto un'antica e imponente dimora, è l'incarnazione stessa del male, abominevole, malvagia, infetta, "arrogante e carica d'odio", "una casa disumana, non certo concepita per essere abitata, un luogo non adatto agli uomini, né all'amore, né alla speranza." Una creatura viva, maligna, ghignante, un fruscio di vento improvviso, una risata sommessa, uno strano incantesimo, un gelo penetrante, un brivido lungo la schiena, una casa stregata abitata da oscure presenze, dotata di vita propria.
Il professor Montague, un antropologo dedito all'analisi dei fenomeni paranormali, guardato con scetticismo e fredda indifferenza dai suoi colleghi, decide di affittare per tre mesi questa oscura dimora per le sue ricerche, avvalendosi della collaborazione di fidati assistenti, i cui nomi sono venuti fuori spulciando gli archivi delle società di parapsicologia.
Molti declinano l'invito, si presentano all'insolito appuntamento soltanto in tre.
Theodora, Theo, un'artista, una ragazza dal carattere forte e irriverente, estroversa e impulsiva, Luke Sanderson, nipote della proprietaria di Hill House, e infine Eleanor Vance. Eleanor ha trentadue anni, ha accudito per undici anni la madre malata, vive con la sorella e il cognato che odia profondamente. Non ha amici, è una ragazza timida e solitaria, non è mai stata felice in vita sua, non si è mai sentita amata, non ha mai avuto un posto davvero suo, in cui sentirsi a casa. Una tempesta di pietre si è riversata nell'appartamento in cui viveva da bambina con la madre e la sorella e per questo il suo nome è finito negli archivi di parapsicologia, nonostante loro abbiano sempre attribuito questo strano fenomeno alla cattiveria gratuita dei vicini.
Una ragazza fragile e introversa, facilmente suggestionabile, sognatrice e un po' ingenua che da anni aspetta l'occasione per riscattarsi da quegli anni grigi, non ha paura, vuole soltanto evadere da quella vita mediocre, vivendo finalmente libera e felice.
Ad accogliere gli ospiti ci sono i custodi della villa, i coniugi Dudley, scontrosi, burberi e di poche parole, vanno via in fretta prima che scenda la notte.
La casa è circondata da alberi, prati, un ameno ruscello eppure su di essa grava il buio, un'inquietudine opprimente e dolorosa. La casa abitata da misteriose presenze trema, ascolta, respira, sussulta, gioca con la mente e la paura dei suoi nuovi inquilini e poi si anima improvvisamente. Porte che sbattono, scritte inquietanti, bizzarre apparizioni, gemiti e risate. Ci sono tutti gli ingredienti per una storia spaventosa di fantasmi.
La tensione sale pagina dopo pagina, tratteniamo il fiato di fronte a questi oscuri e incomprensibili fenomeni.
È soltanto una suggestione di menti sconvolte provocata dalle proporzioni strane e distorte della casa, una paura acuita dalla notte e dai rumori violenti e improvvisi? O c'è davvero qualcosa lì dentro che chiama e cerca di attirare a sé? Qualcosa che seduce, sussurra, rincorre, spaventa, che vuole che qualcuno torni a casa?
Una scrittura nitida e avvincente, angosciante e spaventosa, una tensione crescente in un susseguirsi di avvenimenti che tengono il lettore con il fiato sospeso fino alla fine.
Le paure dei personaggi sono anche le nostre, quegli scricchiolii sinistri nel cuore della notte ci fanno balzare il cuore in gola, le parole vergate col sangue, le presenze spettrali e inspiegabili. Non manca la consueta ironia della scrittrice, soprattutto quando entra in scena la moglie del professor Montague con il suo ottuso assistente e i loro infruttuosi esperimenti.
C'è una feroce e disperata solitudine all'interno di queste vecchie mura, dolore accumulato negli anni, vite spezzate tragicamente, un oscuro richiamo, senso di colpa indelebile, una voce che chiama nel buio, sommessa, suadente, costante, un richiamo a cui non si può resistere, come quello delle sirene che per secoli hanno incantato uomini dispersi in mare, un voce ammaliante e stregata che vuole riportare a casa chi vaga da anni nella disperazione e nella cupa infelicità.
Torna, la casa sulle colline sta aspettando paziente, è proprio te che vuole, con la sua solitudine rabbiosa e disperata, le sue vecchie storie, i suoi fantasmi.
Torna a casa, il tuo posto è qui, ombra tra le ombre, nel buio delle notti, inquieta, smarrita, perduta, finalmente a casa.
 
 
***
"Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant'anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola."
 
"Non farlo, disse Eleanor alla bambina; insisti per avere la tua tazza di stelle; una volta che ti hanno incastrata e costretta a essere come tutti gli altri non la vedrai mai più, la tua tazza di stelle; non farlo; e la bambina le lanciò un'occhiata, e le fece un sorrisetto scaltro, tutto fossette, assolutamente consapevole, e scosse la testa in direzione del bicchiere, cocciuta. Intrepida bambina, pensò Eleanor; saggia, intrepida bambina."
 
"Pace, pensò Eleanor, realisticamente; quello che voglio in questo momento è pace, un angolo tranquillo dove distendermi a pensare, un angolo tranquillo tra i fiori dove poter sognare e raccontarmi storie dolcissime".

 

 

 

 




mercoledì 21 novembre 2018

Lizzie

Lizzie, Shirley Jackson
Elizabeth Richmond è una ragazza di ventitré anni, scialba e incolore, mite e riservata, apatica e introversa dalla vita piatta e tranquilla. Un lavoro noioso come impiegata in un museo, nessuna amico con cui confidarsi o fare amicizia, un'esistenza abitudinaria e monotona. Da quando è morta sua madre vive con la zia Morgen, una donna dal carattere forte e irriverente, insoddisfatta, umorale e bisbetica, voce tonante e indomita.
Lizzie le ubbidisce, la aiuta nelle faccende domestiche e la teme. Continui mal di testa, vertigini, strane amnesie la tormentano al punto che la zia preoccupata decide di farla visitare da un dottore competente e preparato, il dottor Wright. Riuscendo a vincere la paura e l'iniziale ritrosia della timida ragazza attraverso varie sedute di ipnosi verranno alla luce ben quattro personalità distinte e vive, che si contendono l'io frammentato e aspirano a prendere il pieno controllo del corpo, vivendo liberamente allo scoperto, non più sepolte laggiù in fondo nel buio della coscienza. 
L'abulica e sofferente Lizzie, la dolce e sensibile Beth, incline alle lacrime, che si sente poco amata, la ribelle e dispettosa Betsy che vuole vivere libera nel mondo là fuori, l'arrogante, avida e grossolana Bess. Se le prime due personalità sono quiete e sensibili, deboli e sottomesse, le altre due sono forti, irritanti, scaltre, perfide e sgarbate.
Mentre il dottore in una frenetica lotta contro il tempo cerca di ricomporre l'io frammentato, risalendo al trauma che ha causato tutto questo, "le ragazze" si fanno la guerra a suon di assurdi dispetti e sgambetti, cercando di spodestare le altre personalità, assumendo il pieno controllo. In questi momenti si susseguono scenette surreali e divertenti, bizzarri giochi di parole che sconvolgono l'imperturbabile dottor Wright- Wrong.
Questo romanzo, uno dei primi ad affrontare il tema complesso e inquietante delle personalità multiple, cattura l'attenzione del lettore con una scrittura perfetta e avvincente, arguta e attenta, dosando al punto giusto ironia e follia. 
Un ritmo incalzante e dinamico, che diventa una folle danza caotica di pensieri aggrovigliati e scomposti. I punti di vista che si alternano nel corso della narrazione sono quello dell'esperto dottor Wright che ci spiega cosa sta accadendo nella mente fragile e sconvolta di Elizabeth, quello della stessa Lizzie sempre più confusa e frammentata nei suoi pensieri sconclusionati e deliranti e infine quello dell'anziana zia Morgen, che cerca di affrontare la situazione con forza, pragmatismo, ironia e una buona dose di brandy. Alcuni episodi, i dialoghi tra le varie personalità e la burbera zia o gli incontri fortuiti con ignari passanti sono molto divertenti. Una scrittura che oscilla tra toni angoscianti ed esilaranti, a tratti comici. 
Un romanzo delirante e inquietante, ironico e brillante, che inchioda il lettore alla pagine narrando le disavventure della dolce Lizzie e delle sue inquiete e intrepide sorelle.
 
"Non è dimostrato che il suo equilibrio personale venisse alterato dalla pendenza del pavimento, né si poté dimostrare che fosse stata lei a svellere il palazzo dalle fondamenta; è innegabile tuttavia che l'uno e l'altro cominciarono a smottare all'incirca nello stesso periodo."
 
"Cara lizzie adesso il tuo scemo paradiso degli allocchi è finito per sempre occhio che arrivo lizzie occhio che arrivo e non fare niente di brutto perché ti acchiappo e te la faccio vedere io e non pensare che non so quello che fai lizzie perché io vedo tutto sporchi pensieri lizzie sporca lizzie."

 

 


giovedì 15 novembre 2018

L'inconfondibile tristezza della torta al limone

L'inconfondibile tristezza della torta al limone, Aimee Bender
Rose è una bambina vivace e intelligente, vive con la mamma, il papà e il fratello Joseph a Los Angeles. Una famiglia come tante eppure speciale, dotata di preziosi doni, strambi poteri.
Rose attraverso il cibo che mangia riesce a sentire le emozioni, i sentimenti, gli stati d'animo di chi l'ha preparato, rabbia, senso di colpa, nostalgia, tristezza, vuoto.
Accade per la prima volta il giorno del suo nono compleanno, nella torta al limone e cioccolato preparata da sua madre avverte un gusto amaro, insoddisfazione, infelicità, inquietudine, "sa di vuoto" afferma lapidaria. Da questo momento in poi il cibo la spaventa, quei sentimenti che le arrivano diretti senza filtro la terrorizzano.
Biscotti rabbiosi, pizza triste, sandwich leggeri che assaggia con invidia. Trova sollievo soltanto nei cibi industriali o in quelli delle macchinette, neutri, asettici e rassicuranti, necessari per sopravvivere.
Rose è "il vetro restituito dal mare" che tutti vorrebbero portarsi a casa, una foresta pluviale rigogliosa, ha tanto da offrire al mondo, lei che sogna di essere un oceano ed è spaventata dalla sua straordinaria sensibilità.
Joseph è un ragazzo geniale e introverso, chiuso in se stesso, nella sua camera piena di libri, ha un unico amico, George, un ragazzo brillante e simpatico.
È un prisma poliedrico dalle mille sfaccettature, un deserto buio che avrebbe soltanto bisogno di sole, interagisce poco con l'ambiente esterno, il suo potere misterioso è quello di sparire all'improvviso come in un difficile trucco di magia. Entrambi non riescono a controllare i loro poteri, ne subiscono gli effetti senza poterci fare niente.
E poi ci sono Paul e Lane. Un padre che lavora sodo e odia gli ospedali, un uomo semplice dalla vita abitudinaria, che fatica a decifrare la sua complessa e bizzarra famiglia e una madre inquieta e insonne, che ama sperimentare usando la propria creatività privilegiando olfatto e tatto, cucinando torte deliziose o intagliando il legno.
Un romanzo magico e surreale, che mescola fantastico e quotidianità, una scrittura limpida e nitida, originale e profonda, che dietro il gioco dei poteri strambi e forse magici focalizza l'attenzione su alcune tematiche importanti. Una famiglia che vive tra insoddisfazione e tensioni, carenza di dialogo e distanze, silenzi che scavano voragini, un rapporto problematico con il cibo veicolo di emozioni negative, che avvelena e spaventa e poi la solitudine profonda di una mente geniale, incapace di relazionarsi con il prossimo, la depressione che annienta, inghiotte e trasforma in qualcosa di inanimato, tematiche affrontate anche nel romanzo "Un segno invisibile e mio".
Una famiglia composta da un padre distratto, che non vuole vedere né sentire, che rifiuta il suo dono speciale trincerandosi nella sua vita ordinaria e da una madre che ama profondamente i propri figli, soprattutto il primogenito, un amore assoluto, percepito come qualcosa di soffocante. Una bambina sensibile e attenta, gelosa di questo amore esclusivo, desiderosa di attenzioni e parole, un ragazzo dagli occhi grandi chiuso nel proprio universo interiore, una caverna oscura piena di solitudine e tristezza.
Ci sono pagine dove senti tutto il peso di quel dolore che spegne lo sguardo e fa invecchiare di colpo di mille anni e infine il cibo che diventa il canale attraverso il quale si trasmettono sentimenti ed emozioni, quando ogni pasto diventa una sofferenza interiore, quando vorresti strapparti la bocca per non sentire quel gusto amaro che ti chiude la gola, avvelenandoti con il suo brutto sapore.
Quando vorresti trasformarti e sparire per sempre, quando il cibo ti nausea e fa paura, quando in famiglia si respirano silenzi e bugie, quando si è insoddisfatti, infelici e delusi, quando ci si sente soffocare, quando vorresti trattenere con tutte le tue forze chi non può restare, quando un tratto di pennarello dietro lo schienale di una sedia è tutto ciò che ti resta ed è meglio di niente, quando malgrado tutto scegli di vivere nel mondo, di farne parte.
Questo libro mi ha lasciato in bocca un sapore amaro, un nodo in gola, un senso di smarrimento, inquietudine e malinconia che non saprei nemmeno spiegare a parole, come una nube grigia che oscura tutto il cielo, facendomi perdere in strani pensieri inquieti, che portano lontano.
Un'allegoria della vita familiare, con quel retrogusto amaro di incomprensione, incomunicabilità, insoddisfazione latente, solitudine e dilagante infelicità, amore che a volte non basta, faticoso, sbagliato, trattenuto, difficile da vivere, legami forti e complicati, famiglia culla e caverna, approdo e punto da cui riuscire a spiccare il volo, che ci protegge e ferisce, per sempre parte di noi.
 
***
"Joseph qualche volta mi veniva a cercare, allo stesso modo in cui il deserto fa sbocciare un fiore di tanto in tanto. Ci si abitua tanto alle sfumature del beige e del marrone e poi un papavero giallo come il sole salta fuori dalla pala di un fico d'india. Quanto mi piacevano quei momenti-fiore, come quando mi indicava la luna e Giove, ma erano rari, e non c'era mai da aspettarseli."
 
"Il primo pasto preparato da me, tutto da sola. La mano mi tremava leggermente mentre assaggiavo.
Il sugo era buono, e semplice, ben concentrato.
Tristezza, rabbia, carri armati, buchi, speranza, colpa, nervi, Nostalgia, come fiori che marciscono. Una fabbrica, fredda.
Mi portai il tovagliolo agli occhi.
Andrà tutto bene, disse papà, battendomi sulla mano."
 
"Ti prego, dissi. George. Non mi sono mai aspettata niente di più di quella volta, gli dissi.
Tic, tic, contro le finestre laterali.
Perché no? domandò, dopo una breve pausa.
Perché no cosa?
Perché non aspettarsi più di un'unica volta?
Le goccioline d'acqua colavano sulle finestre. A casa non c'era ancora nessun altro. Me lo vedevo proprio seduto sulla sedia, in ascolto. Con quella sua faccia concentrata e in ascolto. Con le foglie ottobrine che fuori cominciavano appena a farsi rosse.
Fondamentale, nel nostro bacio, per me, era stata la sua caratteristica di unicità, che mi ero chiarita già nel momento in cui stava accadendo: baciare George era un po' come rotolarsi nel caramello dopo aver passato anni a sopravvivere a base di spaghetti di riso.
Voglio dire, continuai, con voce flebile. Giusto?
Be', fece lui, più ad alta voce, per me è stata una cosa importante, disse. Ok? Non è stato un "niente".
No, dissi io. Mi misi in grembo la pila di elenchi telefonici.
Anche per me. Non volevo dire questo...
Cioè, io sono qui, disse. Tu sei lì. Tu dovresti farti la tua vita.
Io ho la mia vita. È giusto. Ma tu sei Rose, disse. Ok?
 
"A volte, disse, perlopiù a se stessa, mi pare di non conoscere i miei figli.
Io mi fermai accanto a lei, come per ascoltarla. Vicina. Lei lo disse rivolta alla finestra. Ai vasi di fiori davanti a noi, pieni di viole del pensiero e giunchiglie, che si chinavano al crepuscolo (...)
Era un'affermazione passeggera, alla quale pensavo non sarebbe rimasta attaccata; dopotutto, ci aveva messo alla luce da sola, ci aveva cambiato i pannolini e dato da mangiare, ci aveva aiutato a fare i compiti, ci aveva baciato e abbracciato, ci aveva coperto d'amore. Che davvero non ci conoscesse mi sembrava la cosa più umile che una madre potesse mai ammettere. Si asciugò le mani con lo strofinaccio per i piatti, e già stava rientrando nel suo solito mondo, dove un pensiero del genere era ridicolo, non aveva senso: ma io l'avevo sentito, standomene lì in piedi, ed era la prima cosa detta da lei in un lungo lasso di tempo che potevo afferrare completamente.
Mi chinai verso di lei e la baciai sulla guancia.
Da tutti e due, le dissi."
 
"Al bistrot fu facile scaricare la macchina.
Dentro l'armadio misi la borsetta, una casacca bianca da chef e una scatola piena di attrezzi da cucina e libri che mi ero comprata da sola. La scatola di teak con le ceneri di nonna. Il portagioie di rovere che aveva fatto mia madre. Il suo grembiule, quello con le coppie di ciliegie, che mi aveva dato in premio una volta che le avevo preparato il brasato. Uno sgabello di velluto e vimini che non volevo venisse ritappezzato. Un poster arrotolato di una cascata. La nappa di plastica di un tocco da diplomandi.
Nell'angolo, una sedia pieghevole."

 

 

 

 




lunedì 12 novembre 2018

La lotteria

La lotteria, Shirley Jackson
"Lotteria di giugno, spighe grosse in pugno."
Un libricino di ottantadue pagine, quattro racconti brevissimi che trasmettono una strana inquietudine, un'ansia sottile, l'oscuro presagio che qualcosa non va come dovrebbe, forse sta per accadere qualcosa di inquietante, è soltanto una vaga impressione, una sensazione di cose fuori posto, un leggero brivido, una paura strisciante, una porta socchiusa sul mistero. Si apre lentamente, il tempo di gettare una rapida occhiata e poi subito si richiude.
Quattro racconti brevi che si leggono rapidamente, una scrittura essenziale e incisiva.
Nel primo racconto "La lotteria" in una calda giornata di giugno immersi in un'atmosfera bucolica tra cieli limpidi e natura rigogliosa, gli abitanti di un paese di trecento anime si radunano in piazza, uomini donne bambini, chiacchierano a bassa voce, spettegolano, pochi sorrisi tesi, nervosi. Come ogni anno da tempi immemori sta per svolgersi la tradizionale lotteria per propiziare il raccolto, la bussola nera per l'estrazione è lì pronta sul suo sgabello, qualcuno si attarda, qualcuno dovrà sostituire un familiare indisposto, ecco ora è tempo di iniziare e poi tutti a casa in perfetto orario per il pranzo di mezzogiorno...
Nel secondo racconto "Lo sposo" ispirato ad un'antica ballata scozzese una donna non più giovane, dal volto giallognolo segnato dalle rughe, cerca l'abito adatto per il suo giorno speciale, sta per sposarsi ed è in tremendo ritardo. E allora caffè, tanti caffè, aspirina in borsetta contro l'emicrania, e via con l'abito più bello, meglio quello azzurro o quello fantasia che però non sembra adatto alla stagione e al suo fisico non proprio perfetto. L'attende una nuova vita con il suo sposo alto e biondo, vestito di blu, uno scrittore di cui è difficile ricordare esattamente le sembianze, ma in fondo con chi ami succede sempre così, no?
Ma le ore passano, lo sposo tarda ad arrivare e allora conviene andargli incontro là fuori, tra le vie della città...
Nel terzo racconto "Colloquio" il più breve di appena tre pagine, una donna racconta al proprio medico le sue ansie e inquietudini tra follia e incomunicabilità. L'ho trovato troppo sintetico e inconcludente.
Nell'ultimo "Il fantoccio" due amiche si recano in un ristorante rispettabile e alla moda, mentre cenano in fondo alla sala assistono a varie esibizioni, ballerini, un'orchestra che suona e poi un uomo e il suo pupazzo di legno dal ghigno strano, un ventriloquo. Poi finito lo spettacolo ascoltano una bizzarra discussione con quel fantoccio animato dalla testa di legno, così sgarbato e irriverente.
Il primo racconto mi ha colpito molto con quell'atmosfera idilliaca spalancata sull'abisso, gli altri meno, li ho trovati eccessivamente brevi ed ermetici, criptici e incerti.
Ho preferito nettamente la prosa dei suoi romanzi più celebri da "L'incubo di Hill House" ad "Abbiamo sempre vissuto nel castello", passando per la dolce "Lizzie", lì la scrittrice riesce davvero a creare atmosfere inquietanti e ansiogene senza alzare la voce, con la sua scrittura tersa, curata e perfetta apre una finestra di orrore sulla realtà quotidiana così normale, spaventosa e straniante, ma questa è un'altra storia.
 
"Ho saputo" disse Mr Adams al Vecchio Warner accanto a lui "che nel villaggio su a nord parlano di lasciar perdere la lotteria."
Il Vecchio Warner sbuffò. "Pazzi scatenati" disse. "Se stai a sentire i giovani, non gli va bene niente. Manca poco che vorranno tornare a vivere nelle caverne, nessuno più che lavora, e prova a vivere così per un po'. Una volta c'era un detto, "Lotteria di giugno, spighe grosse in pugno." In men che non si dica mangeremo tutti erba bollita e ghiande. Una lotteria c'è stata sempre soggiunse stizzito."

 

 

 



giovedì 8 novembre 2018

Io sono Charlotte Simmons

Io sono Charlotte Simmons, Tom Wolfe
"Se un uomo si degrada, convinto che ciò gli procuri felicità, sbaglia per ignoranza perché non sa cosa sia l'autentica felicità."
Charlotte Simmons è una ragazza bella, colta e intelligente che grazie a una borsa di studio si trova catapultata da Sparta, un piccolo paese di poche anime sulle montagne del North Carolina, nella prestigiosa Dupont University, un'eccellenza culturale, un vero e proprio tempio del sapere che ha formato illustri scienziati premi nobel e gli esponenti più in vista della classe dirigente americana.
Un ambiente esclusivo, elitario, eterogeneo frequentato da ragazzi che appartengono a famiglie rinomate e sognano un posto di lavoro nell'alta finanza, campioni sportivi venerati da tutti, ricchi, affascinanti, dal corpo muscoloso e perfetto e poca voglia di studiare. Ma ci sono anche ragazzi di umili origini che sognano un futuro radioso dove trionferanno l'intelletto e la cultura o altri che pensano soltanto a divertirsi e a sbronzarsi.
Le ragazze e i ragazzi più in vista fanno parte di confraternite esclusive, dove ci si diverte alla grande, e poi ci sono tutti gli altri, poveri abitanti del pianeta sfiga, che si trascinano stancamente in giorni grigi e umilianti.
Charlotte è una ragazza semplice e innocente, proviene da una famiglia modesta ma ricca di valori, ha pochi vestiti e nessun amico. Sente tutto il peso della solitudine, delle occhiate derisorie e delle risatine alle spalle, si sente esclusa ed emarginata dal gruppo, una povera matricola ignorata da tutti.
Feste, alcol, sesso, una frenesia irrefrenabile pervade l'ambiente universitario che sembra molto diverso da come l'aveva immaginato. La sua compagna di stanza Beverly, bionda, viziata e magrissima, piena di vestiti ed eccessori tecnologici non la aiuta per niente, anzi la fa sentire ancora più esclusa da tutto.
 
Quel mondo non le appartiene, non è casa, Charlotte si aggira sperduta e smarrita negli edifici universitari maestosi e imponenti, ma è anche consapevole di essere intellettualmente superiore a quei ragazzi che pensano soltanto a bere e a stordirsi, un branco di idioti, ben lontani dal sapere e dalla vita intellettuale a cui lei aspira.
Lei è Charlotte Simmons sa quanto vale, è un piccolo genio e farà grandi cose nella vita, anche se la solitudine la opprime giorno dopo giorno. La verità è che la promettente Charlotte è sola come un cane, derisa e snobbata da tutti quelli che contano davvero, ragazzi brillanti, "cool", che sanno divertirsi e sono perfettamente integrati nell'ambiente universitario. A poco a poco inizierà a uscire, conoscendo nuove persone, frequentando feste e locali, cercando di diventare una ragazza alla moda e desiderata, non più una povera studentessa sfigata. L'incontro con l'affascinante Hoyt Thorpe, ragazzo bellissimo e molto popolare sarà l'inizio di un vortice di emozioni, un salto nel buio che la porterà a fare i conti con se stessa e con chi vuole davvero essere.
 
Chi è Charlotte Simmons? La studiosa, ingenua ragazza di provincia emarginata da quel gruppo che intimamente disprezza? Una ragazza attraente dagli occhi espressivi, lunghe gambe e vestito fiammante, una ragazza che vuole essere desiderata e amata dal ragazzo dei suoi sogni, entrando a far parte della cerchia delle persone che contano, campioni sportivi, noti, affermati e di successo? Una ragazza presuntuosa, miss perfezione che giudica tutto e tutti, ossessionata da quello che gli altri pensano di lei?
 
A volte Charlotte è davvero insopportabile con le sue paranoie e paure, con l'ansia di essere accettata e diventare parte di qualcosa, al punto che se anche un ragazzo le parla con sincerità e affetto lei non fa altro che pensare a chi la sta osservando in quel momento. Follia pura.
Una ragazza che crede di essere forte ma in realtà è molto fragile.
Cosa vuole Charlotte Simmons? Quali sogni, ambizioni, aspirazioni popolano la sua mente? Restare fedele a se stessa e ai suoi valori o crescere, cancellando la vecchia sé, trovando finalmente il coraggio di diventare se stessa, uscendo dal guscio e dall'autocommiserazione, diventando parte integrante di quel gruppo che sente così diverso e lontano dal suo essere e dai suoi principi?
In questo romanzo di settecentosettantasette pagine Wolfe delinea una galleria di personaggi unici con sarcasmo e pungente ironia, dall'affascinate e frivolo Hoyt al campione di basket che cerca di riscattarsi nello studio, valorizzando la propria mente e non soltanto il corpo muscoloso, dai giocatori dal fisico statuario e il cervello da criceto ad Adam intelligente e acuto, alle ragazze che ridono, chiacchierano, ballano, seducono, si deprimono e piangono per lo stronzo di turno spacca cuore, quando hai il cuore spezzato e tutto il mondo sembra un gigantesco buco nero.
Un romanzo che offre un ritratto lucido e spietato dell'ambiente universitario americano, mediocre, corrotto, ambiguo e della società stessa, frivola e ipocrita. Uno sguardo sarcastico e beffardo, caricaturale e grottesco, lo sguardo impietoso dello scrittore maturo che guarda l'universo giovanile da lontano, quel caos multiforme e assurdo.
 
Un libro che nonostante la mole si legge rapidamente, dallo stile fluido e scorrevole, ricco di dialoghi pieni di parolacce, espressioni volgari ed esplicite, che vogliono riprodurre il linguaggio giovanile, quello che lo scrittore definisce "il patois del cazzo fottuto", numerose e minuziose le descrizioni degli ambienti universitari, degli edifici, delle lezioni, del basket, descrizioni che in alcuni punti appesantiscono il libro e un po' annoiano.
Alcune cose mi sono sembrate eccessive, forzate, grottesche, la Dupont University sembra un covo di idioti, scimmioni che vogliono soltanto sballarsi e scopare, la stessa Charlotte a volte è odiosa con le sue infinite e inutili pippe mentali.
Un romanzo irritante e disturbante come la sua intrepida eroina.
La ragazza pura e innocente, il genio incompreso sceso dalle montagne per attingere alla fonte della conoscenza, cade, si rialza, ritrova in qualche modo se stessa e cosa fa? Si adegua perfettamente al gregge, quel gregge che ha sempre disprezzato e invidiato, rinnegando una parte di sé. O forse semplicemente trova il suo spazio nel caos, un modo di sentirsi a casa. Finalmente è una star, una ragazza popolare, di successo, ammirata da tutti, non più una povera matricola sconosciuta.
Tutto è bene quel che finisce bene, ma allora perché quella vocina ostinata, quella malinconia, quello "strano disagio". Ecco di nuovo quello sguardo pungente e impietoso che affiora, lo scrittore si congeda dalla sua variegata galleria di personaggi nel pieno dei festeggiamenti, tra canti e risate, lasciandoti quel sapore amaro in bocca e il dubbio se Charlotte troverà la sua strada e sarà mai davvero felice.
 
Diciotto anni, l'inizio dell'università, tra insicurezze e paranoie, voglia di divertirsi e fare sul serio, terrorizzati da se stessi e da quella cosa oscura che chiamano amore, un tempo spensierato e folle che non tornerà. Chi non ha mai provato quel sentirsi escluso? Chi non è mai stato preso in giro? Chi non ha pianto per quel ragazzo stronzo e bellissimo che ci ha spezzato il cuore, chi non si è mai sbronzato, chi non ha cercato disperatamente di sentirsi parte di un gruppo, di qualcosa che ti strappa via la solitudine, quando l'adolescenza è finita ma non sei ancora adulto? Chi non ha mai fatto cavolate, cose idiote e senza senso, ballato in posti soffocanti e pieni di fumo, chi non si è illuso che quel perfetto sconosciuto fosse l'amore della vita? Chi non si è mai svegliato in un letto vuoto e disfatto col cuore a brandelli, sentendosi sbagliato, deluso, soffocato da una lacerante solitudine, bisognoso di un abbraccio sincero, di qualcuno che semplicemente fosse lì ad ascoltarti?
Chi non è mai stato così follemente e irresponsabilmente giovane?
In un'epoca più o meno remota, almeno una volta, almeno per un secondo siamo stati tutti Charlotte Simmons.