martedì 25 settembre 2018

Che cosa ti aspetti da me?

Che cosa ti aspetti da me? Lorenzo Licalzi

Tommaso Perez ha ottant'anni, vive in una casa di riposo, è un uomo solo, malato, stanco, cinico, scostante e disilluso. In un'altra vita che ormai non gli appartiene più è stato un professore di fisica, uno studioso brillante e appassionato, un marito innamorato e un padre affettuoso.
La sua vita è stata segnata da lutti, perdite e sofferenze. E ora dopo che la malattia lo ha privato anche dell'autonomia si trova confinato in un letto tra quattro mura, con altri pazienti anziani che a stento tollera. Prima osservava il cielo sconfinato, ora una crepa sul soffitto in attesa che le infermiere si prendano cura di lui. La prima parte del libro racconta la sua vita monotona nella casa di riposo, tra cinismo feroce e ironia. Nella seconda parte qualcosa inizia cambiare, il professor Perez scoprirà che la vita può sorprendere inspiegabilmente e che l'unica forza che davvero può salvarci è l'Amore, oltre ogni logica e razionalità.
La scrittura è semplice, limpida, scorrevole, un libro che si legge rapidamente che dovrebbe far sorridere, riflettere e commuovere. Uso il condizionale perché a me questo libro non è piaciuto, si è rivelato una delusione enorme. Mi è sembrato che lo scrittore volesse "vincere facile" mettendo in piedi la storiella strappalacrime del vecchietto scontroso, solo e abbandonato che riscopre magicamente l'amore e la voglia di vivere, anzi sopravvivere. Pensieri banali, riflessioni lette e rilette in tutte le salse, da uno scrittore psicologo mi aspettavo qualcosa in più, ad esempio un minimo di profondità e originalità di scrittura. Nulla a che vedere con altri libri che hanno affrontato tematiche simili, ad esempio "In viaggio contromano" di Zadoorian, lì la vecchiaia viene messa a nudo impietosamente con ironia, leggerezza, intensità o la storia di Alfred e Enid ne "Le correzioni" di Franzen con quel finale intenso e terribile, l'unico finale che mi ha fatto piangere.
Mi aspettavo di provare qualcosa di simile e invece non ho trovato nulla di tutto questo, mi è sembrato un libro "un po' paraculo" fatto apposta per accattivarsi le simpatie del lettore, per commuoverlo con una salsa melensa trita e ritrita. Mi sembrava di leggere cose già lette cento volte, che avrebbero dovuto emozionarmi e illuminarmi e invece no.
Il nome del protagonista è un chiaro riferimento a un personaggio del libro "Lo Straniero" di Camus e l'unica frase insolita e un po' diversa rispetto al resto della scrittura appartiene anche quella a Camus.
Libro melenso, banale e deludente.
Che cosa mi aspetto da te? Frammenti di emozioni autentiche e un minimo di originalità di scrittura, non storielle moraleggianti acchiappa lettori.


"E' destino di tutti arrivare al dunque, salire il gradino della bilancia ed essere pesati. In quei momenti non ci sono trucchi, ci si pesa nudi."

"Io credo che la grandezza degli uomini si misuri con la grandezza dei loro sogni e con la loro capacità di realizzarli, ma ci sono sogni così grandi che fanno grande un uomo solo per essere riuscito a pensarli e per aver provato a realizzarli."

 

martedì 18 settembre 2018

Eleanor Oliphant sta benissimo

Eleanor Oliphant sta benissimo, Gail Honeyman

"Ero viva. Ero sola. Non c'era essere vivente in tutto l'universo che fosse più solo di me. O più terribile."

Ho letto questo libro in due giorni, complice una giornata di pioggia autunnale, sapevo che in qualche modo avrebbe parlato di me, che tra me e Eleanor avrei trovato notevoli affinità e così è stato. Un racconto avvincente, una scrittura tersa, incisiva, introspettiva, descrittiva che cattura e commuove, che fa sorridere e riflettere, che in qualche modo tocca nervi scoperti.
Solitudine, traumi terribili vissuti nell'infanzia che riaffiorano dal passato avvelenando il presente, resilienza, queste le tematiche affrontate con leggerezza, ironia, autenticità.
Durante la lettura ho sentito la protagonista a me affine, al punto da pensare "Eleanor Oliphant sono io." Non mi riferisco al suo vissuto tragico, un puzzle scomposto e confuso che si comporrà piano piano incollandoti alle pagine, ma a tutto il resto. Alcune cose che lei pensa-fa le ho fatte-pensate anche io varie volte, la sua ironia brillante e pungente, quel dire sempre quello che le passa per la testa senza nessun filtro, il suo essere buffa e stramba, l'innamoramento folle e ingenuo per un perfetto sconosciuto, le attente ricerche sui social (lol), quei sogni a occhi aperti, gli sguardi addosso, le risatine alle spalle, il sentirsi diversa, fuori luogo, esclusa, tagliata fuori da tutto quello che conta davvero, quella diffidenza verso il mondo là fuori che fa paura, la sua estrema fragilità, quei pensieri contorti e un po' assurdi. Quella feroce solitudine che si annida dentro e annienta, quella tremenda solitudine, il linguaggio preciso e forbito, quel commuoversi sincero di fronte a gesti d'affetto spontanei che sono del tutto normali per gli altri ma per te no, una stretta di mano, un abbraccio, un tè caldo condiviso, quel disperato bisogno di amore e calore umano che a lei mancano da sempre, quella difficoltà estrema nell'aprirsi al mondo e agli altri, il provare a uscire dal guscio vincendo le proprie paure.
Eleanor è una giovane donna, un lavoro in ufficio tra fatture e contabilità, una pianta Polly con cui chiacchierare di tanto in tanto quando hai bisogno di ascoltare la tua voce per sentirti viva e non impazzire del tutto, unica amica e fedele compagna del weekend la vodka per annegare il dolore. Ha delle brutte cicatrici sul volto e nel cuore. È diffidente, spaventata, sola, infelice, danneggiata. Eleanor è una sopravvissuta, ma anche una fenice che risorge dalle sue ceneri.
Questo libro racconta la solitudine quella vera, il silenzio costante che scava voragini, quell'essere sempre sola con te stessa e i tuoi pensieri distorti, implacabili e a un certo punto scoprire che non ti basti più, il tutto che credevi di possedere diventa magicamente nulla, un enorme e insensato buco nero che inghiotte tutto, i brutti giorni, il dover fare i conti con un passato doloroso e difficile, ma anche la spontaneità e l'affetto sincero di persone semplici e schiette incrociate per caso lungo il cammino che possono aiutarti ad abbattere quel muro impenetrabile di solitudine, amata e odiata. Come sia possibile malgrado tutto far entrare un po' di luce in quell'unica, minuscola parte di cuore che non si arrende, non è bruciata e vuole tenacemente rifiorire. Potrei parlare di Raymond con le sue assurde magliette e le scarpe da tennis, l'andatura strampalata, i capelli rossicci scomposti o di Sammy, un simpatico e tenero vecchietto. È grazie a loro che la luce inizia a penetrare nel buio fitto, che il calore a poco a poco dissolve il gelo bucando quel muro di terribile solitudine.
Dovremmo avere tutti un Raymond nei nostri giorni bui. Eleanor Oliphant non sta benissimo, è incasinata, irrisolta, confusa, ferita ma non annientata, è coraggiosa, intelligente, emotivamente fragile, tenace, è una sopravvissuta che vuole provare a vivere davvero ed essere felice, è stanca di trascinarsi dentro giorni spenti e opachi. Sa che qualcosa deve cambiare, parte dall'esterno, dalle piccole cose perché si parte sempre da lì, un nuovo taglio di capelli per essere splendente, un look diverso, curato e attento ma non basta, bisogna scavare all'interno, in quel groviglio intricato e doloroso che è la propria storia. Il libro racconta questo difficile percorso verso il cambiamento e la piena consapevolezza di sé, consapevolezza di quello che è accaduto davvero, il riuscire ad accettare tutto l'orrore e a perdonarsi, continuando a vivere malgrado tutto per poter stare finalmente bene benissimo.


"...Quanto più una persona diventa solitaria, tanto meno diventa capace di navigare le correnti sociali. La solitudine le cresce attorno, come muffa o pelo, un profilattico che inibisce i contatti, a prescindere dall'intensità con cui li desideriamo. La solitudine è accrescitiva, si estende e si perpetua. Una volta che vi si è conficcata, non è per nulla facile da rimuovere".
(La città solitaria, Olivia Lang)

"Eccomi qui: Eleanor Oliphant. Capelli lunghi, lisci, castano chiaro, che mi scendono giù fino alla vita, pelle chiara, il volto un palinsesto di fuoco. Un naso troppo piccolo e occhi troppo grandi. Orecchie: niente di eccezionale. Altezza più o meno nella media, peso approssimativamente nella media. Aspiro alla medietà…. Sono stata al centro di fin troppa attenzione in vita mia. Ignoratemi, passate oltre, non c’è nulla da vedere qui."

"Quest'anno nessuno è stato a casa mia, a parte qualche venditore professionale di servizi, ma di mia spontanea volontà non ho invitato alcun essere umano a varcare la soglia, tranne che per leggere i contatori. Pensate che sia impossibile? E invece è vero. Io esisto, no? A volte ho la sensazione di non trovarmi qui e di essere un frammento della mia immaginazione. Ci sono giorni in cui i miei legami con la terra mi sembrano così labili che i fili che mi tengono fissata al pianeta sono sottili come una ragnatela, come zucchero filato. Una violenta folata di vento potrebbe staccarmi del tutto, sollevandomi e facendomi volare via, come un seme di tarassaco."

"Aprii il libro a caso, come si prende un biglietto a una pesca di beneficenza. Si squadernò su una scena cardinale, quella in cui Jane incontra il signor Rochester per la prima volta, spaventando il suo cavallo nei boschi e facendolo cadere. C'è anche Pilot, il bel segugio dagli occhi espressivi. Non ci sono mai abbastanza cani in un libro.
Jane Eyre. Una ragazza strana, difficile da amare. Una bambina sola e solitaria. E' costretta ad affrontare tanto dolore in così giovane età: i postumi della morte, l'assenza dell'amore. Alla fine è il signor Rochester a scottarsi. So qual è la sensazione. Lo so perfettamente.Tutto sembra peggiorare nelle ore più buie della notte (...) Nella semioscurità, nell'oscurità piena, ricordo, ricordo. Sveglia tra le ombre, il battito del cuore di due coniglietti, il respiro come un coltello. Ricordo, ricordo... chiusi gli occhi. In realtà le palpebre sono solo due tendine di pelle. Gli occhi sono sempre "accesi", guardano sempre, e quando li chiudi vedi la pelle sottile e venata dell'interno della palpebra invece di fissare il mondo esterno. Non è un pensiero consolante. In effetti, se ci pensassi abbastanza a lungo, probabilmente vorrei strapparmi gli occhi per smettere di guardare, per smettere di vedere tutto il tempo. Le cose che ho visto non possono essere non viste. Le cose che ho fatto non possono essere disfatte.
Pensa a qualcosa di bello... Consiglio trito e ritrito, ma qualche volta efficace. Così pensai a Pilot, il cane."

"Sul mio cuore ci sono cicatrici altrettanto spesse e deturpanti di quelle che ho in viso. So che ci sono. Spero che resti un po' di tessuto integro, una chiazza attraverso la quale l'amore possa penetrare e defluire. Lo spero."

"Alla gente non piacciono questi fatti, ma non so che cosa farci. Se qualcuno ti chiede come stai, si aspetta che tu risponda BENE. Non devi dire che la sera prima ti sei addormentata piangendo perché erano due giorni di fila che non parlavi con un'altra persona. Devi dire: BENE."

"Non ero in grado di risolvere l'enigma di me stessa."

"Ecco che cosa provavo: il peso caldo delle sue mani su di me; la sincerità del suo sorriso; il calore delicato di qualcosa che si apriva, nello stesso modo in cui i fiori si schiudono la mattina alla vista del sole. Sapevo che cosa stava accadendo. Era la parte priva di cicatrici del mio cuore. Era abbastanza estesa da lasciare entrare un po’ di affetto. C’era ancora un minuscolo spazio libero".