lunedì 28 dicembre 2015

Il mulino sulla Floss


Il mulino sulla Floss, George Eliot (1860)

Mary Anne Evans, che  utilizza forse  per moda o capriccio  uno pseudonimo maschile, pur non avendone assolutamente bisogno, era una traduttrice e saggista  già nota e la sua stessa vita è stata una sfida costante all’ipocrisia e al perbenismo del suo tempo, scrisse questo romanzo nel 1860.
Al centro del libro vi sono le travagliate  vicissitudini della famiglia Tulliver, i rovesci di fortuna dovuti a scelte incaute, e il simbiotico legame  tra Maggie e il fratello Tom.
Maggie dalla bellezza selvaggia, capelli scuri e occhi penetranti, dal carattere impetuoso, in costante lotta tra istinto che significa passione, e sacrificio che significa  rinuncia ai desideri  e ai sogni  in obbedienza ai dettami familiari, al padre e al  fratello ciechi e insensibili nel loro odio. Maggie e i suoi amori imperfetti, Philip intelligente e talentuoso nelle arti quanto deforme nell’aspetto fisico, figlio di chi ha causato non pochi problemi alla famiglia Tullivar e per questo osteggiato nei suoi sentimenti profondi e puliti e Stephen, appassionato e affascinante, un amore proibito, da dimenticare. La corrente impetuosa del fiume, la corrente impetuosa delle passioni. Maggie sacrifica la propria esistenza rinunciando all’amore, alla vita, ai sogni più belli della sua età, fedele a se stessa, ai propri ideali  e al cieco amore che la lega indissolubilmente al fratello. L’impetuosa Maggie, il riflessivo Tom, implacabile nel suo giudizio e nella sua sterile condotta irreprensibile. Un legame inscindibile che li unirà per sempre in un abbraccio, mentre il fiume scorre e travolge.
Ho trovato la prima parte del libro che narra l’infanzia dei due protagonisti un po’lenta nei molteplici dettagli/dialoghi che tendono a ricostruire minuziosamente le  scene di vita domestica, ma da pagina 300 circa la narrazione decolla e avvince il lettore. Un romanzo “pieno, maturo, positivista moralista e intimista”, dove la scrittrice condanna il gretto e soffocante  perbenismo del  tempo, che mortifica i sentimenti e gli slanci emotivi più intensi.
 


sabato 26 dicembre 2015

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Nessuno può salvarti se non
tu stesso.
Sarai continuamente messo
in situazioni praticamente
impossibili.
Ti metteranno continuamente alla prova
con sotterfugi, inganni e
sforzi
per farti capitolare, arrendere
e/o morire silenziosamente
dentro.
Nessuno può salvarti se non
tu stesso
e sarà abbastanza facile fallire
davvero facilissimo
ma non farlo, non farlo, non farlo.
Guardali e basta.
Ascoltali.
Vuoi diventare così?
Un essere
senza volto, senza cervello, senza cuore?
vuoi provare
la morte prima della morte?
nessuno può salvarti se non
tu stesso
e vale la pena di salvarti.
E' una guerra non facile da vincere
ma se c'è qualcosa che vale la pena vincere
è questa.
Pensaci su
pensa al fatto di salvare il tuo io.
Il tuo io spirituale.
Il tuo io viscerale.
Il tuo io magico che canta e
Il tuo io bellissimo.
salvalo.
Non unirti ai morti-di-spirito.
Mantieni il tuo io
con umorismo e benevolenza
e alla fine
se necessario
scommetti sulla tua vita mentre combatti, fottitene
del prezzo.
Fallo! fallo!
allora saprai esattamente di cosa
sto parlando.

( C. Bukowski)


Raw with love

Ragazzina mora dagli occhi gentili
quando verrà il tempo di usare il coltello
non batterò ciglio
e non incolperò
te,
mentre guido lungo la costa, da solo
mentre ondeggiano le palme,
palme brutte, pesanti
quando i vivi non arrivano
e i morti non se ne vanno
non incolperò te,
invece
ricorderò i baci
le nostre labbra scorticate d’amore
e ricorderò come mi hai dato
tutto quello che avevi
e come io ti ho offerto
quello che restava di me
e ricorderò la tua stanzetta
il senso di te
la luce alla finestra
i tuoi dischi
i tuoi libri
i nostri caffè mattutini
i nostri pomeriggi le nostre notti
i nostri corpi fusi
addormentati
flussi e correnti minime
immediate ed eterne
la tua gamba la mia gamba
il tuo braccio il mio braccio
il tuo sorriso e il tuo calore
tu
che mi hai fatto ridere
di nuovo.
Ragazzina mora dagli occhi gentili
non hai un coltello.
Il coltello è mio e non lo userò
non ancora.

(Bukowski)

lunedì 21 dicembre 2015

Top e flop

Tempo di bilanci, ecco dunque la mia  classifica "top e flop" dei libri letti quest'anno :

Top

1) Tutta la luce che non vediamo (A. Doerr)
2) Il tè nel deserto (P. Bowles)
3) Apnea( L. Amurri)
4) Villette (C. Bronte)
5) Le poesie di Ted hughes, Cortàzar, Anne Sexton
6) Rayuela, il gioco del mondo (Cortàzar)
7) Achille piè veloce (Benni)/Chi manda le onde(F.Genovesi)
8) Viaggio al termine della notte (Cèline)
9) L'urlo e il furore (Faulkner)
10)Orientarsi con le stelle (Carver)

Flop

1) Non si muore tutte le mattine (Capossela)
2)Versilia rock city (F.Genovesi)
3) Guida astrologica per cuori infranti (S.Zucca)
4) Perchè tu non ti perda nel quartiere (Modiano)
5) La camera azzurra (Simenon)
6) Follia (McGrath)/ Agnes Grey (A.Bronte)
7) Una più uno (J Moyes)
8)La saga di Bridget Jones (Fielding)
9)  La sposa giovane (Baricco)
10) Saltatempo (Benni)






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In quel preciso momento l'uomo si disse:
che cosa non darei per la gioia
di stare al tuo fianco in Islanda
sotto il gran giorno immobile
e condividere l'adesso
come si condivide la musica
o il sapore di un frutto.
In quel preciso momento
l'uomo stava accanto a lei in Islanda.


( Borges)

 

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Con cosa potrei trattenerti?
Ti offro strette vie, tramonti disperati, la luna dei sobborghi deturpati.
Ti offro l’amarezza di un uomo che ha fissato a lungo la luna solitaria.
Ti offro i miei ancestri, i miei morti, quei fantasmi che i vivi onorano nel bronzo: il padre di mio padre ucciso nella frontiera di Buenos Aires, due pallottole nei polmoni, barbuto e morto, avvolto dai suoi nella pelle di vacca; il nonno di mia madre – ventiquattro anni appena – a capo di una brigata di trecento uomini nel Perù, nient’altro che fantasmi, ora, su cavalli sfumati.
Ti offro qualche frase riuscita tra i miei libri, qualche cenno di virilità o di umore nella mia vita.
Ti offro la lealtà di un uomo che non è mai stato leale.
Ti offro il centro di me stesso, che in qualche modo sono riuscito a salvaguardare – il cuore meridiano che non usa parole, non traffica coi sogni, ancora inattaccato dal tempo, dalla tristezza, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una rosa gialla osservata al tramonto, prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni su te stesso, teorie su te stesso, autentiche e sorprendenti notizie su te stesso.
Posso offrirti la mia solitudine, la mia penombra, la fame del mio cuore; sto cercando di comperarti con l’incertezza, il pericolo, la sconfitta.

(J. L. Borges)

(Una delle poesie più belle, che abbia mai letto)


sabato 12 dicembre 2015

I cento colori del blu


I cento colori del blu, Amy Harmon

A dispetto del titolo questo libro non ha nulla a che vedere con strane sfumature di grigio, nero o rosso, è un libricino semplice, una storia romantica e pulita quasi adolescenziale con qualche incongruenza ma tant’è.
 Se dovessi menzionare tre cose positive di questo libro che non mi ha fatto impazzire, forse perché non ho più 15 anni( purtroppo!) o per il suo stile piatto e incolore, salverei sicuramente  la protagonista Blue, per la sua forza e il suo coraggio nell’affrontare situazioni più grandi di lei e nel cercare di fare luce su un passato oscuro e  nebuloso e due citazioni strabelle, la splendida canzone  di Bob Dylan “make you feel my love” e un chiaro riferimento  a una dolcissima  poesia di Elizabeth Barrett  Browning, a riprova del fatto che anche in un libro insulso possono celarsi piccole e  preziose gemme. In realtà è stata una piacevole evasione, in un periodo in cui non ho voglia di letture che mi facciano pensare troppo o che vadano a scavarmi dentro facendomi male.
E soprattutto c’è un bel lieto fine e non guasta neanche quello di questi tempi.
Sulla trama non anticipo nulla, la  particolarissima storia di Blue e Darcy ( di austeniana memoria) e del loro  limpido amore.
 


mercoledì 9 dicembre 2015

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Definitivamente il mio ginocchio
è innamorato.
di te.
del tuo cervello.
del fatto che mi ascolti.
Definitivamente vuole essere baciato.
sulla cicatrice brutale di bambina.
(è il ginocchio sinistro).
In ginocchio
il mio ginocchio
ti chiede:
che mi accogli
che mi parli
che mi abbracci sotto casa
che mi prendi per i polsi
delle mie tante ferite
che mi fai tabula rasa.

  (Francesca Genti)

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Non c’è domanda che io ti possa fare
se mi rispondi sempre
che sei mare.
Del resto il nostro incontro
è stato vento,
vento che urlava
per strettoie e forre.

Mare che invade coste
e le sommerge,
furia, sudore, corpo a corpo.
Non siamo e non saremo mai
pace e silenzio, ferma calma,
la brezza dolce che accarezza
e passa.
Siamo fatti di carne, tu ed io
quella carne che uccide
e che germoglia.
Di pelle che trema per una carezza,
di scuotimenti improvvisi
e terremoti.
Siamo fatti di carne tu ed io
e di natura che non ha domande.

(Abner Rossi)

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Ti domandi se mi sento sola:
Ok allora, sì, mi sento sola
come un aereo vola solo e orizzontale
sulla sua onda radio, puntando
oltre le Montagne Rocciose
verso le piste recinte di blu
di un aeroporto sull’oceano
Mi vuoi chiedere, mi sento sola?
Bene, certo, sola
come una donna che attraversa il paese guidando
giorno dopo giorno, lasciandosi dietro
miglio dopo miglio
piccole città dove avrebbe potuto fermarsi
a vivere e morire, da sola
Se mi sento sola
dev’essere la solitudine
di svegliarsi per prima, di respirare
il primo respiro freddo dell’alba sulla città
di essere l’unica che è sveglia
in una casa avvolta nel sonno
Se mi sento sola
è come la barca chiusa nel ghiaccio della riva
nell’ultima luce rossa dell’anno
che sa che cos’è, che sa che non è
ghiaccio nè fango nè luce d’inverno
ma legno, con quel dono di poter bruciare.


(Adrienne Rich)

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Quanto tempo – dirai. E ci sarà
odore di treni, di fritto
e una piuma di vento marino
già all’Uscita. Sugli agri giardinetti
della Stazione tornerà la luna.
– Come va – chiederai. Da un indomato
vecchio spiccio poema d’amore
sorriderti sarà meraviglioso:
– Bene, quando ti vedo.


(Daria Menicanti)

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Sto leggendo delle poesie bellissime e non posso fare a meno di condividerle, che meraviglia!!!

 Tu sei il mio amore e la mia disperazione.
Tu sei la mia follia e la mia saggezza.
E sei tutti i luoghi in cui non sono stato
e che mi chiamano da tutti gli angoli del mondo.
Tu sei queste sei righe
cui devo limitarmi per non gridare

( Henrik Nordbrandt)

Ti voglio e non sei qui. Mi soffermo
in questo giardino, a respirare il colore che è il pensiero
prima di diventare linguaggio nell’aria ferma. Pure il tuo nome
è un pallido spettro e, per quanto lo esali senza
posa, non mi rimarrà accanto. Stanotte
ti invento, ti immagino, i tuoi movimenti piú nitidi
delle parole che ti faccio dire e che hai già detto.
Ovunque tu sia ora, nella mia testa mi fissi
con uno sguardo, standotene qui mentre la luce fresca della sera
si dissolve nella terra. Sbaglio la tua bocca
ma sorride lo stesso. Ti stringo a me piú vicino, cosí lontano,
a inventare l’amore finché il canto di uccelli notturni
interrompe e muta quel che doveva succedere, di sicuro,
in ricordo. Le stelle ci stanno filmando senza scopo.

(Carol Ann Duffy)

Primi incontri

Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: “Tu sia benedetta”,
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.
Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e “Dio mio! ” tu eri mia.
Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tua svelò
il proprio nuovo significato: zar.
Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.
Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo
Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.


( Arsenij Tarkovskij)

venerdì 20 novembre 2015

Orientarsi con le stelle

Orientarsi con le stelle, Raymond Carver

“Tutti noi, tutti, tutti,
cerchiamo di salvare
le nostre anime immortali, certi modi
a quanto pare sono più
complicati e misteriosi
di altri.”


Voi non sapete che cos’è l’amore, Racconti in forma di poesia, Blu oltremare, Il nuovo sentiero per la cascata, Per favore non facciamo gli eroi, sono queste le raccolte poetiche di Carver racchiuse in “orientarsi con le stelle”.
In queste poesie aleggiano lo spettro della morte e dell’alcolismo, l’amore per Tess, qualche rimpianto, la passione per la pesca, il ricordo di chi non c’è più, gratitudine e felicità piena per ogni singolo istante goduto e vissuto. Splendide e terse le descrizioni della natura, un velo di malinconia, la paura della morte come una presenza costante che affiora nella quotidianità quando meno te l’aspetti e spalanca uno spiraglio sul mistero e l’altrove.
Una poesia che si apre al mondo parlando la lingua comune, degli uomini che vivono e soffrono senza nessun clamore. Mi ha colpito la forza dirompente di queste poesie, che all'inizio mi sembravano così diverse e impoetiche, diverse dai soliti versi "cuore amore", ma poi all'improvviso dietro la loro apparente semplicità e il realismo descrittivo, si è spalancato l'abisso e ho intravisto un uomo e il suo nudo e puro dolore.
E’ tempo di orientarsi con le stelle, occhi al cielo, anima accesa.

Ecco la poesia che volevo scrivere
prima, ma non l'ho scritta
perché ti ho sentita muoverti.
Stavo ripensando
a quella prima mattina a Zurigo.
Quando ci siamo svegliati prima dell'alba.
Per un attimo disorientati. Ma poi siamo
usciti sul balcone che dominava
il fiume e la città vecchia.
E siamo rimasti lì senza parlare.
Nudi. A osservare il cielo schiarirsi.
Così felici ed emozionati. Come se
fossimo stati messi lì
proprio in quel momento.

domenica 15 novembre 2015

Ogni tuo silenzio

Ogni tuo silenzio, Laura Mercuri

 Visto che a parole non mi salvo,
parla per me, silenzio,
ch'io non posso.

 (J. Saramago)


Questo libro mi è piaciuto per la sua scrittura limpida, cristallina, pulita come un ruscello di montagna immerso nel verde, per i paesaggi che evoca, perché la protagonista è della mia terra, perché Aris è Aris, silenzioso, introverso e bellissimo, perché racconta l’amore e non solo in modo delicato, semplice, perché parlarsi senza parlare nei silenzi, negli sguardi è la cosa più bella del mondo, perché donare un libro alla persona a cui tieni è qualcosa di straordinario.
Questo libro è un soffio di vento, un respiro, una carezza delicata, ma anche una cicatrice indelebile, una fiaba moderna e come nelle fiabe anche qui non mancano personaggi terribili, un padre orco e una perfida matrigna. Ma poi tutto andrà per il meglio.
Alcuni avvenimenti sembrano un po’ stereotipati e forse andavano approfondite meglio alcune dinamiche, ma nel complesso mi è piaciuto.
Questa storia mi ha trasmesso la stessa emozione delle fiabe che leggevo da bambina, parole sussurrate piano, infinita tenerezza, un brivido lungo la schiena per lo scampato pericolo, mentre lentamente scivolavo nel mondo dei sogni.


"Sto imparando che l'amore non è solo luce piena, ma anche tante ombre, e voglio riuscire ad accettare pure quelle, e magari renderle meno oscure.
L'abbraccio di Aris, che mi accoglie quando lo raggiungo su letto, scioglie tutta l'ansia della giornata. Ovunque ci troveremo, lui sarà sempre la mia casa."


venerdì 6 novembre 2015

Il petalo cremisi e il bianco

Il petalo cremisi e il bianco, Michel Faber (2002)

Now sleeps the crimson petal, now the white...


Dieci anni di scrittura, uno stile curato e attento, lo scrittore alterna sapientemente registri stilistici e linguistici bassi e aulici, colti e popolari, descrizioni suggestive e rivoltanti, mescolando cielo e fango, dimore sontuose e brutale miseria, il rosso del sangue e della passione, il candore della neve, meschinità e purezza, religione e abiezione, corpi ardenti, sudati, voluttuosi e angeli caduti.
I personaggi sono descritti con minuzia ossessiva nei loro gesti, parole, pensieri ma restano inaccessibili nel profondo dell’anima.
Questo libro ha deluso le mie aspettative, non è riuscito a coinvolgermi né tantomeno a emozionarmi.
L'ho trovato lento, prolisso, noioso nelle infinite e meticolose descrizioni, soltanto nelle ultime cento pagine è riuscito a incuriosirmi, curiosità che è naufragata in un finale davvero deludente.
L’incipit del libro è accattivante, lo scrittore si rivolge direttamente al lettore, guidandolo nelle strade fredde e buie, nei vicoli fetidi e nauseabondi traboccanti di ladri, mendicanti e prostitute della Londra di fine ottocento. Conosciamo i due protagonisti William Rackam, l’erede delle profumerie Rackam e la giovane prostituta Sugar, diciannove anni, alta, magrissima ,capelli rossi, pelle screpolata, una bellezza atipica e sensuale, poliedrica, intelligente, scrittrice in erba e amante dei libri.
E’ dovuta crescere in fretta grazie a una madre cinica che ha raccontato una fiaba orrenda a una bambina, presto qualcuno l'avrebbe tenuta al caldo, liberandola dal freddo e dalla miseria.
Sugar impara la lezione, è pronta a tutto, cresce maledicendo Dio e le sue odiose creature, astuta, scaltra, desiderosa di riscatto sociale. Nel corso del romanzo l’attrazione di William per Sugar andrà scemando, mentre l’interesse di lei inizialmente freddo e calcolato diventerà autentico e sentimenti quali affetto, amore, briciole di tenerezza riusciranno a penetrare nella sua rigida corazza.
La loro storia di travolgente (?) passione mi ha lasciato piuttosto indifferente.
L’ho trovata ridicola e inverosimile. William è un uomo piccolo piccolo, debole, senza coraggio, anaffettivo, se l’obiettivo dello scrittore era quello di renderlo odioso ci è riuscito alla grande. Sugar è lo strumento di cui si serve per rafforzare il suo vacillante e lillipuziano ego e soddisfare i propri bisogni, prima come amante, poi come istitutrice e infine segretaria quando la porterà a vivere nella sua dimora. Ha bisogno dei suoi preziosi consigli, delle sue costanti attenzioni e rassicurazioni salvo poi sbarazzarsi di lei quando le cose diventeranno troppo complicate. Un codardo insicuro come tanti. Ma non è lei che ama, il piccolo e confuso William riserva la sua tenerezza nostalgica alla fragile moglie, che lo ha rifiutato da sempre e intimamente lo disprezza. Il suo corpo appartiene a Sugar, ma la sua mente e la sua anima restano inaccessibili, anche se personalmente dubito che ne sia dotato. Seguiamo quindi l’ascesa di Sugar dai vicoli putridi del bordello alla lussuosa casa dell'amante. Intorno a loro si delineano le vicende di altri personaggi, Henry il fratello di William, pio, devoto, in precario equilibrio tra vocazione e un amore impossibile, Emmeline Fox indipendente e incurante della frivola mondanità, con un unico scopo nella vita, quello di redimere le ragazze di strada offrendo loro una seconda possibilità, Agnes la fragile e malata moglie di William e Sophie la bambina ombra, l’unica che forse riuscirà a scaldare davvero il cuore di Sugar.
Il titolo del romanzo evoca una bellissima poesia di Tennyson, ma se l’intento dell’autore era quello di far rivivere in chiave moderna il romanzo vittoriano ha miseramente fallito, scrivendo semplicemente un libro senz’anima, lontano anni luce dai capolavori di quel periodo, con un finale/non finale vago e indefinito, una beffa per il lettore che si è dovuto sorbire quasi mille pagine di inutili dettagli senza nemmeno conoscere l'epilogo dell'intera vicenda.

Now sleeps the crimson petal, now the white...

Ora dorme il petalo cremisi, ora il bianco
Ora ondeggia il cipresso nel sentiero della reggia
Ora brilla la scia dorata nella fonte di porfido
La lucciola si desta: destati con me.
Ora svanisce il candido pavone come un fantasma
E come un fantasma debolmente splende su di me.
Ora la Terra offre le sue Danae alle stelle
E a me offre, dischiuso, il tuo cuore intero.
Ora passa la silenziosa meteora
lasciando una scia splendente, come i tuoi pensieri in me.
Ora il giglio si piega in tutta la sua dolcezza
e sdrucciola nel seno del lago.
Similmente flettiti, mia cara, e scivola
sul mio petto e perditi in me.

(A. Tennyson)


mercoledì 21 ottobre 2015

La ragazza interrotta


La ragazza interrotta , Susanna Kaysen (1993)

“Quando sei triste hai bisogno di sentire il tuo dolore fatto musica”.

In questo diario la scrittrice racconta l’esperienza del suo ricovero in una clinica psichiatrica (che aveva annoverato tra i suoi pazienti illustri Sylvia Plath, Robert Lowell, Ray Charles) nel 1967 quando aveva soltanto  18 anni ed era una ragazza inquieta, tormentata e infelice, ci descrive i propri pensieri più intimi e le ragazze conosciute nel reparto. La diagnosi ufficiale: disturbo della personalità borderline, ma labile è il confine tra normalità e follia ed è proprio questa linea sottile che separa dal baratro a  terrorizzare i presunti "normali" o sani di mente.
Lo stile è distaccato, a tratti  ironico, sintetico, estremamente realistico  nel descrivere episodi  crudi e drammatici. Da questo libro è stato tratto il celebre film “ragazze interrotte” che valse ad Angelina Jolie un Oscar come migliore attrice non protagonista nel duemila. Il libro è però nettamente diverso dal film, soprattutto nel finale.
Il titolo del romanzo rimanda a un dipinto che aveva colpito particolarmente Susanna al punto da farla piangere , “il concerto interrotto” di Vermeer, dove una ragazza guarda intensamente fuori dal quadro, lontano, in cerca di uno sguardo che incontri il suo. 
Le  sembra quasi che  voglia metterla in guardia, “premurosa o triste, interrotta mentre suona, strappata e  fissata sulla tela  nella imperfetta e minacciosa luce della vita”. 
Il film mi aveva colpito maggiormente, tuttavia ho apprezzato anche il libro, diretto, intenso, scarno ed essenziale.


 "La gente ti chiede: come ci sei finita? In realtà, quello che vogliono sapere è se c'è qualche probabilità che capiti anche a loro. Non posso rispondere alla domanda sottintesa. Posso solo dire che è facile. Ed è facile scivolare in un universo parallelo. Ce ne sono tanti: mondi di pazzi, criminali, storpi, moribondi, forse anche di morti. Sono mondi paralleli a questo e gli somigliano, ma non ne fanno parte. Nell'universo parallelo le leggi della fisica sono sospese. Non necessariamente ciò che sale scende, un corpo in stato di quiete non tende a rimanerci, e non è detto che ogni azione provochi una reazione uguale e contraria. Anche il tempo va diversamente. Può avere andamento concentrico, scorrere all'incontrario, saltellare dal presente al passato. La disposizione stessa delle molecole è fluida: i tavoli possono diventare orologi; le facce, fiori. Ma queste sono cose che si scoprono in seguito. Un altro aspetto singolare dell'universo parallelo è che, pur essendo invisibile da questa parte, quando ci sei dentro ti è facile vedere il mondo da cui provieni. A volte sembra immane e minaccioso, tremolante come un enorme ammasso di gelatina; altre volte è lillipuziano e attraente, rotante e luminoso nella sua orbita. Comunque sia, non lo puoi ignorare.
Ad Alcatraz ogni finestra ha la vista su San Francisco."

“Controllo”. Non finiva mai, nemmeno di notte, era la nostra ninnananna.
Era il nostro metronomo, il nostro polso. Era la nostra vita misurata in dosi appena un po' più grandi di quei famosi cucchiaini da caffè. Cucchiai da minestra, magari. Cucchiai di latta ammaccati, traboccanti di ciò che avrebbe dovuto essere dolce ma era acido, andato a male, passato senza poterlo assaporare: la nostra vita.

"Stavolta lessi il titolo del quadro: ragazza interrotta mentre suona.
Interrotta mentre suona: com’era stata la mia vita, interrotta nella musica dei miei diciassette anni, com’era stata la sua vita, strappata e fissata su tela: un momento reso immobile, per tutti gli altri momenti, qualsiasi cosa fossero o avrebbero potuto essere. Quale vita può guarirne?
Adesso avevo qualcosa da dirle.”Ti vedo”, dissi.
 Il mio fidanzato mi trovò che piangevo nel corridoio.
“Cos’è successo?” domandò.
“Ma non vedi, lei sta cercando di venirne fuori” dissi, indicandola.
Guardò il quadro, guardò me e disse:” non fai che pensare a te stessa. Non capisci niente di arte”.
Si allontanò per guardare un Rembrandt.
Da allora sono tornata al Frick , per guardare lei e gli altri due Vermeer. Gli altri due quadri sono autosufficienti. I personaggi si guardano l’un l’altro: la signora e la domestica, il soldato e la sua innamorata. Vederli è come sbirciare attraverso un buco in una parete. E la parete è fatta di luce: quella luce di Vermeer del tutto credibile eppure irreale. Una luce così non esiste, ma vorremmo che ci fosse. Vorremmo un sole che ci rendesse giovani e belli, vorremmo vestiti che scintillano e s’increspano sulla pelle, vorremmo soprattutto che un nostro sguardo bastasse a ravvivare tutti quelli che conosciamo, come succede alla domestica con la lettera e al soldato col cappello.
La ragazza che suona posa in un altro genere di luce, l’intermittente, minacciosa luce della vita, che ci fa vedere noi stessi e gli altri solo in modo imperfetto, e assai di rado."
 



lunedì 19 ottobre 2015

Il vagabondo delle stelle


Il vagabondo delle stelle, Jack London (1915)

“La materia non ricorda, lo spirito sì. E il mio spirito altro non è che la memoria delle mie infinite incarnazioni.”

Un classico intramontabile che narra la  storia di Darrell Standing, professore universitario detenuto nel carcere di San Quentin per l'omicidio di un collega. Un ritratto lucido e realistico della violenza disumana perpetrata all'interno della prigione che annienta l’individuo e dell'orrore della pena di morte, alla quale viene alla fine  condannato per un futile motivo, la presunta e insignificante  aggressione a una guardia carceraria.
E poi la tortura della camicia di forza che piega il corpo, corruttibile e mortale, ma non lo spirito, che vagabonda libero  tra le stelle, in epoche lontanissime, tra esperienze estreme e avventure selvagge.
Darrell rivive così le sue vite precedenti, che lo hanno portato a essere quello che è ora, la collera rossa che lo acceca, il dolore, l'amore per una donna che da sempre è all'origine di tutto.
Anche nella cella più angusta e opprimente si può essere liberi, libertà della mente, libertà dello spirito, eterno e immortale.
Si susseguono tra le pagine realismo onirico, reincarnazioni, citazioni letterarie e filosofiche e la voglia di rivivere ancora chissà dove o quando, perché la morte non è la fine di tutto, ma l'inizio di una nuova avventura nel tempo, altre forme, altre storie o memorie.

E ora sono qui, nel braccio degli assassini del carcere di Folsom, che attendo, le mani rosse di sangue, il giorno fissato dalla macchina dello Stato, quando i suoi servitori mi porteranno in quella che chiamano tenebra, quella tenebra di cui hanno paura e da cui attingono immagini di superstizione e terrore, la stessa tenebra che li spinge, fra tremiti e lamenti, davanti agli altari delle divinità antropomorfe, generate dal medesimo orrore.”

“È la vita a costituire l'unica realtà e il vero mistero. La vita è molto di più che semplice materia chimica, che nelle sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note. La vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte le forme prese dalla materia. Lo so. Io sono la vita. Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di anni, ho posseduto numerosi corpi. Io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meraviglia la faccia del tempo, sempre padrone della mia volontà, sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di materia che chiamiamo corpi e che io ho fuggevolmente abitato.”

"Non uccidere». Stupidaggini. Domani mattina mi uccideranno. «Non uccidere». Stupidaggini. Proprio ora nei cantieri navali di tutte le nazioni civili stanno costruendo le chiglie di corazzate e supercorazzate. Cari amici, io che sto per morire vi saluto con questa parola: stupidaggini.

“L'uso peggiore che si possa fare di un uomo è quello di impiccarlo”. No, non ho alcun rispetto per la pena di morte. Si tratta di un'azione sporca, che non degrada solo i cani da forca pagati per compierla ma anche la comunità sociale che la tollera, la sostiene col voto e paga tasse specifiche per farla mettere in atto. La pena di morte è un atto stupido, idiota, orribilmente privo di scientificità.”



giovedì 1 ottobre 2015

E le stelle stanno a guardare

E le stelle stanno a guardare, Cronin (1935)

Questo romanzo racconta la storia di tre famiglie, diverse eppure legate a doppio filo tra loro.
La famiglia Fenwick, i cui componenti lavorano nella miniera di Sleescale, che a dispetto del nome è un vero e proprio inferno, patiscono la fame e condizioni di lavoro molto dure. Tra essi spicca la figura di Davide, che studierà e arriverà a ottenere un seggio in parlamento dove si batterà per la nazionalizzazione delle miniere, aumenti salariali e condizioni di lavoro umane e dignitose per i lavoratori. La famiglia Barras, i proprietari della miniera, il fragile Arturo e l’autoritario padre, attaccato al denaro e al profitto personale e incurante delle rivendicazioni operaie e delle norme di sicurezza sul lavoro, che alla fine si ritroverà tra le mani un pugno di fango. E infine Joe Gowlan che ascende in modo rapido e disonesto i gradini della scala sociale, lusso, agio e spregiudicatezza.
Ma gli sforzi di Davide, schierato dalla parte dei lavoratori e di Arturo, che cercherà di rendere sicura la miniera, si riveleranno vani. A trionfare saranno soltanto l’opportunismo e il cinismo di Gowlan e della classe politica, che una volta eletta disattenderà il proprio mandato, indifferente ai  bisogni della classe operaia.
Il romanzo affronta tematiche sociali molteplici: lo sfruttamento economico, le precarie condizioni di lavoro dei minatori, lo sciopero come strumento di lotta, la rabbia cieca di chi è disperato, l’orrore della prima guerra mondiale, l’obiezione di coscienza punita con il carcere, l’emancipazione femminile e ci offre un quadro della classe politica più che mai attuale. Indimenticabili i personaggi: Davide onesto e coraggioso, Arturo insicuro e sconfitto dal sistema, Jenny seducente e frivola, Annie umile e coraggiosa, Grace mite e innamorata, Hilda che riuscirà a emanciparsi dall’opprimente figura paterna studiando medicina. Il romanzo si chiude nello stesso modo in cui si era aperto, un ragazzo adolescente scende in miniera, nelle viscere della terra mentre le stelle, immobili e lontane stanno a guardare questa umanità che si affanna e sospira, che si sforza di lottare e cambiare le cose ma viene sempre sconfitta. Nel finale del libro mi sono tornate in mente queste celebri parole, altra storia, altra latitudine, ma stessa amara verità : “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”


"Silenzio. Il colpo secco della sbarra di chiusura. I rintocchi lontani d'una campanella. Tutti lì in piedi, i proletari, ammassati nella gabbia, in silenzio, nell'incerta luce dell'alba. Lassù, sulle loro teste, torreggiavano le impalcature della Nettuno dominanti l'abitato, il porto, il mare. Laggiù, sotto i loro piedi, l'abisso della loro esistenza. La gabbia scese. Scese di botto, rapida, nelle oscurità abissali. E il suono della discesa emerse fuori dal pozzo come un gran sospiro che salì fino alle stelle.


lunedì 28 settembre 2015

Via dalla pazza folla



Via dalla pazza folla (Far from the Madding Crowd) T. Hardy (1874)

In questo libro siamo ancora lontani dal cupo fatalismo senza speranza di salvezza dei successivi romanzi di Hardy (Tess of the  d’Urbervilles e Jude the Obscure) che schiaccia inesorabilmente vite e sogni dei protagonisti, qui per la prima volta appare un rassicurante  lieto fine a  ristabilire un sereno equilibrio, nonostante la burrasca degli eventi.
 Il romanzo è ambientato nel Wessex, tra campi e fattorie, dove il tempo scorre immutabile e lento.
Tra cieli e paesaggi naturali incantevoli  si intrecciano le vicende di Bathsheba Everdene bella, indipendente e seducente e dei tre uomini che le ruotano intorno, che incarnano rispettivamente l’amore leale, protettivo e  fedele, la passione folle che fa perdere il senno, la seduzione scaltra e mutevole.
Intense e suggestive le descrizioni della natura, tuttavia tra i libri di Hardy è quello che mi è piaciuto meno, forse nutrivo aspettative troppo alte, a tratti ho trovato la traduzione faticosa e poco scorrevole, da aggiornare forse, anche se è indubbiamente un classico che merita di essere letto. Bellissimo e geniale il titolo del romanzo, via dalla pazza folla e dal suo inutile chiacchiericcio verso la natura incontaminata e il vero amore, forte, tenace e indistruttibile.


venerdì 11 settembre 2015

Fiaba d'amore

Fiaba d’amore, Antonio Moresco

“Libellula, bella libellula, dai a lui le tue ali”.

Tra chiarore e oscurità, luce e ombra, parole sussurrate che diventano quasi una nenia, mentre la neve imbianca la città e il mondo dei vivi si confonde con quello dei morti.
Antonio e Rosa. Un vecchio pazzo che vive per strada tra cartoni e stracci, che ha dimenticato chi era, non sa più parlare né sorridere, un colombo messaggero come unico amico.
Una ragazza bellissima dagli occhi neri, che un giorno inspiegabilmente lo porta  a casa con sé, lo lava, se ne prende cura, lo ama. Trovarsi e riconoscersi, l'amore è tutto qui. Un amore salvifico, calore puro  nel freddo di una città indifferente, un amore fatto di sguardi mani intrecciate tenerezza, abbracci, sofferenza, lontananza, repentino abbandono, che  torna sui propri passi  e trascende la morte e le brutture del mondo, un amore potentissimo oltre il quale non c’è nient’altro.
Una fiaba struggente che con un linguaggio semplice riesce a descrivere dettagliatamente l’indescrivibile, anche  quello che spesso scegliamo di non vedere e affronta tematiche importanti, la solitudine, l’abbandono, il rifiuto, la vita degli invisibili, l’amore e la meraviglia che possono salvarci, contro ogni logica. Il vecchio pazzo e la ragazza bellissima, lo scrittore e la sua amata  creatura, legati indissolubilmente in un  limbo dove l’impossibile diventa possibile, dove soltanto   l’incanto della parola creata che diventa viva e scalda, riuscirà a salvarci dalla morte e dall’orrore del mondo.

  “Andavano avanti così, lentamente, senza parlare, nel mondo che si accendeva, e i passanti che incrociavano sul marciapiede si giravano a guardare sbalorditi quei due, un vecchio straccione dai capelli lunghi e dal naso rotto e una meravigliosa ragazza che stavano camminando abbracciati.
Se avessero alzato gli occhi al di sopra della città e delle case e dei palazzi e dei tetti, avrebbero visto anche la forma di un colombo che stava volando sopra di loro, con la sua ala ferita, con il suo volo sghembo, nel cielo.”

“Io me ne stavo là da solo, al freddo, per strada…Perché mi hai cercato?”
“Io ho indovinato chi sei, ti ho riconosciuto…”




martedì 1 settembre 2015

Lettera al mio giudice



Lettera al mio giudice, G. Simenon

Labile è il confine tra amore e ossessione. Una  passione  totale e sconvolgente che irrompe all’improvviso in una notte di pioggia nella vita di un uomo irreprensibile, medico stimato, marito e padre, infelice e insoddisfatto, e poi cresce, divampa, si mescola al terrore dell'assenza e cambia pelle diventando gelosia, violenza, incubo, fantasmi che assediano la mente e la sconvolgono.
Una lucida follia, perché per far vivere la vera Martine, innocente e  pura, occorre distruggere l’altra,
”la bugiarda, la viziosa, quella dei cocktail, delle sigarette e dei bar, gli sgabelli alti e le gambe accavallate, la sfacciata familiarità con i baristi, le civetterie con tutti gli uomini che le capitavano a tiro”, quella di prima.
Una scrittura tagliente e incisiva, affilata come un rasoio, precisa ed essenziale, che squarcia il velo della rassicurante quotidianità e ci lascia intravedere l’abisso che inghiotte e dissolve un uomo e una donna.
Amore passione folle ossessione.

“Il miracolo è che io l’abbia incontrata, è quel doppio ritardo che ci ha condotti uno di fronte all’altra; ma il fatto più straordinario è che io, Charles Alavoine, una notte che ero ubriaco come lei e che con lei avevo trascinato vilmente la nostra nausea per le vie sporche di pioggia, abbia avuto quell’intuizione improvvisa. Non è stata una vera intuizione, sarebbe più esatto dire che ho intravisto, nel buio profondo in cui brancolavamo, un tenue chiarore in lontananza.
In fondo il vero miracolo è che mi sia venuta voglia, chissà perché, forse perché anch’io mi sentivo solo, perché a volte avevo desiderato sedermi su una panchina e non muovermi più, forse perché mi era rimasto un barlume di vitalità e perché non tutto era spento in me, il vero miracolo è stato che io abbia voluto avvicinarmi a quel chiarore fraterno e cercare di capirlo, e che quel desiderio inconscio sia bastato a farmi superare tutti gli ostacoli.
Non sapevo neppure, allora, che quello era amore”.



lunedì 31 agosto 2015

Guida astrologica per cuori infranti

Guida astrologica per cuori infranti, Silvia Zucca

"Quanto sono taglienti gli oggetti quotidiani con l'assenza. Sono sola. Non c'è astrologia che tenga, non troverò mai qualcuno che voglia costruire con me più di un castello di carte. Solo nei film succede che qualcuno dica "tu mi piaci da morire, Bridget, così come sei" (...) Sono stanca. Stanca di crederci. Stanca di essere delusa. Sono stanca di soffrire. Sono stanca di ricostruirmi, ogni volta, daccapo. Sono stanca di essere forte. Sono stanca che mi si dica che sono forte, come un alibi per trattarmi male. Non ne posso più. Non ci credo più".

Cercavo un libro semplice, divertente e di facile lettura, nessun dramma, nessuna tragedia, nessuno che vuole suicidarsi, ma una bella storia d'amore di quelle che, senza pensare troppo, ti fanno sognare per qualche ora con gli occhi a cuoricino, della serie non è vero ma ci voglio credere. L’idea di fondo è simpatica e originale, ma le numerose pagine e le vicende a tratti inverosimili rendono il libro noioso dopo un po’ e soprattutto la protagonista non è poi così sfortunata in amore, tutt'altro! Incontra casualmente il brillante dirigente, alias tagliatore di teste sosia di Richard Gere, bello, tenebroso e motorizzato, ci fosse mai uno che guida l'ape car... Riccioli al vento, giacca di pelle nera da vero uomo che non deve chiedere mai (ma che poi cos'è questo fantomatico odore di cuoio che fa partire l'ormone???) e il bel tenebroso si innamora di lei, cosa prevedibilissima che si intuisce già dopo il primo capitolo, insomma considerando la tematica esigua 400 e più pagine mi sembrano eccessive, come a voler allungare troppo il brodo, non è mica l’Odissea.
Ma soprattutto questo libro mi ha delusa perché  non mi ha tirato su per niente il morale, la protagonista NON è "sfigata" in amore, è fortunatissima, se c'è una concorrente, vincitrice assoluta e medaglia d'oro delle Zitelliadi, quella sono io.

mercoledì 26 agosto 2015

Esche vive, Versilia rock city



Esche vive, Versilia rock city, F. Genovesi


Una scrittura semplice, frizzante e vivace, divertente e malinconica, imperfetta così come le storie narrate, dove i protagonisti sono personaggi bizzarri e strampalati con una vita incasinata e scombinata, con i loro mille difetti e imperfezioni.
Ho trovato questi due libri piacevoli, scorrevoli, hanno alleggerito di molto giornate pesanti e difficili, li ho bevuti tutti d’un fiato, anche se il mio libro preferito resta chi manda le onde, gli altri li ho trovati meno coinvolgenti ed emozionanti.

Esche vive ambientato in paesino sperduto della provincia toscana, Muglione, tra campi incolti e fossi, racconta le vicende di Fiorenzo, un ragazzo di 19 anni con due passioni grandi, la pesca e il rock, che è cresciuto in fretta imparando a sue spese che spesso”quello che manca conta molto di più di quello che c’è”, di un campioncino geniale che in bicicletta corre fortissimo ma nella vita quotidiana è indifeso ed emarginato dai compagni che lo prendono in giro, di Tiziana che ha 30 anni, gestisce un informavecchi e pensa di aver sbagliato tutto nella vita e di una passione improbabile, assurda e travolgente, che va oltre l’età, l’esperienza, la ferrea razionalità. Perché se vuoi vivere davvero non puoi stare lì fermo e aspettare, nella vita come nella pesca l’esca è importante perché “qualcosa devi mettere in gioco, sennò non ha senso giocare”, mettersi in gioco nel fiume della vita e degli eventi imprevedibili che ci travolgono, ci saltano addosso e ci lasciano poi lì vivi, disorientati e confusi, ma ancora a galla.

Versilia rock city è la città delle vacanze, delle feste, dei ricconi, del mare estivo, che d’inverno si spoglia e si svuota, dove quattro anime smarrite cercano di sopravvivere.
 Mario ex dj famoso negli anni novanta, che vive chiuso in casa da anni tra pc e ansiolitici, Renato il primo della classe, che si è laureato in informatica per far piacere alla madre e ora organizza viaggi esotici in località da sogno per chi non può permettersi altro lusso che quello di una sfrenata fantasia, Nello eccentrico e strambo, con un passato difficile alle spalle, tra droga e violenza e un sogno da pirata e Roberta, avvocato rampante che non riesce a provare alcuna emozione, ha il cuore ghiacciato e vuole vivere prima che sia troppo tardi.
Questo libro mi ha convinto meno, l'impianto narrativo mi è sembrato debole e incoerente, un puzzle dove i pezzi non si incastrano bene e restano slegati e confusi.
Spesso leggo commenti negativi su questi libri perché racconterebbero storie inverosimili di poveri sfigati, che poi è anche il motivo per cui li amo, personaggi sfigati sì, non di successo, non bellissimi intelligentissimi brillantissimi, privi di odiosi e inutili issimi, ma assurdi, a tratti imbarazzanti e quasi ridicoli, confusi e disarmati dalla vita, forse un po’scemi ma tremendamente veri, bisognosi di tutto, così vicini a noi, umani e meravigliosamente imperfetti, con una speranza e la voglia di lottare e sopravvivere nel caos, malgrado tutto.
E allora ben vengano, io sto dalla loro parte.
 

domenica 16 agosto 2015

La grammatica di Dio, Margherita Dolcevita, Saltatempo, Stefano Benni



Avevo letto tempo fa  Achille piè veloce, libro che mi aveva colpito molto e sull’onda dell'entusiasmo ho deciso di leggere altri libri targati Benni, che mi sono piaciuti meno, anche se lo stile di questo scrittore è sempre inconfondibile, ironia sarcastica e graffiante, buffi neologismi, personaggi molteplici e bizzarri, sfrenata fantasia.
La grammatica di Dio è una raccolta di 25 racconti brevi e scorrevoli, di facile lettura, storie “di solitudine e allegria”, dietro il sorriso ironico affiora una feroce malinconia e lo spettro terribile della solitudine e del vuoto. La risata diventa amara e l’epilogo spesso si tinge di nero.
Frate zitto è il racconto più intensamente poetico e fornisce forse la chiave di lettura dell’intero libro, altri racconti sono più scanzonati e divertenti, altri mi sono sembrati banali e a tratti noiosi.
“Infinito lo sciame degli dei, infinita la loro bellezza che vola e morde”.

Margherita Dolcevita racconta la storia di  una ragazzina sensibile e intelligente, dai capelli ricci come fusilli e il cuore un po’ difettoso che vive con la sua stramba famiglia in una casa di periferia immersa nella natura. Ma presto l’armonia sarà minacciata dall’arrivo dei misteriosi vicini, che abitano in uno strano cubo nero super tecnologico, respirano aria purificata, odiano la polvere e ogni forma di diversità e oscurano le stelle con la loro mefitica presenza.
Il libro è una critica impietosa ai mali che affliggono la società contemporanea, dal consumismo, all’inquinamento, al traffico di armi, all’omologazione dei cervelli.
Divertente e malinconico, si legge in poche ore e lascia con il fiato sospeso fino all’imprevedibile finale.

Saltatempo grazie a un orobilogio dono di una strampalata divinità, riesce a “saltare nel tempo”, prevedendo eventi futuri, dialogando con la madre scomparsa e molto altro ancora. Il libro racconta la sua storia dall’infanzia tra i boschi con il padre fino agli anni del liceo, i primi amori, la lotta studentesca, sullo sfondo il 68 e i drammatici avvenimenti che sconvolgono la tranquillità di un paese immerso nella natura.
Anche qui è evidente una critica profonda verso chi distrugge per soldi e interesse gli equilibri della natura, portando corruzione e morte,  una forte accusa a un sistema politico corrotto segnato da mal governo e ingiustizia. Seguiamo negli anni le avventure del protagonista e dei suoi amici tra sorrisi e lacrime, disillusione e amarezza.
Una scrittura piacevole, fantasiosa e arguta volta  alla riflessione critica intelligente.
 


domenica 2 agosto 2015

Tutta la luce che non vediamo



Tutta la luce che non vediamo, Anthony Doerr

“Toccare veramente qualcosa, significa amarlo”.

1934 Marie-Laure vive a Parigi con il suo papà, è  una bambina dalla pelle candida, con i capelli rossi e le efelidi, ha perso la vista a sei anni, ma vede e sente a suo modo il mondo, soprattutto i colori, attraverso gli altri sensi. Costretti a fuggire dalla propria città  a causa dell’occupazione nazista  troveranno riparo a Saint-Malo presso la casa del bizzarro prozio Etienne uomo colto, che non esce di casa da anni, traumatizzato da un’altra guerra e assediato dai propri fantasmi.
Werner vive in un orfanotrofio in Germania  insieme alla sorellina Jutta, ama la radio e la scienza e grazie a questa sua passione riuscirà a sfuggire al duro lavoro in miniera e a entrare  presso l’accademia della gioventù hitleriana. Crescendo i loro destini finiranno per incrociarsi inevitabilmente, mentre infuria la guerra e il mostro nazista avanza.
Ambientato durante la seconda guerra mondiale questo romanzo è suddiviso in capitoli brevi che scandiscono la narrazione con uno stile terso e curato nei minimi dettagli, ogni capitolo è un piccolo gioiello. Ma al di là dell’impianto narrativo di cui non  anticipo altro, tutto il libro oscilla tra buio e luce.
 Il buio dell’anima di un ragazzino (Werner) cresciuto a due passi dalle miniere che hanno inghiottito per sempre  nelle viscere della terra  il padre, il buio degli occhi di una bambina di sei anni (Marie-Laure) quando all’improvviso il mondo si spegne e diventa un’enorme ombra nera, il buio della distruzione, della violenza disumana che spegne intelligenza  e sogni (Friedrich), dell’odio razziale, della follia della guerra, della propaganda ottusa.
E poi la luce della vita che va avanti malgrado tutto perché “la disperazione non dura e i malefici non esistono”, la luce di una ragazzina che continua a vedere il mondo a colori, lo sente lo tocca lo respira, lo trasforma in odori, profumi, suoni, “una ragazzina smilza e sveglia e dentro il petto le pulsa qualcosa di enorme, qualcosa di infinitamente desideroso, qualcosa d’intrepido”.
La luce  della passione per i libri  e per la scienza, la luce della mente, dell’amore indissolubile  di un padre per la figlia e di due fratelli, dell’immaginazione, libera e inviolabile, della fantasia che corre lontano, del dubbio critico  che si insinua dietro l’indottrinamento forzato, del “non lo faccio”, dell’abisso nero che si svela, la luce del sapere  e del progresso che apriranno le porte del futuro, la luce invisibile  che  forse riuscirà a liberarci dopo tanto orrore.
Quella  luce che non vediamo, ma che è lì dentro di noi, che ci avvolge e ci salva, se soltanto troviamo il coraggio di “aprire  gli occhi prima che si chiudano per sempre”, il coraggio di vivere.
Un libro delicato, poetico, splendido.

“Di martedì il museo è chiuso. Marie-Laure e suo padre dormono fino a tardi; bevono il caffè denso di zucchero. Fanno una passeggiata al Panthèon, o al mercato dei fiori, o lungo la Senna. Ogni tanto vanno in libreria. Lui le ravvia i capelli dietro le orecchie; se la fa dondolare sopra la testa. Le dice che è il suo émerveillement. Le dice che non la lascerà mai, mai nella vita.”

“Il mondo gira e rimbomba. Corvi che gridano, freni che sibilano(…) Marie-Laure strascica i piedi finchè la punta del bastone galleggia nello spazio. Il cordolo di un marciapiede? Uno stagno, una scala, un dirupo? Si gira di novanta gradi. Fa tre passi avanti. Adesso il bastone trova la base di un muro. “Papà…”
“Sono qui.”
Sei passi sette passi otto. Un boato di rumore(…) Marie-Laure lascia cadere il bastone; si mette a piangere. Suo padre la prende in braccio, se la stringe al torace scarno.
“E’ troppo grande “mormora lei.
“Ma tu puoi farcela, Marie.”

Marie-Laure  segue cavi e tubature, funi e ringhiere, siepi e marciapiedi. Coglie la gente di sorpresa. Non sa mai se la luce è accesa o spenta.
I bambini che incontra traboccano di domande : fa male? Per dormire li chiudi, gli occhi? Come fai a sapere che ore sono?
Non fa male, spiega lei. E non è un buio, non come lo immaginano loro. Tutto è fatto di tele e reticoli e terremoti di suoni e consistenze(…)
Il colore, un’altra cosa che la gente non si aspetta. Nella sua fantasia, nei suoi sogni, è tutto colorato. I fabbricati del museo sono beige, castagna, nocciola. Gli scienziati sono lilla e giallo limone e rosso volpe. Gli accordi di pianoforte gettano neri densi e azzurri complicati lungo il corridoio, suo padre emana migliaia di colori.

Lei si sdraia. Lui si accende un’altra sigaretta. Gliene restano sei. I pipistrelli si fiondano in picchiata dentro nugoli di moscerini, e gli insetti si disperdono e poi tornano in formazione.
Siamo topi, pensa lui, e il cielo brulica di falchi.

 

domenica 19 luglio 2015

Achille piè veloce


Achille piè veloce, Stefano Benni (2003)

“Ridere dei piccoli dolori è il sollievo dei deboli. Ridere sull'abisso è proprio degli eroi"

La storia di una amicizia unica e speciale, di Ulisse e Achille, due semplici e straordinari eroi del quotidiano.
Ulisse, Lello per gli amici è uno scrittore in piena crisi  creativa, ha pubblicato soltanto un libro, lavora come lettore editoriale presso una piccola casa editrice sull’orlo del fallimento, viaggia ogni giorno su un dragobruco e porta sempre con sé i suoi amati odiati “scrittodattili, dato che scrivere è ormai operazione da dinosauri”. Ulisse poligamo politropo ama Pilar-Penolope, una bellissima ragazza creola col permesso di soggiorno scaduto, che da anni tesse e disfa la sua tesi di laurea sui murales, sta per perdere il lavoro e qualche volta fa la cubista per arrotondare. E poi c’è Achille, il vero eroe e protagonista assoluto del romanzo, fantasia sfrenata e talento creativo,”voce roca e cavernosa”, irriverente, ironico e fuori dagli schemi,  conduce una esistenza  immobile nel  buio della sua stanza, comunicando attraverso un computer a causa di una grave malformazione. Achille con Xanto che a volte impazzisce e gli fa i dispetti, vive in una solitudine senza porte ma ama ridere e scrivere, nonostante tutto.
 “Achille ha la tragedia come destino. Mia madre mi bagnò nella vasca sbagliata. Sono invulnerabile solo nel tallone. Ulisse ha per destino l’avventura e incontrare mostri.”
Un' amicizia che cambierà la loro vita, perché entrambi hanno bisogno dell’altro.
Achille  ha bisogno di Ulisse “perché ha le parole, ma non il mondo” e Ulisse ha bisogno di Achille perché forse ha il mondo, ma non ha più parole. Achille  gli dà forza per opporsi “ a qualcosa di cupo e mortifero”, non gli offre certezze o risposte, ma gli “ regala nuove importanti domande”.
Intorno a questi moderni eroi dei nostri tempi navigano  una miriade di personaggi strambi, buffi e terribili, Vulcano il titolare squattrinato della casa editrice, l’ammaliante segretaria Circe, il perfido Febo, fratello di Achille, la tenera madre.
 Un libro ricco di brillante umorismo, ironia tagliente, divertenti neologismi, ma anche malinconico, commovente, intelligente, mai scontato o retorico, che ha come protagonista l’umanità fragile, forte e imperfetta  di due piccoli grandi coraggiosi eroi moderni che lottano contro una realtà quotidiana difficile  e mostruosa.

"Cosa succede alle persone cosiddette normali quando incontrano di colpo un matto che urla, o le investe di un delirio incomprensibile? Quando vedono qualcuno crollato a terra, o inchiodato da uno spasmo sui gradini di una chiesa? Dopo l'incontro restano immobili, con un'espressione di disagio, di paura o di stordimento. Ma il loro volto è cambiato, è come se fossero state fotografate da una luce accecante, scuotono la testa, parlano da sole, per un attimo anche la loro normalità sembra incrinata. Cos'hanno visto nel lampo di quella luce, quale paesaggio, quale specchio, quale verità insostenibile che dimenticheranno subito dopo, ma la cui immagine resterà per sempre, in qualche recesso buio del loro cuore, nella biblioteca in fiamme della loro vita?"

"Lei fa tutto "quasi"? Anch'io. Ma nel mio "quasi" c'è un'impossibilità, nel suo c'è una scelta, una noia, un'insufficienza. Lei è qualche volta "quasi" solo?”
-Proprio così
Io no. Io sono solo in modo diverso da lei. Lei vaga in una grande stanza con una porta in fondo, l’uscita dalla sua solitudine. Qualche volta vede la porta ma fa finta di niente, continua a vagare e lamentarsi e dire a se stesso, sarò sempre solo.
Io invece vago in una stanza senza porte. Posso tutt’al più sognare una porta".

"Siamo uguuaili, nel bene e nel male.
Okay, disse Ulisse, siamo uguu-ailiiii.”
Achille rise, di una risata faticosa che gli spezzava il respiro. Infantile, inattesa, contagiosa.
Chiuse gli occhi e per la prima volta Ulisse riuscì a comporre insieme i lineamenti, ad avere il coraggio di guardare le orecchie attaccate alle tempie, le labbra sghembe.
Il mostro si dissolse in un volto, un volto mai visto prima".

"Sai cos’è un amico? Uno che non ti vede come un rosario su cui sgranare le proprie assoluzioni, ma come qualcosa di complicato e doloroso, che cammina insieme a te, qualcosa che non capisci mai fino in fondo e che ti invade.
Mentre tu parli io mi alzo da quella sedia e vado a vedere il mondo. Mentre io parlo  tu ti siedi e scopri che sei muto e senza fiato, con la testa inchiodata e le mani incapaci di parare i colpi. Poi la vita ci darà strade diverse. Tu prenderai tutta la gioia che puoi, io mi accontenterò di sognare a una finestra, tu soffrirai per piccoli grandi dolori, io ti invidierò per questo. Il luogo ove si incontrano la nostra amicizia e la nostra invidia è un luogo raro, e basterebbe che tu lo ricordassi sempre perché io sia, una volta per tutte, rispettato".


"Hai un nome a cui rispondi, il nome con cui ti chiamano gli uomini. Ma qual è il nome del tuo mistero, il nome a cui rispondono i tuoi ricordi, le tue paure, la tua ispirazione? Credi che ci sia una parola che può descrivere tutto questo? Non c'è: se ci fosse, sarebbe il nome del tuo buio.. Quanti libri nascosti nel silenzio di chi vive immobile, muto, cieco. Avresti mai detto che dietro una brutta copertina, in una testa così mal costruita ci fosse l'ordine e il disordine di una storia? Non ci accorgiamo mai che c'è una pagina nel libro che non riusciamo a capire, la più bianca, la più inutile, che è invece quella per cui tutto è stato scritto. Perché non riusciamo a vederla?"

"Quanti cristi inchiodati a una sedia o a un letto la gente scavalca, per inchinarsi a un cristo di legno. Quanti sacrifici dimenticati, per ricordarne uno. Se mi facessero entrare in una chiesa, griderei: smettete di guardare quell'altare vuoto. Adoratevi l'un l'altro."

 "Soldi, dracme, sesterzi, e collane di conchiglie per me. Gioia, meno di quanto vorrei e di quanto avrei bisogno. E dentro questa gioia, ogni volta, ostacoli e battaglie e solitudine, pagine stracciate e buttate via. Ma ora la gioia è qui, tu l’hai procurata perché io potessi viverla e dimenticarti. Vuoi vedere se ho capito la lezione, Achille? Se ho imparato a camminare a occhi aperti, se rispetterò sempre il silenzio immobile dietro cui nascono libri meravigliosi, che nessuno scoprirà mai?(…)
Il mondo fuori dalla finestra gli apparve sospeso nello spazio, piccola isola scomparsa da ogni mappa, col nome inghiottito dal buio. La gente camminava  in fretta, a occhi chiusi, su ponti instabili e nebbiosi, sui marciapiedi gelati, nel lamento dei clacson che saliva al cielo avvelenato. Tutto gli sembrò difficile, disperato, doloroso.
Era ancora  viaggio, ancora guerra.
Ama il tuo respiro. Con la spada di una matita. Chiuse gli occhi".


sabato 11 luglio 2015

Chi manda le onde



Chi manda le onde, Fabio Genovesi

“Sai Luna, mi sa che a questo mondo, se vuoi piacere alla gente, devi essere grigio come loro.
Noi non siamo grigi, e ce la fanno pagare ogni giorno”.

Le onde del mare che portano a riva misteriosi regali venuti da lontano che una bambina raccoglie e custodisce nella sua camera. Le onde della vita che travolgono e sconvolgono, rimescolando le carte del destino, quando sei lì felice e spensierata e accade l’imprevisto, il dolore ti afferra alla gola e ti toglie il respiro.
Le onde della passione che ti fanno tremare il cuore, quando arriva “quel tempo senza tempo che dà un senso a tutto e giustifica tutto il resto”. In questo libro si alternano i punti di vista dei vari personaggi, unici, speciali, eccentrici, irriverenti, imperfetti, buffi, incasinati, diversi e splendidi.
Un arcobaleno di colori folli in un mondo grigio e squallido.
Luna la bambina albina dalla pelle candida che ama il mare e si pone mille domande.
Luca bello come il sole, intelligente e libero, che strega i cuori di tutte le ragazze e ama surfare.
Zot, il bambino venuto da Chernobyl che parla il linguaggio curato e perfetto di un adulto, col suo cappotto da vecchio, la fisarmonica stonata e il cappello di paglia.
Il nonno bagnino, comico e verace. Sandro il prof, lavoro precario, vita precaria, che vive con i genitori e ama Serena, bellissima “ due occhi struccati eppure stupendi dopo una giornata di lavoro, che da soli sculacciano l’intera industria dei cosmetici e della moda,” ribelle e chiusa nel proprio dolore.
Personaggi fuori dagli schemi e un po’ strambi, come gli alberi storti, nodosi e sbilenchi del bosco della “casa dei fantasmi”,”che si reggono l’uno all’altro e stanno ancora in piedi anche dopo i temporali”.
Perché il segreto per sopravvivere e andare avanti nonostante le tempeste della vita è tutto qui, reggersi l’un l’altro, tenendo gli occhi rivolti alle cose in arrivo, seguendo la corrente.
Un libro dal linguaggio semplice e scorrevole, la lingua imperfetta parlata quotidianamente, un libro divertente, brioso, ironico, malinconico.
Mi è piaciuto molto perché mi ha fatto ridere e anche piangere a pagina 99 per l’esattezza, quando tutto sembra andare per il meglio “e invece”.
E se un libro riesce a disarmarmi a tal punto, vuol dire che sa toccare le corde giuste e per me vale qualcosa.
Storie di vita incasinata e scombinata, di dolore, amore, smarrimento, paure, pensieri, inquietudine, confusione, emozioni.
Un libro che si legge tutto d’un fiato, che è come una brezza leggera, di quelle che soffiano sulla riva del mare, quando sei lì tra blu e orizzonte sconfinato e osservi le onde spumeggianti e bianche che si infrangono sulla battigia, imprevedibili, ribelli, bellissime, caotiche, veloci, pazze, libere, indomabili, eternamente uguali e diverse, e poi all’improvviso trattieni il fiato e ti tuffi in quel caldo abbraccio, che è come una carezza.
Le onde del mare, le onde della vita.

“Ogni colpo è più forte e profondo, un passo in là verso un mondo dove non ha più senso chi sei, cosa vuoi, cosa è giusto e cosa no. E avanti così, e ancora, e ancora, per il tempo senza tempo delle cose che danno senso a tutto, e uno si sveglia ogni giorno e si veste e si pettina ed esce di casa, perché sa che ogni tanto, nei giorni sempre uguali, a sorpresa si infila un pezzetto di questo tempo qua, e giustifica tutto il resto. E tutto il resto è la spiaggia, la sabbia sotto le ginocchia, la gonna un po’ strappata da una parte, il suo respiro sul collo che sa di fumo e forse anche di pino, di quella resina trasparente appiccicosa e dolcissima, che una volta che ti si incolla alla pelle non se ne va più.”

"Il suono distorto di una chitarra elettrica a tutto volume, questa è la grande linea divisoria, il colpo di mannaia che separa in due l'umanità. Sei miliardi abbondanti di persone, mille colori e mille lingue e mille pettinature diverse si possono distinguere velocemente in due soli gruppi: quelli che adorano il suono di una chitarra elettrica distorta e quelli che lo detestano. Non ci sono vie di mezzo, non esiste gente che ascolta un assolo di fuoco e resta lì tiepida e indifferente.
Lui adora la chitarra elettrica, è il suono della vita, così forte e così strano, pieno di melodia e insieme di fischi, roba magnetica che si avvolge alle note, e voglia e rabbia e fughe, sbagli e schizzi e tanto casino, tutto mescolato insieme e infilato di forza in un pezzo di legno con sei corde tirate sopra e sparato nell'aria a tutta potenza."

"Te l'avessero chiesto prima, cos'è il dolore, avresti detto che è una belva malefica, che ti salta addosso e ti graffia, ti morde, ti squarta. E avresti detto una cazzata. Perché questo non è il dolore, Serena, questo al massimo è il mostro di un film dell'orrore. Ma cosa ne potevi sapere. Di film ne hai visti un sacco, invece il dolore vero non l'avevi provato mai. Ora ha riempito la tua vita. Anzi, no, una vita non ce l'hai più, adesso il dolore è la tua vita, e hai capito che non ti salta addosso come una belva, il dolore non ha fretta. Arriva piano, tanto che per un po' ti guardi intorno e non capisci, cominci a pensare "ma insomma dov'è?". E lui intanto si avvicina, si avvicina e sale, e quando ti arriva addosso è così enorme che non puoi scappare. Non arriva da un punto preciso, ti sta tutto intorno come il mare quando è mosso, un mare profondo e buio e pieno di onde altissime che arrivano da tutte le parti (...)"

"La vita è un temporale, è una burrasca. E' una tempesta di schiaffi, con dentro ogni tanto, per sbaglio, una carezza."
"Si nonno, però..." fa Zot. "Però secondo me l'importante è non abituarsi mai a questi schiaffi.
Non giungere al punto in cui il nostro viso diventa insensibile, perché poi quando finalmente arriva quella carezza meravigliosa, ecco, dobbiamo sentirla bene e godercela fino in fondo".