domenica 2 agosto 2020

Storia di Ásta

Storia di Ásta, Jón Kalman Stefánsson
"Che altro è l'essere umano, se non desiderio?"
"Forse si dovrebbero possedere soltanto quei libri che hanno qualcosa di indifferibile da dirci, che ci riguardano davvero."
Storia di Ásta è uno di quei libri.
La luna che illumina il buio là fuori e riempie tutta la finestra, il fiordo gelato, una montagna che sembra salire su su fino al cielo, una fattoria remota, fuori dal mondo, che profuma di fieno, terreni sassosi e desolati, una vecchia che si sveglia ogni giorno in un'epoca diversa, un contadino taciturno e solitario, la notte e le sue stelle accese, un cielo terso d'estate, pioggia gelida incessante, due occhi malinconici che sorridono.
La vita, l'amore e la notte che avanza con le sue ombre facendosi strada con una lanterna.
Legami familiari complessi, viscerali, dolorosi, che lasciano cicatrici profonde perché l'amore sa essere paradiso e inferno, tormento ed estasi, crudele, egoista, felice e disperato, passione assoluta che può provocare ferite insanabili.
Questo romanzo è popolato da voci e storie che si intrecciano, si rincorrono avanti e indietro nel tempo.
Lo scrittore spesso si smarrisce, perde il filo, torna indietro, commette errori, sbaglia strada, "perché viviamo contemporaneamente in tutte le epoche" confessa candidamente al lettore.
Ecco il seminterrato a Reykjavík dove Helga e Sigvaldi giovani e innamorati fanno l'amore con impeto e passione.
Helga bellissima come Liz Taylor, elettrica, energia pura, inquieta, insoddisfatta della routine quotidiana, di un ruolo di moglie e madre che le sta stretto e giorno dopo giorno sembra soffocarla.
Sigvaldi modesto imbianchino, paziente e innamorato di questa donna così bella da mozzare il fiato, che inspiegabilmente ha scelto proprio lui.
E poi Asta come la sfortunata eroina del romanzo di Laxness "Gente indipendente", persa nella brughiera, Ast che senza la a finale significa Amore.
Amore passione ma anche solitudine, rabbia, incomprensione, infelicità.
Asta ribelle, indomita, ragazzina problematica, che sogna di volare via lontano, le braccia come ali, donna inquieta e appassionata che forse somiglia a sua madre, quella smania ribelle nel sangue, quell'impeto ardente.
E poi Jòsef un ragazzino che ha duemila anni "l'unico che non ha mai perso la poesia", il primo amore e l'ultimo.
Il silenzio e l'assenza sottile, lacerante che ferisce e annienta.
Parole d'inchiostro, lettere che provano a bucare il muro dell'assenza e a richiamare indietro chi è andato via e forse non può tornare.
Parole che distruggono e salvano, poesia come resistenza alle brutture del mondo, letteratura che può aiutarci a vivere o prepararci a morire.
Un linguaggio lirico ed evocativo dove si intrecciano e sovrappongono vari piani temporali.
Un libro che esige la piena attenzione del lettore.
Qui ho ritrovato le suggestive atmosfere tipiche di questo scrittore islandese, malinconia tanta malinconia, siamo strumenti a sei corde e una di queste si chiama malinconia, il tempo che passa in un soffio, l'amore complicato, doloroso e bellissimo, la vita che sembra sconfinata ma è solo un battito di ciglia e poi il buio che incombe.
Un romanzo intenso, struggente, lirico, profondo, evocativo, che illumina le nostre zone buie, pone interrogativi, fa riflettere, una scrittura limpida come quel cielo d'estate che d'improvviso si riempie di nuvole nere minacciose.
Perdersi tra fiordi grigi e gelidi, cieli stellati, mare rabbioso e urlante, perdersi tra tante storie che si intrecciano mentre la vita accade. Semplicemente.
Amo i libri così. Ma così come? Indifferibili. Come questo.
Ti trasportano altrove, completamente.
Respiro immenso, boccata di aria pura.
Immergersi nella notte rischiarata dalla luna, nella luce che soltanto il buio fa risplendere.
Un romanzo che è un respiro, un tremulo battito di ciglia, una vita, tante vite, e il vento impetuoso dell'amore che scuote e sconvolge.
Una bambina, una donna matura, una famiglia complicata, errori, paure, desideri, sogni infranti, amore sempre anche se ferisce e fa male, poesia, bellezza, paesaggi mozzafiato, qualche rimpianto, godersi il viaggio, non rimandare a domani, potrebbe essere tardi, siamo qui e ora e intanto la vita accade, semplicemente.
Fatevi un regalo, leggete Jón Kalman Stefánsson e godetevi quell'atmosfera sospesa, rarefatta, evocativa che soltanto lui riesce a creare.
Questo è uno di quei libri che possono salvarci trasportandoci altrove. Uno di quei libri indifferibili, che ci riguardano davvero.
***
"Qui non c'è altro che una vita di fatica, il mare infinito, e le montagne che amplificano i venti, trasformandoli in bufera.
Ma a volte, in certi giorni, in certe sere, in certe notti, questo posto è così bello che sembra proprio che Dio stia scendendo sulla terra per stringere un patto con gli uomini e gli animali. Altre volte non offre abbastanza per una vita intera.
A volte ti posso baciare, a volte posso tenerti stretta, a volte posso addormentarmi al tuo respiro, a volte posso svegliarmi mentre sussurri il mio nome. A volte è come dire raramente.
A volte non vuol dire spesso, ma solo di tanto in tanto.
A volte significa che passerà molto tempo fino alla prossima volta, e per questo sei condannato all'infelicità.
Poi gli edifici crollano sulla tua vita.
Allora il cielo imbrunisce,
e pensano sia la morte."
"Chi non è mai uscito in una notte d'agosto di luna piena, quando le montagne non hanno più niente di terreno, il mare si è trasformato in uno specchio d'argento e le zolle d'erba in cani addormentati, non ha mai vissuto davvero e bisogna porvi rimedio".
"Vuoi sapere qual è la mia sventura? È che quei maledetti extraterrestri si sono dimenticati di venire a prendermi quando avevo diciannove anni per rendermi immune alla routine. Si sono dimenticati di me. Si sono dimenticati di disconnettermi il desiderio di libertà e di avventura. E adesso è troppo tardi, sono troppo vecchia. Tu sei libero, perché non vedi la prigione che ti circonda. Io sono prigioniera, perché vedo le sbarre. Tu sei stato scollegato in tempo. Ti hanno staccato l'inquietudine, la foga, la sete di novità, di imprevisto. A me invece è rimasto tutto dentro. È questa la mia sventura."
"Ciascun essere umano è uno strumento a sei corde e una delle corde di Ásta si chiama malinconia."
"E dove andarsene
come fuggire
se non c'è modo di uscire dal mondo?"
"Ce n'era solo uno che era diverso. Solo uno che non cambiava mai. Che non ha mai perso la poesia.
Solo uno che sapeva trasformare i sassi in imprecazioni.
Era focoso mentre la penetrava, ma anche straordinariamente sensibile. E nel momento dell'orgasmo piangeva sempre un poco.
Ce n'era uno solo.
Poi è scomparso nel silenzio.
Allora non c'è proprio alcun modo per uscire dal mondo?"
"Per questo la vita è incomprensibile. È dolore. È tragedia. È la forza che ci fa risplendere."
Colonna sonora: I put a spell on you, Nina Simone