mercoledì 27 dicembre 2017

La ragazza dai capelli strani

La ragazza dai capelli strani (Wallace)

I racconti di questa raccolta sono folli, rivoluzionari, cervelloticamente geniali.
Prendete il racconto tradizionale, scomponetelo in tanti minuscoli pezzettini e poi fatelo volare giù dalla finestra, qui c'è qualcosa di assolutamente nuovo e dirompente. Una lettura che ha assorbito tutta la mia attenzione e le mie energie. Non puoi leggere Wallace inserendo il pilota automatico, devi concentrarti su ogni singola parola, frase, periodo.
Un sentiero impervio e tortuoso e poi una vista mozzafiato.
Seguire la danza vorticosa e frenetica delle parole, perdersi nei pensieri caotici che affiorano tra le pagine, onde d'inchiostro ribollenti e vive.
In ogni parola c'è lo scrittore, si avverte la sua ingombrante presenza ovunque, con una scrittura cerebrale, artificiosa, pirotecnica, innovativa, originale, ironica, che travolge e stravolge, che non dà tregua. Racconti sospesi nel vuoto, indefiniti nel finale aperto, racconti che lasciano intravedere l'abisso che abbiamo sotto i piedi, un baratro profondo e buio che non ci inghiotte, lo intravediamo soltanto e poi facciamo in tempo a fare un passo indietro.
Io l'ho intravisto.
Un libro che a tratti mi ha trasmesso angoscia, inquietudine. Un libro straordinario, non avevo mai letto nulla di così follemente geniale.
In particolare sono rimasta incantata dal primo racconto e dall'ultimo.
Racconti che parlano d'amore e vita, di quanto sia faticoso, difficile, assurdo, poetico, doloroso, complicato esistere, che mettono a nudo impietosamente le nevrosi, le ossessioni, le paure, le follie, gli incubi che l'uomo contemporaneo si porta dentro. Questo libro è stato il mio primo Wallace, sono terrorizzata e tentata da questa scrittura, che è una sfida, una vertigine, un salto nel vuoto, un labirinto dove smarrirsi e poi ritrovarsi, lasciandosi guidare dal gioco magico e perverso delle parole, dalla loro forza travolgente.


"Di' che il senso dell'amore sta tutto nel tentativo di infilare le dita nei buchi della maschera della persona che ami. Di far presa in qualche maniera su quella maschera, e chi se ne importa di come ci riesci".

"Poi digli di guardare da vicino la faccia degli uomini. Digli di stare perfettamente fermi, per un po' di tempo, e di guardare in faccia un uomo. Sulla faccia degli uomini non c'è niente. Guarda da vicino. Digli di guardare bene. E non quello che fa la faccia: le facce degli uomini non stanno mai ferme, sono come antenne. Ma l'unica cosa che fanno è spostarsi da una configurazione all'altra di pura inespressività".
Faye cerca gli occhi di Julie nello specchio.
"Digli che nelle maschere degli uomini non ci sono buchi dove infilare le dita. Digli come si potrebbe mai anche solo sperare di amare qualcosa su cui non si può far presa".
Julie gira la poltrona del trucco e guarda Faye.
"E' in questi momenti che ti amo, se ti amo, quando la tua faccia si muove e assume un'espressione. Cerca di guardare fuori da te stessa, in maniera diversa, sempre".

(...) I mari sono mari solo quando si muovono. Sono le onde a impedire che i mari siano semplicemente delle enormi pozzanghere. I mari sono fatti soltanto dalle loro onde. E ogni onda del mare è destinata a incontrare ciò verso cui si muove, e a infrangersi.

(Piccoli animali senza espressione)

"Dico Mayfly con te non so più cosa fare o cosa dire o a cosa credere. Ma ci sono delle cose che so per certe. So che io sto diventando vecchio e tu no. E che ti do tutto quello che ho da darti, con le mani e con il cuore. Tutto quello che ho dentro di me te l'ho dato a te. Tengo duro e lavoro sodo ogni giorno. Ho fatto di te l'unica ragione che ho per fare quello che faccio sempre. Ho cercato di costruire una casa per te, una casa di cui facessi parte, e che fosse una bella casa.
Dico Mayfly il mio cuore ha fatto il giro del mondo e ritorno per te ma ho quarantotto anni.
È ora che la smetto di lasciarmi semplicemente trascinare dalle cose. Devo usare quel po' di tempo che ancora mi resta per cercare di sistemare tutto e stare bene. Devo provare a stare come ho bisogno di stare. In me ci sono delle esigenze che tu non riesci neanche più a vedere, perché ci sono troppe esigenze tue di mezzo.
Lei non dice nulla e io guardo la sua finestra e sento che lei sa che io so, e seduta sul mio divano fa un movimento. Ripiega le gambe sotto di sé, ha un paio di pantaloncini.
Dico in fondo non mi importa di quello che ho visto o credo di aver visto. Non è più quello il punto. So che io sto diventando vecchio e tu no. Ma ora mi sento come se ci fosse tutto me stesso che va verso te mentre di te in cambio non mi viene più niente.
Ha i capelli tirati su con un fermaglio e delle forcine e si tiene il mento con la mano, è mattina presto, sembra che stia sognando rivolta verso la luce pulita che entra dalla finestra bagnata sopra il mio divano.
È tutto verde, dice. Guarda com'è tutto verde Mitch. Come fai a dire di provare certe cose quando fuori è tutto così verde.
La finestra sopra il lavello del mio cucinino è stata ripulita dal violento acquazzone di stanotte e ora è una mattina di sole, è ancora presto, e fuori c'è un casino di verde. Gli alberi sono verdi e quel po' d'erba che c'è oltre i dossi rallentatori è verde e allisciata. Ma non è tutto quanto verde. Le altre roulotte non sono verdi e il mio tavolino lì fuori con le pozzanghere allineate e le lattine di birra e le cicche che galleggiano nei portacenere non è verde, né il mio furgone, o la ghiaia della piazzola, o il triciclo che sta rovesciato su un fianco sotto un filo per il bucato sopra accanto alla roulotte vicina, dove c'è uno che ha fatto dei bambini.
È tutto verde sta dicendo lei. Lo sta sussurrando e il sussurro non è più rivolto a me lo so.
Getto la sigaretta e volto bruscamente le spalle al mattino con il sapore di qualcosa di vero in bocca. Mi volto bruscamente verso di lei che sta sul divano in piena luce.
Da dov'è seduta sta guardando fuori, e io guardo lei, e c'è qualcosa in me che non si riesce a chiudere, nel guardarla.
Mayfly ha un corpo. E lei è la mia mattina. Dite il suo nome".

( È tutto verde)

venerdì 22 dicembre 2017

Il diario di Bridget Jones

Il diario di Bridget Jones (Helen Fielding)

Ci sono due cose che mi rendono tollerabile il mese di dicembre con il suo bagaglio di luci colorate, alberelli più o meno verdi, strenne natalizie, corse all'ultimo regalo, parenti rompiballe, queste due cose sono i cartoni animati Disney e questo libro, portato poi sullo schermo millemila anni fa.
La scelta di Firth nel ruolo di Darcy non è stata casuale, è stato voluto fortemente dalla scrittrice proprio perché aveva già interpretato questo celebre personaggio letterario nella miniserie "orgoglio e pregiudizio".
L'unico motivo per cui ho letto questo libro è stato Colin Firth, un motivo più che sufficiente.
Chi è Bridget Jones? E' una giovane donna in carriera, una zitella over trenta con una stramba famiglia alle spalle, una madre assillante e improbabile, amiche eccentriche con cui uscire e fare casino, un lavoro nella caotica Londra e un capo da cui tutte dovrebbero stare alla larga, inaffidabile ed egocentrico, una vita sentimentale incasinata, fumatrice, affetta da logorrea verbale, in perenne lotta con la bilancia, in grado di dire o fare sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato, collezionando figuracce epiche.
Insomma è una ragazza simpatica, un po' sfigata, alle prese con il suo corpo imperfetto, i chili di troppo e una vita sentimentale a dir poco disastrosa.
Scritto sotto forma di diario, questo libretto narra le disavventure tragicomiche di Bridget. Eppure i giorni di dolorosa solitudine e delusioni sentimentali stanno per finire. Durante un party casalingo a base di cetriolini e sottaceti organizzato dalla madre per le feste natalizie incontra lui, non un semplice uomo, ma LUI, il Signor Darcy di austeniana memoria, ok forse Jane si starà rivoltando nella tomba in questo momento, ma proseguiamo.
Chi è Darcy? Il suo vicino di casa, un uomo intelligente e brillante, affidabile, mentalmente stabile e rassicurante, col cuore spezzato da una ex moglie perfida di razza crudele. Durante il loro primo incontro se lei straparla nervosamente, lui non se la cava meglio, con il suo maglione natalizio rennacentrico passato alla storia. Attraverso varie peripezie si ritroveranno, lei la dolce Bridget che da piccola correva nuda nella sua piscina, lui il gentiluomo rigido e serioso, votato al lavoro e all'impegno civile. Bridget e Mr Darcy sono agli antipodi, non hanno nulla in comune, lui è un paladino dei diritti civili, lei una buffa ragazza pazza.
Eppure.
Se c'è una cosa che rende Mr Darcy tale è proprio il suo modo di essere, un cavaliere senza macchia e senza paura del nuovo millennio, sempre presente e disponibile quando c'è bisogno di lui, a costo di attraversare il mondo intero, quando Bridget si infila in una delle sue assurde disavventure. Non la trova ridicola, grassa, inopportuna, stupida, malgrado le sue figuracce e il dire apertamente quello che pensa, al contrario a lui incredibilmente Bridget piace "così com'è".
Non la vuole più alta, più magra, con più tette, più intelligente, meno imbranata, no, lei è perfetta così com'è. Perfetta per lui. Forse è la sua ancora di salvezza per non affogare in un mare di grigia noia, il suo arcobaleno privato, la sua dose di sana follia quotidiana.
Per Bridget Mark Darcy è l'ago della bilancia, l'equilibrio in un universo caotico e imprevedibile e soprattutto il suo meraviglioso principe azzurro. Perché cos'è questo assurdo libro se non una fiaba moderna?
Ecco se devo associare dicembre a qualcosa di bello mi piace pensare a loro due in piedi in mezzo al nulla, mentre nevica, abbracciati stretti, una ragazza un po' stramba e un ex bravo ragazzo.
E lo so che il principe azzurro non esiste, lo so che nella vita reale c'è sempre qualcuno che vuole cambiarti e per cui non sei mai abbastanza, che ti farà del male e ti deluderà o viceversa, e magari proprio a dicembre sparirà per sempre dalla tua vita e addio favola. So anche che questo è un libro semplice, facile, comico, trash quanto vi pare, però in questo mese gelido a me piace pensare a loro due innamorati più che mai, felici e contenti come nelle fiabe.
Per tornare alla realtà c'è sempre tempo.

"E così presi una grande decisione, mi dovevo assicurare di non ritrovarmi l'anno prossimo mezza ubriaca ad ascoltare FM nostalgia, le canzoni più belle per gli ultra trentenni! Decisi di riprendere in mano la mia vita. E cominciare un diario, in cui scrivere tutta la verità su Bridget Jones, nient'altro che la verità. Decisione numero uno: ovviamente perdere dieci chili. Numero due: mettere sempre a lavare le mutande della sera prima. Ugualmente importante: trovare un ragazzo dolce e carino con cui uscire, evitando di provare attrazioni romantico-morbosa per nessuno dei seguenti soggetti: alcolizzati, maniaci del lavoro, fobici dei rapporti seri, guardoni, megalomani, impotenti sentimentali o pervertiti. E soprattutto non fantasticare su una particolare persona che incarna tutti questi aspetti."

"Non penso affatto che tu sia un'idiota. Oddio, è vero che c'è qualche cosa di ridicolo in te, nei tuoi modi e tua madre è piuttosto imbarazzante. E devo ammettere che sei veramente pessima quando ti capita di parlare in pubblico, e tutto quello che ti passa per la testa lo fai uscire dalla bocca senza tener tanto conto delle conseguenze. Certo mi rendo conto che quando ti ho conosciuta al buffet di tacchino al curry di Capodanno sono stato imperdonabilmente scortese e avevo addosso quel maglione con la renna sopra... che mi aveva regalato mia madre il giorno prima. Ma il punto è... quello che cerco di dirti... in modo molto confuso... è che, in effetti, probabilmente, malgrado le apparenze... tu mi piaci. Da morire.
Tu mi piaci da morire, Bridget, così come sei."


 

lunedì 11 dicembre 2017

Battito, tremore, infinito sospirare...

Parole come ferite che sanguinano, cicatrici indelebili dell'anima.

"Cara Connie,
volevo fare l’uomo forte e non scriverti subito, ma a che servirebbe? Sarebbe soltanto una posa. Ti ho mai detto che da ragazzo ho avuta la superstizione delle “buone azioni”? Quando dovevo correre un pericolo, sostenere un esame, per esempio, stavo attento in quei giorni a non essere cattivo, a non offendere nessuno, a non alzare la voce, a non fare brutti pensieri. Tutto questo per non alienarmi il destino. Ebbene, mi succede che in questi giorni ridivento ragazzo e corro davvero un gran pericolo, sostengo un esame terribile, perché mi accorgo che non oso esser cattivo, offendere gli altri pensare pensieri vili. Il pensiero di te e un ricordo o un’idea indegni, brutti, non s’accordano. Ti amo.
Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me. Amore, il pensiero che quando leggerai questa lettera sarai già a Roma – finito tutto il disagio e la confusione del viaggio -, che vedrai nello specchio il tuo sorriso e riprenderai le tue abitudini, e dormirai da brava, mi commuove come tu fossi mia sorella. Ma tu non sei mia sorella, sei una cosa più dolce e più terribile, e a pensarci mi tremano i polsi."

(17 Marzo 1950)

"Carissima, non sono più in animo di scrivere poesie. Le poesie sono venute con te e se ne vanno con te. Questa l’ho scritta qualche pomeriggio fa, durante le lunghe ore all’Hotel in cui aspettavo, esitando, di chiamarti. Perdonane la tristezza, ma con te ero anche triste. Vedi, ho cominciato con una poesia in inglese e finisco con un’altra. C’è in esse tutta l’ampiezza di quel che ho sperimentato in questo mese: l’orrore e la meraviglia. Carissima, non avercela a male se sto sempre parlando di sentimenti che tu non puoi condividere. Almeno puoi capirli. Voglio che tu sappia che ti ringrazio di tutto cuore. I pochi giorni di meraviglia che ho strappato dalla tua vita erano quasi troppo per me – bene, sono passati, ora comincia l’orrore, il nudo orrore e io sono pronto a questo. La porta della prigione è tornata a chiudersi di schianto…Farai in tempo a ricevere La luna e i falò. Forse sarà già ad aspettarti in North Vista Avenue prima che tu arrivi. Sono così contento che ci sia il tuo nome. Ricorda che ho scritto questo libro – interamente – prima di conoscerti, eppure in qualche modo sentivo in questo libro che stavi per venire. Non è stato meraviglioso viso di primavera, io di te amavo tutto, non solo la tua bellezza, il che è abbastanza facile, ma anche la tua bruttezza, i tuoi momenti brutti, la tua tachenoire, il tuo viso chiuso. E pure ti compiango. Non dimenticarlo."

(Lettera di Cesare Pavese a Constance Dowling,17 aprile 1950)

"L’amore è veramente la grande affermazione. Si vuole essere, si vuole contare, si vuole – se morire si deve – morire con valore, con clamore, restare insomma. Eppure sempre gli è allacciata la volontà di morire, di sparirci: forse perchè esso è tanto prepotentemente vita che, sparendo in lui, la vita sarebbe affermata anche di più?"

"Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perchè un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla".

(Il mestiere di vivere)

To C. from C.

You,
dappled smile
on frozen snows –
wind of March,
ballet of boughs
sprung on the snow,
moaning and glowing
your little “ohs”-
white-limbed doe,
gracious,
would I could know
yet
the gliding grace
of all your days,
the foam-like lace
of all your ways –
to-morrow is frozen
down on the plain
you, dappled smile,
you, glowing laughter

Tu,
screziato sorriso
su nevi gelate –
vento di Marzo,
balletto di rami
spuntati sulla neve,
gemendo e ardendo,
i tuoi piccoli “oh!” –
daina dalle membra bianche,
graziosa,
potessi io sapere
ancora
la grazia volteggiante
di tutti i tuoi giorni,
la trina di spuma
di tutte le tue vie –
domani è gelato
giù nella pianura –
tu, screziato sorriso,
tu, risata ardente.
...

The cats will know

Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l’alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.
Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.
Farai gesti anche tu.
Risponderai parole-
viso di primavera;
farai gesti anche tu.
I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l’alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi più non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffriremo nell’alba,
viso di primavera.

...

Ti ho sempre soltanto veduta,
senza parlarti mai,
nei tuoi istanti più belli.
Ma ho l'anima ormai tanto tesa,
schiantata dalla tua figura,...
che non trovo più pace
al suo brivido atroce.
E non posso parlarti,
nemmeno avvicinarmi,
ché cadrebbero tutti i miei sogni.
Oh se tale è il tremore orribile
che ho nell'anima questa notte,
e non ti conoscerò mai,
che cosa diverrebbe il mio povero cuore
sotto l'urto del sangue,
alla sublimità di te?
Se ora mi par di morire,
che vertigine folle,
che palpiti moribondi,
che urli di voluttà e di languore
mi darebbe la tua realtà?
Ma io non posso parlarti,
e nemmeno avvicinarmi:
nei tuoi istanti più belli
ti ho sempre soltanto veduta,
sempre soltanto sognata.


...

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

(C. Pavese)

 
 
 


martedì 5 dicembre 2017

Prima che tu dica pronto

Prima che tu dica pronto, Italo Calvino

Questa raccolta comprende alcuni racconti apparsi su riviste, altri inediti, scritti tra il 1943 da un giovanissimo Calvino e il 1984.
Racconti che partendo da un avvenimento quotidiano diventano simbolo di qualcos'altro ben più complicato e indefinito, come quando tra la folla in un lampo di folle saggezza si percepisce l'assurdità del tutto. Apologhi dietro cui si cela un preciso riferimento alla situazione politica del tempo, che con ironia, apparente leggerezza e semplicità toccano temi ancora attuali, muovendosi tra il passato di antiche civiltà perdute, il caos del presente, l'incertezza inquieta e angosciosa del futuro.
Il racconto che dà il titolo all'intera raccolta è attualissimo, esprimendo la solitudine e l'incomunicabilità, il tentativo disperato di colmare il vuoto dentro e fuori di noi, di "esistere" attraverso i fili del telefono o le più moderne tecnologie.
La migliore introduzione a questa raccolta sono le parole dello stesso scrittore.

"Spesso è un'insoddisfatta aspirazione di vita che spinge a scrivere, e l'espressione trovata sulla carta è pure la chiave per la vita."

"Faccio racconti di partigiani, di contadini, di contrabbandieri in cui partigiani, contadini, contrabbandieri non sono che pretesti a storie piene di colore, d'accorgimenti narrativi e d'acutezze psicologiche: in fondo non studio che me stesso, non cerco che di esprimere me stesso, non cerco di rappresentare che dei simboli di me stesso nei personaggi e nelle immagini e nella lingua e nella tecnica narrativa. Non sono in fin dei conti che uno dei vecchi scrittori individualisti che però s'esteriorizza in simboli d'interesse attuale e collettivo."
...

"Ora ci rincorriamo, giochiamo a denti stretti, l'amore, ecco l'amore uno dell'altra, una voglia di graffi e morsi uno dell'altra, pugni anche, sulle spalle, poi un bacio stanchissimo : l'amore.
"Vedi forse io ho paura di te. Ma non so dove rifugiarmi. L'orizzonte è deserto, non ci sei che tu. Tu sei l'orso e la grotta. Perciò io ora sto accucciata tra le tue braccia, perché tu mi protegga dalla paura di te."
"Non devi dirmi queste cose. Non si sarebbe più né l'orso né la grotta. E pure intorno a me non resterebbe che paura."
- Dì sono una cosa, io? dice.
-Ugh, dico.
Ho scoperto una piccola fossetta su una spalla, sopra l'ascella, soffice, senza osso sotto, del tipo di fossette delle guance. Parlo con le labbra sulla fossetta.
- Spalla come guancia, dico. Non si capisce niente.
- Come? chiede. Ma non le importa nulla di quel che dico.
- Corsa come giugno, dico, sempre nella fossetta. Lei non capisce quello che faccio ma è contenta e ne ride. E' una cara ragazza.
- Mare come arrivo, dico, poi tolgo la bocca dalla fossetta e ci poso l'orecchio per sentire l'eco. Non si sente che il suo respiro e, lontano e sepolto, il cuore.
- Cuore come treno, dico.
(...) E quello che facciamo adesso non è una cosa pensata più una cosa vera: il volo sopra i tetti, e la casa che svetta con le palme alla finestra di casa mia al paese, un grande vento ha preso il nostro ultimo piano e lo trasporta per i cieli e le fughe rossicce delle tegole.
Sulla riva del mio paese, il mare s'è accorto di me e fa le feste come un grande cane. Il mare, gigantesco amico, dalle piccole mani bianche che raspano la ghiaia, ecco che scavalca i contrafforti dei moli, impenna la bianca pancia e salta i monti, eccolo che arriva festoso come un immenso cane dalle zampe bianche di risucchio. Tacciono i grilli, tutte le pianure sono invase, campi e vigneti, ora solo un contadino alza il tridente e grida: ecco il mare sparisce come bevuto dalla terra. Ciao mare.

(Amore lontano da casa)

"Storie non posso raccontartene dico, perché ho l'intercapedine. C'è un precipizio vuoto tra me e tutti gli altri. Ci muovo le braccia dentro ma non afferro niente, getto dei gridi ma nessuno li sente: è il vuoto assoluto."

(Vento in una città)

"È in questo silenzio di circuiti che ti sto parlando. So bene che, quando finalmente le nostre voci riusciranno ad incontrarsi sul filo, ci diremo delle frasi generiche e monche; non è per dirti qualcosa che ti sto chiamando, né perché creda che tu abbia da dirmi qualcosa. Ci telefoniamo perché solo nel chiamarci a lunga distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di un' eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s’è aperta sotto i piedi d’una coppia di esseri umani e gli abissi dell’oceano si sono spalancati a separarli mentre l’uno su una riva e l’altra sull’altra trascinati precipitosamente lontano cercavano col loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme e che si faceva sempre più flebile finché il rombo delle onde non lo travolgeva senza speranza. Da allora la distanza è l'ordito che regge la trama d'ogni storia d'amore come d’ogni rapporto tra viventi, la distanza che gli uccelli cercano di colmare lanciando nell’aria del mattino le arcate sottili dei loro gorgheggi, così come noi lanciando nelle nervature della terra sventagliate d’impulsi elettrici traducibili in comandi per i sistemi a relais: solo modo che resta agli esseri umani di sapere che si stanno chiamando per il bisogno di chiamarsi e basta."
"Come un bosco assordato dal cinguettio degli uccelli, il nostro pianeta telefonico vibra di conversazioni realizzate o tentate, di trilli di suonerie, del tinnire d’una linea interrotta, del sibilo d’un segnale, di tonalità, di metronomi; e il risultato di tutto questo è un pigolio universale, che nasce dal bisogno d’ogni individuo di manifestare a qualcun altro la propria esistenza, e dalla paura di comprendere alla fine che solo esiste la rete telefonica, mentre chi chiama e chi risponde forse non esistono affatto".

(Prima che tu dica pronto)

sabato 2 dicembre 2017

Il valzer degli alberi e del cielo

Il valzer degli alberi e del cielo (Jean- Michel Guenassia)

"L'arte è così ricca che, se soltanto una persona riuscisse a tenere a mente ciò che ha visto, avrebbe sempre di che nutrire i propri pensieri e non sarà mai davvero sola, mai più sola."
(Lettera di Vincent a Théo, 15 novembre 1878)

Un libro di rapida e agevole lettura, che con uno stile diretto ed essenziale cerca di far luce sulla misteriosa fine di van Gogh, confutando le teorie storiche ufficiali. Un libro che muovendosi tra finzione romanzesca e fantasia racconta l'ultimo tormentato amore di van Gogh.
Lui è il pittore geniale, in balia di inquietudini profonde e demoni interiori, che ha consacrato la sua esistenza alla pittura, capace di realizzare dipinti sublimi, creature vive, trasformando paesaggi quotidiani e comuni in qualcosa di abbagliante e meraviglioso. Un uomo che vuole dipingere ciò che sente e sentire ciò che dipinge, sferzando la tela bianca con pennellate decise e nervose che sembrano colpi di frustra, crea una danza sfrenata di luce e colore. Una pittura che riesce a esprimere ciò che sente interiormente, dove natura e potenza creatrice diventano incanto, magia, bellezza diversa e innovatrice, emozione indelebile.
Lei è Marguerite la figlia del dottor Gachet, il medico che ebbe in cura Vincent nell'ultimo periodo della sua vita. Un uomo severo, incapace di affetto, avido e calcolatore, un uomo che lo stesso Vincent considerava instabile e inadeguato. Marguerite ha 19 anni, ama dipingere, sa disegnare ma le manca l'estro creativo, la scintilla che può trasformare la passione in autentico talento.
Ama la musica, la pittura, l'istruzione, desidera iscriversi all'Accademia delle Belle Arti preclusa alle donne, in un mondo che relega la donna al ruolo di docile statuina insignificante, promessa sposa per calcolo, senza alcuna voce in capitolo in merito al proprio destino. Una ragazza che sogna di fuggire via lontano, in quell'America che sembra la terra promessa dove i sogni possono diventare realtà, finalmente libera di essere se stessa.
Nel libro sono fedelmente riportati stralci di documenti storici dell'epoca e alcuni frammenti delle lettere che Vincent scrisse all'amato fratello Thèo e all'amico Gauguin.
Sulla candida tela i colori prendono vita e l'azzurro del cielo danza con il verde degli alberi un valzer tenero e appassionato. Così come tenero e appassionato è l'amore che lega i due protagonisti.
Un amore rischioso, sconveniente, pericoloso. Un amore che sfida le regole asfittiche e convenzionali del mondo borghese. Un amore incompleto che va sacrificato sull'altare della pittura, vero e unico amore, assoluto, totalizzante, passione tormento creazione, sacrificio, sofferenza, estasi, rinuncia, genialità, bellezza senza tempo.
Un uomo inquieto che con le sue mani nervose è riuscito a dipingere il mondo in modo assai più bello di come Dio l'ha creato. Dipinti che ancora oggi ci lasciano senza fiato, dove cielo e terra, alberi e nuvole danzano per l'eternità.

"Sono passata mille volte davanti a quel paesaggio che era per me simile a mille altre vallette tranquille, ma ciò che vedo non è né banale né tranquillo, sono spighe e alberi che vibrano come se fossero vivi e abbarbicati alla vita, con il vento che li sommuove, il giallo che guizza dappertutto e il verde che trema."

"La mansarda che era in penombra si è rischiarata d'improvviso, un raggio di luce si è posato come per incanto sul cavalletto e sono stata colpita da questa visione: una tela raffigurante delle case contadine i cui tetti di paglia si confondevano con i prati disposti su vari livelli e, sullo sfondo, gli alberi verde cupo si abbandonavano a un valzer tormentato e pieno di complicità con un cielo di nuvole azzurrine. Il dipinto, che al mio arrivo era grigio, si era come animato di un soffio di vita con alberi e cielo che danzavano una sarabanda indiavolata. Non so per quanto tempo sono rimasta in contemplazione di quella tela.
"E' un villaggio dei dintorni" disse lui alle mie spalle, "mi piace molto quel posto, è ondulato, si chiama Montcel, lo conosci?"
Ero passata cento volte davanti a quelle quattro case e non mi ero mai accorta di quanto fossero belle.
"Ti piace?"
Mi voltai. Vincent era davanti a me. Aveva il volto solcato da rughe e di colorito grigiastro, occhi verdi e obliqui, capelli biondocenere, una bocca dalle labbra tumide e lo sguardo stanco di un uomo che ha fatto il giro del mondo e visto terre lontane. Mi ha sorriso, si è grattato il mento. Io mi sono avvicinata, e l'ho baciato. Sì, ho posato le labbra sulle sue, ho visto che abbassava le palpebre e l'ho fatto anch'io."

-"Perché dipingi?
Perché ne ho voglia, dipingo da quand' ero piccola.
-Non ti domando da quanto tempo dipingi, ti domando perché. Dimmi cos'è che ti spinge a dipingere.
Immagino che sia perché mi piace.
-Lo sapevo. Il problema è che non sai rispondere alla domanda.
Voglio prendere lezioni per imparare.
-Non capisci niente! Io ti parlo di te, dannazione!
La pittura non s'impara, le lezioni non servono a niente! Perché prendere lezioni con dei cattivi pittori, che uccideranno ciò che c'è di meglio in te, che temono ciò che è moderno come la peste perché producono soltanto cose gelide e senz'anima? Le lezioni servono soltanto a seguire la via tranquilla e priva di rischi che ha imboccato il professore, a intrappolarsi nel suo stesso vicolo cieco. Non aver paura di metterti in pericolo, di romperti il muso e di soffrire. Trova la tua strada da sola, non hai bisogno di nessuno per essere pittrice, guarda ciò che hai davanti, chiudi le palpebre e dipingi ciò che vedi dentro di te. E se non vedi niente, se non c'è niente, smetti di dipingere."

"Ma lui sapeva che il nostro tempo era contato. Io no. Lui sapeva, d’istinto, molto prima che io l’ammettessi, che siamo soli sulla Terra e che contro questo non possiamo fare nulla. Soli di fronte a noi stessi. Soli in mezzo agli altri. Qualunque cosa ci si possa inventare per far credere il contrario. E Vincent è riuscito a dipingere proprio la bellezza di questa profonda solitudine".