domenica 26 febbraio 2017

Intimità

Posso stare da sola.
So stare da sola.

C’è un tacito accordo
tra le mie matite
 e gli alberi là fuori,
tra la pioggia
e i miei capelli diafani.


Bolle il tè,
spazio mio dorato,
mia ambra pura e ardente...

Posso stare da sola.
So stare da sola.
Scrivo a lume di tè.

(Nina Cassian)

 

giovedì 16 febbraio 2017

.

Certe mattine
al risveglio
c’è una bambina pugile
nello specchio,
i segni della lotta
sotto gli occhi
e agli angoli della bocca,
la ferocia della ferita
nello sguardo.
Ha lottato tutta la notte
con la notte,
un peso piuma
e un trasparente gigante
un macigno scagliato
verso l’alto
e un filo d’erba impassibile
che lo aspetta
a pugni alzati:
come sono soli gli adulti.


...

Io è tanti
e c’è chi crolla
e chi veglia
chi innaffia i fiori
e chi beve troppo
chi dà sepoltura
e chi ruggisce.
C’è un bambino estirpato
e una danzatrice infaticabile
c’è massacro
e ci sono ossa
che tornano luce.
Qualcuno spezzetta immagini
in un mortaio,
una sarta cuce
un petto nuovo
ampio
che accolga la notte,
il piombo.
Ci sono parole ossute
e una via del senso
e una deriva,
c’è un postino sotto gli alberi,
riposa
e c’è la ragione che conta
i respiri
e non bastano
a fare tempio.
C’è il macellaio
e c’è un bambino disossato
c’è il coglitore
di belle nuvole
e lo scolaro
che nomina e non tocca,
c’è il dormiente
e l’insonne che lo sveglia
a scossoni
con furore
di belva giovane
affamata di sembianze.
Ci sono tutti i tu
amati e quelli spintonati via
ci sono i noi cuciti
di lacrime e di labbra
riconoscenti. Ci sono
inchini a braccia spalancate
e maledizioni bestemmiate
in faccia al mondo.
Ci sono tutti, tutti quanti,
non in fila, e nemmeno
in cerchio,
ma mescolati come farina e acqua
nel gesto caldo
che fa il pane:
io è un abbraccio.
...

Come se io bruciassi.
Come luce frontale.
Come ghiaccio traditore.
Come mondo di polvere.
Come sbucciata.
 Come goccia di sangue
sul palmo.
Come spina.

Mi tocchi.
Mi sbirci.
Non stringi.
Non tieni.
Sfiori.
Tremi.
Lasci.

(Chandra Livia Candiani)
 

Molto forte, incredibilmente vicino

Molto forte, incredibilmente vicino (Foer)

"Quella sera mi sono sentito incredibilmente vicino a ogni cosa nell'universo, ma anche straordinariamente solo. Per la prima volta in vita mia mi sono chiesto se la vita valeva tutta la fatica che serve per vivere. Perché, esattamente, valeva la pena di vivere?"

Fotografie in bianco e nero, una serratura misteriosa, uccelli che volano liberi, una casa grigia con le finestre illuminate.
Questo libro è una sinestesia di parole, colori, foto, impressioni, suoni, silenzi, è innovativo e creativo dal punto di vista stilistico, grafico, della scrittura. Ricco di dialoghi profondi e intelligenti, di pensieri che rimangono dentro a lungo, dopo che hai letto l'ultima pagina, guardato l'ultima fotografia. E' un libro che a fine lettura ti lascia lì senza fiato con la voglia di rileggerlo di nuovo.
Oskar è un bambino intelligente con la saggezza di un adulto, un inventore dalle scarpe pesanti, estremamente sensibile, un bambino che deve elaborare qualcosa che è più grande di lui, il suo papà è morto nell'attentato dell'11 settembre. Era in una delle Torri Gemelle, trasformate in briciole di tempo in prigioni di vetro e fiamme.
L'inquilino è un uomo anziano, non parla, ha perso le parole una alla volta, si sono sfilate via come perle di una collana, smarrite in un labirinto di dolore e vita impossibile da vivere per paura, perché a volte "la vita è più spaventosa della morte". E' sopravvissuto a un incubo, al bombardamento su Dresda durante la seconda guerra mondiale, che gli ha portato via tutto quello che aveva di più caro al mondo. Le parole si sono fatte silenzio, l'ultima a volare via è stata "io".
Un bambino e un uomo anziano che hanno visto ascoltato respirato vissuto l'atrocità della guerra e della violenza.
1945-2001.
Bombe sganciate da aerei che diventano lampi di colore, rosso giallo viola, aerei che si schiantano contro due grattacieli e in questo inferno ci sono uomini che soccombono e uomini che sopravvivono e devono fare i conti con le macerie che restano per strada e dentro di sè.
Oskar vuole trovare la serratura che corrisponde a quella chiave misteriosa scovata per caso nel ripostiglio di casa, cerca le tracce di suo padre in una città immensa, perché attraverso questa ricerca apparentemente assurda può restargli vicino ancora un po'. L'inquilino cerca di riannodare i fili della propria vita interrotta, di ritrovare ciò che ha scelto di perdere molti anni prima, di comunicare con un figlio che non ha mai conosciuto.
Questo libro parla di dolore, perdita, assenza, elaborazione lenta e faticosa del lutto, di come può essere difficile se non impossibile, sopravvivere a tutto questo e continuare a vivere, di come ci si può sentire soli e smarriti con la propria infelicità in una città gigantesca. Di come siano importanti gli altri, persone che incroci per sbaglio per strada, con le loro storie che si intrecciano alla tua. Uomini che condividono quella stessa solitudine, quel vuoto, quel dolore, uguale e diverso. E di due donne, una giovane madre e una nonna, che dovranno fare i conti anche loro con l'assenza e la perdita.
Tutti hanno perso qualcosa, sono alla ricerca di qualcosa, tutti dovranno imparare a convivere con il proprio dolore.
Questo libro è una fotografia in bianco e nero con lampi di luce dell'uomo, di chi resta e di chi cade nel vuoto o forse si sta alzando verso il cielo, del passato e del presente, delle cose terribili fatte dall'uomo, delle cose belle piene di speranza, abbracci, famiglia, ascolto, presenza, che ci rendono umani e ci avvicinano agli altri, alleggerendoci le scarpe.
La sofferenza, la rabbia, il lutto, i frammenti di felicità, il male che ha l'uomo come artefice e vittima, quello che proviamo e speriamo, la paura, le lacrime, le invenzioni , le lettere, le parole che non riusciamo a dire, quello che non conosciamo, la memoria, l'ultima volta che non sappiamo sarà l'ultima volta, i ti voglio bene mai detti, i ricordi di quando eravamo bambini, i legami di sangue, le persone che incontri per caso lungo il cammino, i destini che si incrociano per pochi attimi, la vita complicata, semplice, possibile, impossibile, l'universo, chi resta e chi va via, quel vuoto dentro che non si colmerà mai del tutto, chi ci mancherà sempre, l'umanità intera che soffre, ama, vive.
Molto forte, incredibilmente vicino a tutti noi.

"A noi servono tasche molto più grandi, servono tasche enormi, tasche abbastanza grandi per le nostre famiglie, e per i nostri amici, e anche per le persone che non sono nelle nostre liste, gente che non abbiamo mai conosciuto ma vogliamo proteggere. Servono tasche per i distretti e le città, una tasca che possa contenere l'universo.
Però sapevo che non possono esistere tasche così grandi, e che alla fine tutti perdiamo tutti. Non c'era un'invenzione che potesse risolvere questo problema e così, quella notte, mi sono sentito come la tartaruga che sostiene tutte le cose dell'universo."

"Qualche volta sono schiacciato sotto il peso di tutte le vite che non sto vivendo."

"Da bambina la mia vita era una musica che suonava sempre più forte. Tutto mi emozionava. Un cane che seguiva uno sconosciuto. Era una sensazione così intensa. Un calendario aperto sul mese sbagliato. Avrei potuto piangerci sopra. E piangevo. Quando finiva il fumo di un camino. Il modo in cui una bottiglia rovesciata si appoggiava sull'orlo della tavola.
Ho passato la mia vita imparando a sentire di meno.
Sento di meno ogni giorno."

"Guardami" e ho cercato, ma non potevo, mi ha detto : "Guardami, o lasciami. Ma non restare, se guardi qualunque altra cosa."

"Tutti andavano o venivano.
La gente in tutto il mondo si spostava da un luogo all'altro.
Nessuno restava.
Ho detto: E se restassimo? [...]
Non andare e venire.
Non qualcosa o niente.
Non sì o no."

"Tutto quello che è nato deve morire, e questo significa che le nostre vite sono come i grattacieli. Il fumo sale a velocità diverse, ma le vite sono tutte in fiamme, e tutti siamo in trappola."

"A me piace vedere le persone riunite, forse è sciocco, ma che dire, mi piace vedere la gente che si corre incontro, mi piacciono i baci e i pianti, amo l'impazienza, le storie che la bocca non riesce a raccontare abbastanza in fretta, le orecchie che non sono abbastanza grandi, gli occhi che non abbracciano tutto il cambiamento, mi piacciono gli abbracci, la ricomposizione, la fine della mancanza di qualcuno."

giovedì 2 febbraio 2017

Nemico, amico, amante...

Nemico, amico, amante...(Alice Munro)

"Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi...
Non domandare, a noi non è dato sapere... che cosa il destino abbia in serbo per me, che cosa per te..."

Ho iniziato a leggere questo libro perplessa e scettica, non mi piaceva, non riuscivo a oltrepassare la barriera delle parole, mi chiedevo "cosa avrà di particolare questa scrittura? E' tutto qui?" poi piano piano sono entrata nell' universo Munro e ne sono stata rapita.
Nove racconti che parlano di donne, microcosmi domestici, piccoli grandi drammi quotidiani fatti di malattia, tradimenti, insoddisfazione, consumati tra il salotto e la veranda, donne di ogni età, esistenze comuni, non tragiche eroine misteriose, donne che devono fare i conti con mariti e bambini, con un universo quotidiano che si restringe, diventa asfittico, casalinghe, lavoratrici, mogli, madri, donne che amano.
Storie raccontate con semplice e nitida chiarezza, sussurrate a bassa voce, storie di donne comuni, ironiche, infelici o insoddisfatte, donne coraggiose che non si arrendono, donne che siamo noi.
Una semplice e perfetta epifania del quotidiano, quando il destino e uno scherzo crudele si incrociano e ti cambiano la vita e per sbaglio ti innamori, quando bisogna fare i conti con una malattia che scombina i piani rimescolando le carte e mandando tutto all'aria, quando un istante di pura passione rimane per anni dentro di te, sopravvivendo al tempo e alla morte. Quando una eccentrica zia custodisce un doloroso segreto, quando vivi quell'unico istante dimentica di tutto, perché il futuro è incerto e fa paura e il passato è lontano ed appartiene ad un'altra, ma tu sei ancora qui adesso, quando i ricordi dell'infanzia bussano nel tuo presente, quando tutto quello che vuoi è lì con te e un prato e un diluvio possono bastare, quando hai 24 anni e sei ancora nuova ai patteggiamenti o ne hai 18 e tutto quello che vuoi è soltanto fuggire via, lontano.
E poi c'è quell'ultimo racconto che nel titolo ha il sapore di una innocua filastrocca per bambini, un racconto di una tenerezza disarmante, ma non di quelle mielose e un po' finte, tenerezza autentica. L'unico racconto dove la voce narrante è quella di lui, semplice, ironico ,malinconico, commovente. Lei non ricorda e lui prova a fare di tutto anche l'impensabile, perché la ama e non vuole che sia triste.
A fine lettura ti rendi conto che quello che ti respingeva all'inizio è diventato qualcos'altro, che le parole sono diventate vive emozioni, che ti mancheranno queste donne, il loro universo, questo modo di raccontare pacato e intimista, perché tutto questo fa parte di te.
E tu non stai soltanto leggendo una storia, ma sei dentro la storia, ne fai parte.
Quelle voci sono la tua voce e quella storia è anche la tua storia.
Chiudo il libro, spengo la luce e mi accorgo di avere gli occhi lucidi e uno strano nodo in gola.


"Lui si guardò intorno come per decidere da che parte andare. Di gente che passeggiava se ne vedeva in ogni direzione e su tutti i sentieri.
- Portami da un'altra parte, disse.
Lui la guardò dritta negli occhi. Disse: si.
Sul marciapiede, davanti a tutti. A baciarsi come matti".
"Portami", aveva detto così. "Portami da un'altra parte", e non "Andiamo da un'altra parte". Questo è importante per lei. Il rischio, il trasferimento di potere. Rischio assoluto e totale trasferimento di potere. 'Andiamo' avrebbe contenuto il rischio ma non l'abdicazione che per lei - ogni volta che riviveva quel momento - coincideva con l'inizio della fase erotica. E se lui avesse abdicato a sua volta? Un'altra parte dove? Non avrebbe funzionato nemmeno così. Lui deve dire esattamente quello che ha detto. Lui deve dire, si.
...

Comunque. Era un ponte tra una cosa e l'altra, o una conclusione, oppure un modo per comunicare qualcosa che non poteva essere formulato o pensato più compiutamente.
Comunque. Sarebbe la stessa identica cosa, se ci incontrassimo ancora. Oppure no. Un amore non utilizzabile, che sapeva stare al suo posto (qualcuno lo definirebbe non vero, perché non rischierebbe mai di farsi tirare il collo, nè di trasformarsi in una battuta volgare, nè di consumarsi penosamente). Un amore che non rischia niente, ma che si mantiene vivo come una goccia di miele, una risorsa sotterranea. Con il peso di questo nuovo silenzio venuto a sigillarlo.
...

"Sono contenta di vederti, disse, tirandogli i lobi delle orecchie.
Per quanto ne sapevo potevi essere semplicemente sparito, disse. Potevi essere montato in macchina senza un pensiero al mondo e avermi lasciata qui. Abbandonata.
Lui appoggiò la faccia ai capelli bianchi di lei, alla cute rosa, alla dolce curva del cranio.
Mai e poi mai, disse."