domenica 24 settembre 2017

Ballando a notte fonda

Ballando a notte fonda, Andre Dubus

L'ultima raccolta di racconti di Dubus, protagonisti sono uomini e donne che hanno ancora voglia di mettersi in gioco e sperare, nonostante gli errori, le cadute, la paura, le ferite del corpo e dell'anima che li hanno segnati ma non sconfitti. Una scrittura tersa ed evocativa, che si diffonde nell'aria e dentro di noi come musica. Tra le righe si svela la realtà quotidiana con le sue piccole gioie, forti delusioni, dolori che appartengono a un passato recente e infine l'attesa di qualcosa che arriverà malgrado tutto, un'epifania improvvisa nel cuore buio della notte che ha il sapore dell'alba.



 "Tutti, uomini e donne, si portano dietro una mutilazione. Se la sono procurata in guerra, o nel matrimonio, o durante l'infanzia. I più disperati sono quelli che stanno scontando i loro peccati e perciò vivono nel rimorso e non riescono a smettere di guardarsi indietro. Noi però li incontriamo quando tutto è già successo, e questo a me pare il più serio motivo per cui Dubus è sempre rimasto fedele alla forma racconto, che è una forma aperta e permette di cominciare dopo che una tragedia si è ormai consumata, lasciarla indietro, occuparsi piuttosto di ciò che rimane. A lui interessava quel dopo, l'altro paese in cui vivono i suoi personaggi smarriti, che hanno perso tutto o quasi.
Come si curano, o provano a curarsi questi uomini e queste donne? Di solito con un nuovo amore. Che è un amore guardingo e sospettoso. Naturale che non regga un amore così (...)
Se c'è chi scrive per turbare i giusti e chi per consolare gli afflitti e i peccatori, io direi che Dubus scriveva per dare coraggio a chi ha paura. A quelli terrorizzati da tutti gli sbagli che devono ancora fare. Ogni sua riga mi sembra piena di affetto verso di loro."
(Dalla prefazione di Paolo Cognetti)

"Dovrebbe essere così, pensò adesso, qualcosa di imprevedibile che giunge da fuori e ci riempie. Qualcosa che cambia il modo in cui vediamo ciò che vediamo. Qualcosa che ci permette di vedere ciò che non vediamo."
 

sabato 16 settembre 2017

Inganno

Inganno, Philip Roth

Lui, uno scrittore cinquantenne innamorato della propria arte. Lei, una giovane donna inglese in crisi, moglie insoddisfatta e infelice.
Un dialogo sussurrato tra due amanti in una stanza al riparo dal mondo.
Uno scrittore che ama ascoltare le parole delle donne, la loro voce, mentre si raccontano mettendo a nudo insicurezze, paure, tempestosi naufragi, ricomponendo poco a poco i frammenti della propria storia.
L'universo reale si intreccia con quello immaginato e sognato, i personaggi prendono forma e vita sulla carta. Essenziale, conciso, ironico, un dialogo a due voci che diventa un'intensa confessione a cuore aperto.

"La sindrome di Emma Bovary. Flaubert è una buona introduzione agli uomini, per una ragazza.
(...) Dicevo sempre ai miei studenti che non c'è bisogno di tre uomini per passare attraverso tutto il calvario che percorre lei. Di norma uno basta e avanza, sia nella parte di Rodolphe che in quella di Lèon e poi di Charles Bovary. Prima il rapimento e la passione. Tutti i voluttuosi peccati della carne. Sua schiava. Totalmente travolta. Dopo la torrida scena d'amore nel suo castello, passi il suo pettine tra i tuoi capelli eccetera. Un amore quasi insostenibile con l'uomo perfetto, che ha un modo meraviglioso di fare ogni cosa. Poi, col tempo, il fantastico amante si erode e si trasforma nell'amante di tutti i giorni, l'amante prosaico, e diventa un Lèon, nient'altro che uno scarpegrosse dopotutto.
Comincia la tirannia del reale.
- Cos'è uno scarpegrosse?
Uno zoticone. Un provinciale. Abbastanza carino, abbastanza attraente, ma non esattamente un uomo di valore, che sa tutto e in tutto è sublime. Un po' banalotto, capisci. Qualche pecca qua e là. Un po' stupido. Sempre ardente, qualche volta affascinante, ma, per dire la verità, un'anima un po' impiegatizia. E a questo punto, con o senza matrimonio (anche se il matrimonio accelera sempre il processo) colui che era Rodolphe e che è divenuto Lèon si trasforma in Bovary. Mette su peso. Si pulisce i denti con la lingua. Fa rumore quando manda giù la minestra. E' goffo, è ignorante, è rozzo, è irritante perfino a guardarlo dal didietro. All'inizio questo ti infastidisce, nulla più; alla fine ti fa impazzire. Il principe che ti ha salvato dalla tua squallida esistenza ora è il tanghero seduto al centro stesso della tua squallida esistenza. Noia, noia, noia. Finchè, la catastrofe. In un modo o nell'altro, qualunque sia il mestiere che fa, commette una cazzata spaventosa sul lavoro. Come il povero Charles con Hippolyte. L'ex uomo perfetto è uno spregevole fallito. Potresti ammazzarlo. La realtà ha trionfato sul sogno.
- E tu cosa pensi di essere per me?
- Attualmente? Direi qualcosa tra un Rodolphe e un Lèon. In lenta decadenza. No? Sulla strada che porta a Bovary.
- Sì. Ride. Più o meno sono d'accordo.
- Sì, qualcosa fra il desiderio e la disillusione, sul lungo declivio che conduce alla morte".

...

- Ti verso qualcosa da bere.
Ho davvero voglia di bere qualcosa. Mi sento proprio presa in mezzo.
- Fra cosa?
Fra l'incudine e te.

- Io ti ascolto tanto, sai.
Troppo. Perché poi?
- Che c'è?
Sto pensando che ti amo ancora.
- Davvero? Nonostante...?
Nonostante.

- Okay. Mi mancherai. Mi mancherai molto.
Anch'io ti penserò spesso.
- E' davvero un gran peccato per noi due.
Conosci quella poesia di Marvell?
- Quale poesia?
"Fu generato dal desiderio a dispetto dell'impossibilità". Quella poesia.
- Mi pareva che fosse " disperazione"... "generato dalla disperazione".
E' vero. E' stato così. Tutt'e due le cose.

...

Il mio amore è per nascita tanto raro
quanto strano ed elevato nel suo oggetto;
fu generato dalla Disperazione
congiunta con l’Impossibilità.
Solo la magnanima Disperazione
ha potuto svelarmi una cosa tanto divina,
laddove la flebile Speranza non riusciva a volare
ma batteva invano la sua ala appariscente.
E, tuttavia, io potrei velocemente arrivare
là dove la mia anima protesa in lei rimane fissa,
il Fato, però, incunea zeppe di ferro
e sempre si insinua in mezzo.
Perché il Fato, con occhio geloso, vede
due amori perfetti ma non li lascia congiungere;
la loro unione sarebbe la sua rovina
e invaliderebbe il suo potere tirannico.
E pertanto i suoi decreti d’acciaio
hanno posto noi come due poli lontani
(sebbene tutto l’universo amoroso ruoti intorno a noi)
destinati a non abbracciarsi mai per virtù propria
a meno che il vorticoso cielo non precipiti
e la terra non venga squarciata da una nuova convulsione;
e, perché noi possiamo congiungerci, il mondo intero dovrebbe
essere schiacciato in un planisfero.
Come le linee oblique anche gli amori imperfetti possono ben,
incontrarsi ad ogni angolo;
ma i nostri sentimenti d’amore, così perfettamente paralleli,
sebbene infiniti non potranno mai incontrarsi.
Perciò l’amore che così ci lega,
ma che il fato preclude con così tanta invidia,
è la congiunzione della mente
e l’opposizione delle stelle.

(Andrew Marvell)

lunedì 11 settembre 2017

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Luna, avorio, strumenti musicali, rose,
lampade e il segno di Durer,
le nove cifre e lo sfuggente zero,
devo fingere che queste cose esistano.
Devo fingere che nel passato c’erano...
Persepoli e Roma e che una sabbia
sottile ha misurato il destino di una torre
che le età del ferro hanno disfatto.
Devo pensare alle armi e alle fiamme
delle epopee e ai mari plumbei
che rosicchiano i pilastri della terra.
Devo fingere che ci sono gli altri. E’ falso.
Ci sei solo tu. Tu, mia ventura
e sventura, inesauribile e pura.


...

È l’amore. Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura delle sue carceri, come in un incubo atroce.
La bella maschera è cambiata, ma come sempre è l’unica.
A cosa mi serviranno i miei talismani:
l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione,
le gallerie della Biblioteca, le cose comuni,
le abitudini, la notte intemporale, il sapore del sonno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
È, lo so, l’amore: l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce,
l’attesa e la memoria, l’orrore di vivere nel tempo successivo.
È l’amore con le sue mitologie, con le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo di strada dove non oso passare.
Il nome di una donna mi denuncia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo.

...

C’è tanta solitudine in quell’oro.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo. I lunghi secoli
della veglia umana l’hanno colmata
di antico pianto. Guardala. È il tuo specchio.

...

Con cosa potrei trattenerti?
Ti offro strette vie, tramonti disperati, la luna dei sobborghi deturpati.
Ti offro l’amarezza di un uomo che ha fissato a lungo la luna solitaria.
Ti offro i miei ancestri, i miei morti, quei fantasmi che i vivi onorano nel bronzo: il padre di mio padre ucciso nella frontiera di Buenos Aires, due pallottole nei polmoni, barbuto e morto, avvolto dai suoi nella pelle di vacca; il nonno di mia madre – ventiquattro anni appena – a capo di una brig...ata di trecento uomini nel Perù, nient’altro che fantasmi, ora, su cavalli sfumati.
Ti offro qualche frase riuscita tra i miei libri, qualche cenno di virilità o di umore nella mia vita.
Ti offro la lealtà di un uomo che non è mai stato leale.
Ti offro il centro di me stesso, che in qualche modo sono riuscito a salvaguardare – il cuore meridiano che non usa parole, non traffica coi sogni, ancora inattaccato dal tempo, dalla tristezza, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una rosa gialla osservata al tramonto, prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni su te stesso, teorie su te stesso, autentiche e sorprendenti notizie su te stesso.
Posso offrirti la mia solitudine, la mia penombra, la fame del mio cuore; sto cercando di comperarti con l’incertezza, il pericolo, la sconfitta.

(Borges)
 

giovedì 7 settembre 2017

Cicatrice

Cicatrice, Sara Mesa

"Sentire la mancanza di un istante è sentire la mancanza di ciò che eravamo un tempo"

Sonia ha ventidue anni, un lavoro noioso, monotono, assurdo, alienante "la vita fuori, che mai, mai entra lì dentro", una famiglia gabbia che le sta stretta, per sopravvivere al tedio delle ore in ufficio si iscrive a un forum letterario, "distrazione e gioco, un intrattenimento stimolante che le permette di prendere fiato e ampliare le dimensioni dell'ufficio", dove i membri discutono di libri e non solo, partecipa con curiosità a una loro cena, un'occasione insolita e divertente, che si rivelerà un'esperienza deludente, tempo perso.
E poi improvvisamente, quando sta per cancellarsi dal forum, le arriva un inaspettato messaggio da qualcuno che non conosce e non era presente alla cena, ma che ha sentito parlare di lei.
Un personaggio strambo, misterioso, un ladro per vocazione e un amante appassionato di libri, un autodidatta, solitario e individualista, di cui non conosceremo mai il nome reale ma soltanto i pensieri, le riflessioni, le manie, la logica delirante, la paranoia, l'incondizionata devozione, il perfezionismo implacabile, le piccole grandi ossessioni, i costosi e seducenti regali che inizialmente cullano l'ego, accarezzano la vanità e poi soffocano.
In cambio Knut Hamsun, questo il suo pseudonimo come lo scrittore norvegese collaborazionista, chiede soltanto presenza, dialogo, attenzione costante.
A poco a poco affiorano incomunicabilità, incomprensione, finzione, tutto diventa eccessivo e opprimente. Entrambi sono vittima e carnefice, prigioniero e carceriere dell'altro. Il computer diventa lo specchio deformante che riflette e amplifica fragilità, ansie, paure, fantasie.
Questo libro, un diario a due voci, descrive il rapporto altalenante, morboso, fuori da ogni logica tra Sonia e Knut, navigatori solitari in un oceano immenso di pixel, una rete gigantesca nella quale ci dibattiamo tutti per noia, curiosità, solitudine. Lo strambo, onnipresente, tenace, devoto, perverso Knut non è poi così lontano.
Uno stile scorrevole, diretto, cristallino, un'analisi lucida e graffiante di quando l'universo virtuale si intreccia indissolubilmente con quello reale, là dove i confini sono labili e indefiniti  l'immaginazione sfrenata cresce a dismisura e tutto diventa grottesco e imperfetto gioco delirante, ossessione pericolosa, dipendenza, una brutta cicatrice incisa sulla pelle e nell'anima.
Cicatrice, l'amore (?) ossessione tradotto ai tempi di internet.

"T'immagini Joyce o Kafka in un circolo dei lettori?"

" Sonia mette tutto in dubbio. Ci sono persone che accedono quotidianamente, a qualsiasi ora, e persone che non si vedono quasi mai; ce ne sono di loquaci e parche, prevedibili ed enigmatiche, aggressive e sottomesse, classiche e snob. Ci sono anche molte persone sole che cercano di sedurre, strane personalità che s'ingelosiscono, si offuscano, fanno pressioni e lottano per avere la leadership sul gruppo (...) Lei intuisce che i più enigmatici, gli anormali, gli eccentrici ed emarginati, quelli che in realtà risvegliano la sua curiosità, non si vedranno da quelle parti."

"Aveva una testa straordinaria. Non poteva fare altro che comportarsi così. Era fuori dal normale. E' quello che penso. Davvero quello che penso. Si comportava così perché aveva bisogno di uscire dalla volgarità. Pensa: nascere con quel cervello e non avere nient'altro che quello. Il tuo cervello e tutto intorno è volgarità. Non ti resta altro che rifiutare tutto, minarlo da dentro, distruggerlo. Rifiutava persino il suo nome, un nome normale, come quello che hanno, non so... milioni di persone? Si faceva chiamare in un altro modo, te l'ho detto?"

"No, non dovrebbe spaventarsi. Ogni parola ha il suo rovescio. Guarda dietro, le dice, e mi troverai lì ad aspettarti, mi troverai lì ad aspettarti, tremante e insicuro."

"Continuare. Nonostante tutto, continuare. Una spirale senza fine. Buchi, necessità, mancanze. Parole, etichette, scatole, prezzi. Salgono passeggeri. Tutto sempre in eccesso. L'Espansione. Filtrazione. Apparire in ogni spiraglio.
In quello che legge. In quello che scrive. In quello che indossa. In quello che pensa. La sua pretesa. E la finzione di sottomissione. Di accettazione. Di amore. Finge di leggere, finge di scrivere, finge di indossare, finge di pensare. Fingere Verdù. Fingere di volerlo vedere. Fingere che sia l'anima gemella. Fingersi madre. Fingersi figlia. Fingersi sorella. Fingere stupore. Fingere rabbia.
Una pioggerellina leggera sui finestrini.
Delle scarpe conservate in un armadio mezzo vuoto. Che non vuole mettersi. Che non può regalare. Che non può vendere. Che non vuole buttare. Che non vuole restituire.
Le gocce scivolano sul vetro (...)
Sai quello che diceva Proust a proposito della menzogna?
Glielo ha detto quella stessa mattina. Ed è bello. Ed è vero.
La menzogna è essenziale perché la verità è incomunicabile.
Ora piove con più intensità. Lei si farebbe forse uno o due bicchieri.
Non può, si dice.
Ma sì che può. Certo che può."

" In questo momento non penso che riuscirò a dimenticarti, ma l'oblio lavora da solo, come il passare del tempo. Sarà invece più difficile che tu ti dimentichi di me. Te ne accorgerai in futuro.
Se la morte non mi concede il desiderio di sparire nel modo più impersonale possibile, mi piacerebbe che il mio epitaffio fosse : "Voleva solo scappare."
Solo questo."