mercoledì 27 dicembre 2017

La ragazza dai capelli strani

La ragazza dai capelli strani (Wallace)

I racconti di questa raccolta sono folli, rivoluzionari, cervelloticamente geniali.
Prendete il racconto tradizionale, scomponetelo in tanti minuscoli pezzettini e poi fatelo volare giù dalla finestra, qui c'è qualcosa di assolutamente nuovo e dirompente. Una lettura che ha assorbito tutta la mia attenzione e le mie energie. Non puoi leggere Wallace inserendo il pilota automatico, devi concentrarti su ogni singola parola, frase, periodo.
Un sentiero impervio e tortuoso e poi una vista mozzafiato.
Seguire la danza vorticosa e frenetica delle parole, perdersi nei pensieri caotici che affiorano tra le pagine, onde d'inchiostro ribollenti e vive.
In ogni parola c'è lo scrittore, si avverte la sua ingombrante presenza ovunque, con una scrittura cerebrale, artificiosa, pirotecnica, innovativa, originale, ironica, che travolge e stravolge, che non dà tregua. Racconti sospesi nel vuoto, indefiniti nel finale aperto, racconti che lasciano intravedere l'abisso che abbiamo sotto i piedi, un baratro profondo e buio che non ci inghiotte, lo intravediamo soltanto e poi facciamo in tempo a fare un passo indietro.
Io l'ho intravisto.
Un libro che a tratti mi ha trasmesso angoscia, inquietudine. Un libro straordinario, non avevo mai letto nulla di così follemente geniale.
In particolare sono rimasta incantata dal primo racconto e dall'ultimo.
Racconti che parlano d'amore e vita, di quanto sia faticoso, difficile, assurdo, poetico, doloroso, complicato esistere, che mettono a nudo impietosamente le nevrosi, le ossessioni, le paure, le follie, gli incubi che l'uomo contemporaneo si porta dentro. Questo libro è stato il mio primo Wallace, sono terrorizzata e tentata da questa scrittura, che è una sfida, una vertigine, un salto nel vuoto, un labirinto dove smarrirsi e poi ritrovarsi, lasciandosi guidare dal gioco magico e perverso delle parole, dalla loro forza travolgente.


"Di' che il senso dell'amore sta tutto nel tentativo di infilare le dita nei buchi della maschera della persona che ami. Di far presa in qualche maniera su quella maschera, e chi se ne importa di come ci riesci".

"Poi digli di guardare da vicino la faccia degli uomini. Digli di stare perfettamente fermi, per un po' di tempo, e di guardare in faccia un uomo. Sulla faccia degli uomini non c'è niente. Guarda da vicino. Digli di guardare bene. E non quello che fa la faccia: le facce degli uomini non stanno mai ferme, sono come antenne. Ma l'unica cosa che fanno è spostarsi da una configurazione all'altra di pura inespressività".
Faye cerca gli occhi di Julie nello specchio.
"Digli che nelle maschere degli uomini non ci sono buchi dove infilare le dita. Digli come si potrebbe mai anche solo sperare di amare qualcosa su cui non si può far presa".
Julie gira la poltrona del trucco e guarda Faye.
"E' in questi momenti che ti amo, se ti amo, quando la tua faccia si muove e assume un'espressione. Cerca di guardare fuori da te stessa, in maniera diversa, sempre".

(...) I mari sono mari solo quando si muovono. Sono le onde a impedire che i mari siano semplicemente delle enormi pozzanghere. I mari sono fatti soltanto dalle loro onde. E ogni onda del mare è destinata a incontrare ciò verso cui si muove, e a infrangersi.

(Piccoli animali senza espressione)

"Dico Mayfly con te non so più cosa fare o cosa dire o a cosa credere. Ma ci sono delle cose che so per certe. So che io sto diventando vecchio e tu no. E che ti do tutto quello che ho da darti, con le mani e con il cuore. Tutto quello che ho dentro di me te l'ho dato a te. Tengo duro e lavoro sodo ogni giorno. Ho fatto di te l'unica ragione che ho per fare quello che faccio sempre. Ho cercato di costruire una casa per te, una casa di cui facessi parte, e che fosse una bella casa.
Dico Mayfly il mio cuore ha fatto il giro del mondo e ritorno per te ma ho quarantotto anni.
È ora che la smetto di lasciarmi semplicemente trascinare dalle cose. Devo usare quel po' di tempo che ancora mi resta per cercare di sistemare tutto e stare bene. Devo provare a stare come ho bisogno di stare. In me ci sono delle esigenze che tu non riesci neanche più a vedere, perché ci sono troppe esigenze tue di mezzo.
Lei non dice nulla e io guardo la sua finestra e sento che lei sa che io so, e seduta sul mio divano fa un movimento. Ripiega le gambe sotto di sé, ha un paio di pantaloncini.
Dico in fondo non mi importa di quello che ho visto o credo di aver visto. Non è più quello il punto. So che io sto diventando vecchio e tu no. Ma ora mi sento come se ci fosse tutto me stesso che va verso te mentre di te in cambio non mi viene più niente.
Ha i capelli tirati su con un fermaglio e delle forcine e si tiene il mento con la mano, è mattina presto, sembra che stia sognando rivolta verso la luce pulita che entra dalla finestra bagnata sopra il mio divano.
È tutto verde, dice. Guarda com'è tutto verde Mitch. Come fai a dire di provare certe cose quando fuori è tutto così verde.
La finestra sopra il lavello del mio cucinino è stata ripulita dal violento acquazzone di stanotte e ora è una mattina di sole, è ancora presto, e fuori c'è un casino di verde. Gli alberi sono verdi e quel po' d'erba che c'è oltre i dossi rallentatori è verde e allisciata. Ma non è tutto quanto verde. Le altre roulotte non sono verdi e il mio tavolino lì fuori con le pozzanghere allineate e le lattine di birra e le cicche che galleggiano nei portacenere non è verde, né il mio furgone, o la ghiaia della piazzola, o il triciclo che sta rovesciato su un fianco sotto un filo per il bucato sopra accanto alla roulotte vicina, dove c'è uno che ha fatto dei bambini.
È tutto verde sta dicendo lei. Lo sta sussurrando e il sussurro non è più rivolto a me lo so.
Getto la sigaretta e volto bruscamente le spalle al mattino con il sapore di qualcosa di vero in bocca. Mi volto bruscamente verso di lei che sta sul divano in piena luce.
Da dov'è seduta sta guardando fuori, e io guardo lei, e c'è qualcosa in me che non si riesce a chiudere, nel guardarla.
Mayfly ha un corpo. E lei è la mia mattina. Dite il suo nome".

( È tutto verde)

venerdì 22 dicembre 2017

Il diario di Bridget Jones

Il diario di Bridget Jones (Helen Fielding)

Ci sono due cose che mi rendono tollerabile il mese di dicembre con il suo bagaglio di luci colorate, alberelli più o meno verdi, strenne natalizie, corse all'ultimo regalo, parenti rompiballe, queste due cose sono i cartoni animati Disney e questo libro, portato poi sullo schermo millemila anni fa.
La scelta di Firth nel ruolo di Darcy non è stata casuale, è stato voluto fortemente dalla scrittrice proprio perché aveva già interpretato questo celebre personaggio letterario nella miniserie "orgoglio e pregiudizio".
L'unico motivo per cui ho letto questo libro è stato Colin Firth, un motivo più che sufficiente.
Chi è Bridget Jones? E' una giovane donna in carriera, una zitella over trenta con una stramba famiglia alle spalle, una madre assillante e improbabile, amiche eccentriche con cui uscire e fare casino, un lavoro nella caotica Londra e un capo da cui tutte dovrebbero stare alla larga, inaffidabile ed egocentrico, una vita sentimentale incasinata, fumatrice, affetta da logorrea verbale, in perenne lotta con la bilancia, in grado di dire o fare sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato, collezionando figuracce epiche.
Insomma è una ragazza simpatica, un po' sfigata, alle prese con il suo corpo imperfetto, i chili di troppo e una vita sentimentale a dir poco disastrosa.
Scritto sotto forma di diario, questo libretto narra le disavventure tragicomiche di Bridget. Eppure i giorni di dolorosa solitudine e delusioni sentimentali stanno per finire. Durante un party casalingo a base di cetriolini e sottaceti organizzato dalla madre per le feste natalizie incontra lui, non un semplice uomo, ma LUI, il Signor Darcy di austeniana memoria, ok forse Jane si starà rivoltando nella tomba in questo momento, ma proseguiamo.
Chi è Darcy? Il suo vicino di casa, un uomo intelligente e brillante, affidabile, mentalmente stabile e rassicurante, col cuore spezzato da una ex moglie perfida di razza crudele. Durante il loro primo incontro se lei straparla nervosamente, lui non se la cava meglio, con il suo maglione natalizio rennacentrico passato alla storia. Attraverso varie peripezie si ritroveranno, lei la dolce Bridget che da piccola correva nuda nella sua piscina, lui il gentiluomo rigido e serioso, votato al lavoro e all'impegno civile. Bridget e Mr Darcy sono agli antipodi, non hanno nulla in comune, lui è un paladino dei diritti civili, lei una buffa ragazza pazza.
Eppure.
Se c'è una cosa che rende Mr Darcy tale è proprio il suo modo di essere, un cavaliere senza macchia e senza paura del nuovo millennio, sempre presente e disponibile quando c'è bisogno di lui, a costo di attraversare il mondo intero, quando Bridget si infila in una delle sue assurde disavventure. Non la trova ridicola, grassa, inopportuna, stupida, malgrado le sue figuracce e il dire apertamente quello che pensa, al contrario a lui incredibilmente Bridget piace "così com'è".
Non la vuole più alta, più magra, con più tette, più intelligente, meno imbranata, no, lei è perfetta così com'è. Perfetta per lui. Forse è la sua ancora di salvezza per non affogare in un mare di grigia noia, il suo arcobaleno privato, la sua dose di sana follia quotidiana.
Per Bridget Mark Darcy è l'ago della bilancia, l'equilibrio in un universo caotico e imprevedibile e soprattutto il suo meraviglioso principe azzurro. Perché cos'è questo assurdo libro se non una fiaba moderna?
Ecco se devo associare dicembre a qualcosa di bello mi piace pensare a loro due in piedi in mezzo al nulla, mentre nevica, abbracciati stretti, una ragazza un po' stramba e un ex bravo ragazzo.
E lo so che il principe azzurro non esiste, lo so che nella vita reale c'è sempre qualcuno che vuole cambiarti e per cui non sei mai abbastanza, che ti farà del male e ti deluderà o viceversa, e magari proprio a dicembre sparirà per sempre dalla tua vita e addio favola. So anche che questo è un libro semplice, facile, comico, trash quanto vi pare, però in questo mese gelido a me piace pensare a loro due innamorati più che mai, felici e contenti come nelle fiabe.
Per tornare alla realtà c'è sempre tempo.

"E così presi una grande decisione, mi dovevo assicurare di non ritrovarmi l'anno prossimo mezza ubriaca ad ascoltare FM nostalgia, le canzoni più belle per gli ultra trentenni! Decisi di riprendere in mano la mia vita. E cominciare un diario, in cui scrivere tutta la verità su Bridget Jones, nient'altro che la verità. Decisione numero uno: ovviamente perdere dieci chili. Numero due: mettere sempre a lavare le mutande della sera prima. Ugualmente importante: trovare un ragazzo dolce e carino con cui uscire, evitando di provare attrazioni romantico-morbosa per nessuno dei seguenti soggetti: alcolizzati, maniaci del lavoro, fobici dei rapporti seri, guardoni, megalomani, impotenti sentimentali o pervertiti. E soprattutto non fantasticare su una particolare persona che incarna tutti questi aspetti."

"Non penso affatto che tu sia un'idiota. Oddio, è vero che c'è qualche cosa di ridicolo in te, nei tuoi modi e tua madre è piuttosto imbarazzante. E devo ammettere che sei veramente pessima quando ti capita di parlare in pubblico, e tutto quello che ti passa per la testa lo fai uscire dalla bocca senza tener tanto conto delle conseguenze. Certo mi rendo conto che quando ti ho conosciuta al buffet di tacchino al curry di Capodanno sono stato imperdonabilmente scortese e avevo addosso quel maglione con la renna sopra... che mi aveva regalato mia madre il giorno prima. Ma il punto è... quello che cerco di dirti... in modo molto confuso... è che, in effetti, probabilmente, malgrado le apparenze... tu mi piaci. Da morire.
Tu mi piaci da morire, Bridget, così come sei."


 

lunedì 11 dicembre 2017

Battito, tremore, infinito sospirare...

Parole come ferite che sanguinano, cicatrici indelebili dell'anima.

"Cara Connie,
volevo fare l’uomo forte e non scriverti subito, ma a che servirebbe? Sarebbe soltanto una posa. Ti ho mai detto che da ragazzo ho avuta la superstizione delle “buone azioni”? Quando dovevo correre un pericolo, sostenere un esame, per esempio, stavo attento in quei giorni a non essere cattivo, a non offendere nessuno, a non alzare la voce, a non fare brutti pensieri. Tutto questo per non alienarmi il destino. Ebbene, mi succede che in questi giorni ridivento ragazzo e corro davvero un gran pericolo, sostengo un esame terribile, perché mi accorgo che non oso esser cattivo, offendere gli altri pensare pensieri vili. Il pensiero di te e un ricordo o un’idea indegni, brutti, non s’accordano. Ti amo.
Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me. Amore, il pensiero che quando leggerai questa lettera sarai già a Roma – finito tutto il disagio e la confusione del viaggio -, che vedrai nello specchio il tuo sorriso e riprenderai le tue abitudini, e dormirai da brava, mi commuove come tu fossi mia sorella. Ma tu non sei mia sorella, sei una cosa più dolce e più terribile, e a pensarci mi tremano i polsi."

(17 Marzo 1950)

"Carissima, non sono più in animo di scrivere poesie. Le poesie sono venute con te e se ne vanno con te. Questa l’ho scritta qualche pomeriggio fa, durante le lunghe ore all’Hotel in cui aspettavo, esitando, di chiamarti. Perdonane la tristezza, ma con te ero anche triste. Vedi, ho cominciato con una poesia in inglese e finisco con un’altra. C’è in esse tutta l’ampiezza di quel che ho sperimentato in questo mese: l’orrore e la meraviglia. Carissima, non avercela a male se sto sempre parlando di sentimenti che tu non puoi condividere. Almeno puoi capirli. Voglio che tu sappia che ti ringrazio di tutto cuore. I pochi giorni di meraviglia che ho strappato dalla tua vita erano quasi troppo per me – bene, sono passati, ora comincia l’orrore, il nudo orrore e io sono pronto a questo. La porta della prigione è tornata a chiudersi di schianto…Farai in tempo a ricevere La luna e i falò. Forse sarà già ad aspettarti in North Vista Avenue prima che tu arrivi. Sono così contento che ci sia il tuo nome. Ricorda che ho scritto questo libro – interamente – prima di conoscerti, eppure in qualche modo sentivo in questo libro che stavi per venire. Non è stato meraviglioso viso di primavera, io di te amavo tutto, non solo la tua bellezza, il che è abbastanza facile, ma anche la tua bruttezza, i tuoi momenti brutti, la tua tachenoire, il tuo viso chiuso. E pure ti compiango. Non dimenticarlo."

(Lettera di Cesare Pavese a Constance Dowling,17 aprile 1950)

"L’amore è veramente la grande affermazione. Si vuole essere, si vuole contare, si vuole – se morire si deve – morire con valore, con clamore, restare insomma. Eppure sempre gli è allacciata la volontà di morire, di sparirci: forse perchè esso è tanto prepotentemente vita che, sparendo in lui, la vita sarebbe affermata anche di più?"

"Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perchè un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla".

(Il mestiere di vivere)

To C. from C.

You,
dappled smile
on frozen snows –
wind of March,
ballet of boughs
sprung on the snow,
moaning and glowing
your little “ohs”-
white-limbed doe,
gracious,
would I could know
yet
the gliding grace
of all your days,
the foam-like lace
of all your ways –
to-morrow is frozen
down on the plain
you, dappled smile,
you, glowing laughter

Tu,
screziato sorriso
su nevi gelate –
vento di Marzo,
balletto di rami
spuntati sulla neve,
gemendo e ardendo,
i tuoi piccoli “oh!” –
daina dalle membra bianche,
graziosa,
potessi io sapere
ancora
la grazia volteggiante
di tutti i tuoi giorni,
la trina di spuma
di tutte le tue vie –
domani è gelato
giù nella pianura –
tu, screziato sorriso,
tu, risata ardente.
...

The cats will know

Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l’alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.
Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.
Farai gesti anche tu.
Risponderai parole-
viso di primavera;
farai gesti anche tu.
I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l’alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi più non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffriremo nell’alba,
viso di primavera.

...

Ti ho sempre soltanto veduta,
senza parlarti mai,
nei tuoi istanti più belli.
Ma ho l'anima ormai tanto tesa,
schiantata dalla tua figura,...
che non trovo più pace
al suo brivido atroce.
E non posso parlarti,
nemmeno avvicinarmi,
ché cadrebbero tutti i miei sogni.
Oh se tale è il tremore orribile
che ho nell'anima questa notte,
e non ti conoscerò mai,
che cosa diverrebbe il mio povero cuore
sotto l'urto del sangue,
alla sublimità di te?
Se ora mi par di morire,
che vertigine folle,
che palpiti moribondi,
che urli di voluttà e di languore
mi darebbe la tua realtà?
Ma io non posso parlarti,
e nemmeno avvicinarmi:
nei tuoi istanti più belli
ti ho sempre soltanto veduta,
sempre soltanto sognata.


...

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

(C. Pavese)

 
 
 


martedì 5 dicembre 2017

Prima che tu dica pronto

Prima che tu dica pronto, Italo Calvino

Questa raccolta comprende alcuni racconti apparsi su riviste, altri inediti, scritti tra il 1943 da un giovanissimo Calvino e il 1984.
Racconti che partendo da un avvenimento quotidiano diventano simbolo di qualcos'altro ben più complicato e indefinito, come quando tra la folla in un lampo di folle saggezza si percepisce l'assurdità del tutto. Apologhi dietro cui si cela un preciso riferimento alla situazione politica del tempo, che con ironia, apparente leggerezza e semplicità toccano temi ancora attuali, muovendosi tra il passato di antiche civiltà perdute, il caos del presente, l'incertezza inquieta e angosciosa del futuro.
Il racconto che dà il titolo all'intera raccolta è attualissimo, esprimendo la solitudine e l'incomunicabilità, il tentativo disperato di colmare il vuoto dentro e fuori di noi, di "esistere" attraverso i fili del telefono o le più moderne tecnologie.
La migliore introduzione a questa raccolta sono le parole dello stesso scrittore.

"Spesso è un'insoddisfatta aspirazione di vita che spinge a scrivere, e l'espressione trovata sulla carta è pure la chiave per la vita."

"Faccio racconti di partigiani, di contadini, di contrabbandieri in cui partigiani, contadini, contrabbandieri non sono che pretesti a storie piene di colore, d'accorgimenti narrativi e d'acutezze psicologiche: in fondo non studio che me stesso, non cerco che di esprimere me stesso, non cerco di rappresentare che dei simboli di me stesso nei personaggi e nelle immagini e nella lingua e nella tecnica narrativa. Non sono in fin dei conti che uno dei vecchi scrittori individualisti che però s'esteriorizza in simboli d'interesse attuale e collettivo."
...

"Ora ci rincorriamo, giochiamo a denti stretti, l'amore, ecco l'amore uno dell'altra, una voglia di graffi e morsi uno dell'altra, pugni anche, sulle spalle, poi un bacio stanchissimo : l'amore.
"Vedi forse io ho paura di te. Ma non so dove rifugiarmi. L'orizzonte è deserto, non ci sei che tu. Tu sei l'orso e la grotta. Perciò io ora sto accucciata tra le tue braccia, perché tu mi protegga dalla paura di te."
"Non devi dirmi queste cose. Non si sarebbe più né l'orso né la grotta. E pure intorno a me non resterebbe che paura."
- Dì sono una cosa, io? dice.
-Ugh, dico.
Ho scoperto una piccola fossetta su una spalla, sopra l'ascella, soffice, senza osso sotto, del tipo di fossette delle guance. Parlo con le labbra sulla fossetta.
- Spalla come guancia, dico. Non si capisce niente.
- Come? chiede. Ma non le importa nulla di quel che dico.
- Corsa come giugno, dico, sempre nella fossetta. Lei non capisce quello che faccio ma è contenta e ne ride. E' una cara ragazza.
- Mare come arrivo, dico, poi tolgo la bocca dalla fossetta e ci poso l'orecchio per sentire l'eco. Non si sente che il suo respiro e, lontano e sepolto, il cuore.
- Cuore come treno, dico.
(...) E quello che facciamo adesso non è una cosa pensata più una cosa vera: il volo sopra i tetti, e la casa che svetta con le palme alla finestra di casa mia al paese, un grande vento ha preso il nostro ultimo piano e lo trasporta per i cieli e le fughe rossicce delle tegole.
Sulla riva del mio paese, il mare s'è accorto di me e fa le feste come un grande cane. Il mare, gigantesco amico, dalle piccole mani bianche che raspano la ghiaia, ecco che scavalca i contrafforti dei moli, impenna la bianca pancia e salta i monti, eccolo che arriva festoso come un immenso cane dalle zampe bianche di risucchio. Tacciono i grilli, tutte le pianure sono invase, campi e vigneti, ora solo un contadino alza il tridente e grida: ecco il mare sparisce come bevuto dalla terra. Ciao mare.

(Amore lontano da casa)

"Storie non posso raccontartene dico, perché ho l'intercapedine. C'è un precipizio vuoto tra me e tutti gli altri. Ci muovo le braccia dentro ma non afferro niente, getto dei gridi ma nessuno li sente: è il vuoto assoluto."

(Vento in una città)

"È in questo silenzio di circuiti che ti sto parlando. So bene che, quando finalmente le nostre voci riusciranno ad incontrarsi sul filo, ci diremo delle frasi generiche e monche; non è per dirti qualcosa che ti sto chiamando, né perché creda che tu abbia da dirmi qualcosa. Ci telefoniamo perché solo nel chiamarci a lunga distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di un' eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s’è aperta sotto i piedi d’una coppia di esseri umani e gli abissi dell’oceano si sono spalancati a separarli mentre l’uno su una riva e l’altra sull’altra trascinati precipitosamente lontano cercavano col loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme e che si faceva sempre più flebile finché il rombo delle onde non lo travolgeva senza speranza. Da allora la distanza è l'ordito che regge la trama d'ogni storia d'amore come d’ogni rapporto tra viventi, la distanza che gli uccelli cercano di colmare lanciando nell’aria del mattino le arcate sottili dei loro gorgheggi, così come noi lanciando nelle nervature della terra sventagliate d’impulsi elettrici traducibili in comandi per i sistemi a relais: solo modo che resta agli esseri umani di sapere che si stanno chiamando per il bisogno di chiamarsi e basta."
"Come un bosco assordato dal cinguettio degli uccelli, il nostro pianeta telefonico vibra di conversazioni realizzate o tentate, di trilli di suonerie, del tinnire d’una linea interrotta, del sibilo d’un segnale, di tonalità, di metronomi; e il risultato di tutto questo è un pigolio universale, che nasce dal bisogno d’ogni individuo di manifestare a qualcun altro la propria esistenza, e dalla paura di comprendere alla fine che solo esiste la rete telefonica, mentre chi chiama e chi risponde forse non esistono affatto".

(Prima che tu dica pronto)

sabato 2 dicembre 2017

Il valzer degli alberi e del cielo

Il valzer degli alberi e del cielo (Jean- Michel Guenassia)

"L'arte è così ricca che, se soltanto una persona riuscisse a tenere a mente ciò che ha visto, avrebbe sempre di che nutrire i propri pensieri e non sarà mai davvero sola, mai più sola."
(Lettera di Vincent a Théo, 15 novembre 1878)

Un libro di rapida e agevole lettura, che con uno stile diretto ed essenziale cerca di far luce sulla misteriosa fine di van Gogh, confutando le teorie storiche ufficiali. Un libro che muovendosi tra finzione romanzesca e fantasia racconta l'ultimo tormentato amore di van Gogh.
Lui è il pittore geniale, in balia di inquietudini profonde e demoni interiori, che ha consacrato la sua esistenza alla pittura, capace di realizzare dipinti sublimi, creature vive, trasformando paesaggi quotidiani e comuni in qualcosa di abbagliante e meraviglioso. Un uomo che vuole dipingere ciò che sente e sentire ciò che dipinge, sferzando la tela bianca con pennellate decise e nervose che sembrano colpi di frustra, crea una danza sfrenata di luce e colore. Una pittura che riesce a esprimere ciò che sente interiormente, dove natura e potenza creatrice diventano incanto, magia, bellezza diversa e innovatrice, emozione indelebile.
Lei è Marguerite la figlia del dottor Gachet, il medico che ebbe in cura Vincent nell'ultimo periodo della sua vita. Un uomo severo, incapace di affetto, avido e calcolatore, un uomo che lo stesso Vincent considerava instabile e inadeguato. Marguerite ha 19 anni, ama dipingere, sa disegnare ma le manca l'estro creativo, la scintilla che può trasformare la passione in autentico talento.
Ama la musica, la pittura, l'istruzione, desidera iscriversi all'Accademia delle Belle Arti preclusa alle donne, in un mondo che relega la donna al ruolo di docile statuina insignificante, promessa sposa per calcolo, senza alcuna voce in capitolo in merito al proprio destino. Una ragazza che sogna di fuggire via lontano, in quell'America che sembra la terra promessa dove i sogni possono diventare realtà, finalmente libera di essere se stessa.
Nel libro sono fedelmente riportati stralci di documenti storici dell'epoca e alcuni frammenti delle lettere che Vincent scrisse all'amato fratello Thèo e all'amico Gauguin.
Sulla candida tela i colori prendono vita e l'azzurro del cielo danza con il verde degli alberi un valzer tenero e appassionato. Così come tenero e appassionato è l'amore che lega i due protagonisti.
Un amore rischioso, sconveniente, pericoloso. Un amore che sfida le regole asfittiche e convenzionali del mondo borghese. Un amore incompleto che va sacrificato sull'altare della pittura, vero e unico amore, assoluto, totalizzante, passione tormento creazione, sacrificio, sofferenza, estasi, rinuncia, genialità, bellezza senza tempo.
Un uomo inquieto che con le sue mani nervose è riuscito a dipingere il mondo in modo assai più bello di come Dio l'ha creato. Dipinti che ancora oggi ci lasciano senza fiato, dove cielo e terra, alberi e nuvole danzano per l'eternità.

"Sono passata mille volte davanti a quel paesaggio che era per me simile a mille altre vallette tranquille, ma ciò che vedo non è né banale né tranquillo, sono spighe e alberi che vibrano come se fossero vivi e abbarbicati alla vita, con il vento che li sommuove, il giallo che guizza dappertutto e il verde che trema."

"La mansarda che era in penombra si è rischiarata d'improvviso, un raggio di luce si è posato come per incanto sul cavalletto e sono stata colpita da questa visione: una tela raffigurante delle case contadine i cui tetti di paglia si confondevano con i prati disposti su vari livelli e, sullo sfondo, gli alberi verde cupo si abbandonavano a un valzer tormentato e pieno di complicità con un cielo di nuvole azzurrine. Il dipinto, che al mio arrivo era grigio, si era come animato di un soffio di vita con alberi e cielo che danzavano una sarabanda indiavolata. Non so per quanto tempo sono rimasta in contemplazione di quella tela.
"E' un villaggio dei dintorni" disse lui alle mie spalle, "mi piace molto quel posto, è ondulato, si chiama Montcel, lo conosci?"
Ero passata cento volte davanti a quelle quattro case e non mi ero mai accorta di quanto fossero belle.
"Ti piace?"
Mi voltai. Vincent era davanti a me. Aveva il volto solcato da rughe e di colorito grigiastro, occhi verdi e obliqui, capelli biondocenere, una bocca dalle labbra tumide e lo sguardo stanco di un uomo che ha fatto il giro del mondo e visto terre lontane. Mi ha sorriso, si è grattato il mento. Io mi sono avvicinata, e l'ho baciato. Sì, ho posato le labbra sulle sue, ho visto che abbassava le palpebre e l'ho fatto anch'io."

-"Perché dipingi?
Perché ne ho voglia, dipingo da quand' ero piccola.
-Non ti domando da quanto tempo dipingi, ti domando perché. Dimmi cos'è che ti spinge a dipingere.
Immagino che sia perché mi piace.
-Lo sapevo. Il problema è che non sai rispondere alla domanda.
Voglio prendere lezioni per imparare.
-Non capisci niente! Io ti parlo di te, dannazione!
La pittura non s'impara, le lezioni non servono a niente! Perché prendere lezioni con dei cattivi pittori, che uccideranno ciò che c'è di meglio in te, che temono ciò che è moderno come la peste perché producono soltanto cose gelide e senz'anima? Le lezioni servono soltanto a seguire la via tranquilla e priva di rischi che ha imboccato il professore, a intrappolarsi nel suo stesso vicolo cieco. Non aver paura di metterti in pericolo, di romperti il muso e di soffrire. Trova la tua strada da sola, non hai bisogno di nessuno per essere pittrice, guarda ciò che hai davanti, chiudi le palpebre e dipingi ciò che vedi dentro di te. E se non vedi niente, se non c'è niente, smetti di dipingere."

"Ma lui sapeva che il nostro tempo era contato. Io no. Lui sapeva, d’istinto, molto prima che io l’ammettessi, che siamo soli sulla Terra e che contro questo non possiamo fare nulla. Soli di fronte a noi stessi. Soli in mezzo agli altri. Qualunque cosa ci si possa inventare per far credere il contrario. E Vincent è riuscito a dipingere proprio la bellezza di questa profonda solitudine".


domenica 26 novembre 2017

Daddy

Daddy (Sylvia Plath)

Non servi, non servi più,
O nera scarpa, tu
In cui trent’anni ho vissuto
Come un piede, grama e bianca,
Trattenendo fiato e starnuto.
Papà, ammazzarti avrei dovuto.
Ma sei morto prima che io
Ci riuscissi, tu greve marmo, sacco pieno di Dio,
Statua orrenda dal grigio alluce
Grosso come una foca di Frisco
E un capo nell’Atlantico estroso
Al largo di Nauset laggiù
Dove da verde diventa blu.
Un tempo io pregavo per riaverti.
Ach, du.
In tedesco, in un paese
Di Polonia al suolo spianato
Da guerre, guerre, guerre.
Ma il paese ha un nome molto usato.
Un amico mio polacco
Mi dice che ce n’è un sacco.
Così non ho mai saputo
Dov’eri passato o cresciuto.
Mai parlarti ho potuto.
Mi s’incollava la lingua al palato.
Mi s’incollava a un filo spinato.
Ich, ich, ich, ich,
Non riuscivo a dir di più di così.
Per me ogni tedesco era te.
E quell’idioma osceno
Era un treno, un treno che
Ciuff-ciuff come un ebreo portava via me.
A Dachau, Auschwitz, Belsen.
Da ebrea mi mettevo a parlare,
E lo sono proprio, magari.
Le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna
Non son molto pure o sincere.
Per la mia ava zingara e fortunosi sbocchi
E il mio mazzo di tarocchi e il mio mazzo di tarocchi
Qualcosa di ebreo potrei avere.
Ho avuto sempre terrore di te,
Con la tua Luftwaffe, il tuo gregregrè.
E il tuo baffo ben curato
E l’occhio ariano d’un bel blu.
Uomo-panzer, panzer, O tu –
Non un Dio ma svastica nera
Che nessun cielo ci trapela.
Ogni donna adora un fascista,
La scarpa in faccia, il brutale
Cuore di un bruto a te uguale
Tu stai alla lavagna, papà,
Nella foto che ho di te,
Biforcuto nel mento anziché
Nel piede, ma diavolo sempre,
Sempre uomo nero che
Con un morso il cuore mi fende.
Avevo dieci anni che seppellirono te.
A venti cercai di morire
E tornare, tornare a te.
Anche le ossa mi potevano servire.
Ma mi tirarono via dal sacco,
Mi rincollarono i pezzetti.
E il da farsi così io seppi.
Fabbricai un modello di te,
Uomo in nero dall’aria Meinkampf,
E con il gusto di torchiare.
E io che dicevo sì, sì.
Papà, eccomi al finale.
Tagliati i fili del nero telefono
Le voci più non ci possono miagolare.
Se ho ucciso un uomo, due ne ho uccisi –
Il vampiro che diceva essere te
E un anno il mio sangue bevé,
Anzi sette, se tu
Vuoi saperlo. Papà, puoi star giù.
Nel tuo cuore c’è un palo conficcato.
Mai i paesani ti hanno amato.
Ballano e pestano su di te.
Che eri tu l’hanno sempre capito.
Papà, bastardo, ho finito.

Otto Emil Plath docente universitario e noto entomologo di origini tedesche si trasferì in America da ragazzo, morì quando Sylvia aveva soltanto otto anni.
Un trauma difficile da elaborare e superare. "Daddy" per una bambina che vive la sua scomparsa come tradimento e colpevole abbandono, ma anche un uomo severo e rigido, stimato e temuto professore spesso assente, uomo nero vampiro amato e odiato. In alcuni suoi scritti si accenna al silenzio ovattato in casa, alla malattia del padre, a quel qualcosa di irrisolto che la accompagnerà per tutta la vita, un nodo difficile da districare. La poesia di Sylvia è affilata come una lama tagliente, potente ed evocativa, mette a nudo l'inquietudine profonda della sua anima ferita. Questa è forse la sua poesia più spietata, scritta negli ultimi mesi di vita. Piena di rabbia, rancore, odio, solitudine, verso il padre ma anche verso chi (Ted il colosso) ha amato profondamente e alla fine l'ha lasciata di nuovo sola, un colpevole e imperdonabile abbandono.

E poi c'è un racconto "il volo dei bombi" che rappresenta il rovescio della medaglia, dove c'è tutto l'amore tenero di una bambina per il papà andato via troppo presto, che nessuno potrà mai eguagliare.

"In principio c’era suo padre, che la lanciava in aria, così in alto che le si mozzava il respiro in gola, e poi la afferrava al volo e la avviluppava in un abbraccio potente. Se gli appoggiava l’orecchio al petto, sentiva il rombo di tuono del suo cuore e il pulsare del sangue nelle sue vene, simile al galoppo di cavalli selvaggi."
(...) Non sapeva, allora, che nessuno più, in tutta la sua vita, avrebbe camminato accanto a lei, come aveva fatto lui, fiero e arrogante, in mezzo ai bombi."

Creatura potente e fragile, in precario equilibrio tra demoni privati e Poesia, immensamente Sylvia.

sabato 18 novembre 2017

Il mare dove non si tocca

Il mare dove non si tocca, Fabio Genovesi

Siamo fatti di storie, non importa quanto strambe assurde pazze siano, ci appartengono, ci rendono quello che siamo oggi, siamo fatti di storie e persone che popolano il nostro piccolo grande mondo e ci vogliono bene nonostante tutto, non siamo isole sperdute nel mare, anche se a volte ci sentiamo soli e smarriti. Siamo quelle storie, che nascono dal nostro vissuto incasinato e vanno per il mondo, storie che fanno parte di noi e sopravvivono al tempo e a tutto quanto, siamo noi quelle storie uniche e speciali nel mare immenso che è la vita.
Il nuovo libro di Fabio Genovesi racconta con quel suo stile inconfondibile, semplice, diretto, pulito, ironico, che ti strappa un sorriso e una lacrima, la storia di una famiglia speciale, quella di Fabio, un bambino sensibile, che sogna a occhi aperti e vola in alto con la fantasia.
Fabio vive con il papà Giorgio, un uomo di poche parole che sa aggiustare tutto, la madre Rita che vuole proteggerlo dal mondo e ha litigato con la verità da piccola, quella verità brutta e amara che ferisce, una coccinella che gli fa battere il cuore, una nonna fortissima e dieci nonni/zii completamenti suonati, fulminati sui quali grava da sempre una terribile maledizione che terrorizza e minaccia anche il piccolo Fabio.
Leggendo la sua storia, assaporandola pagina dopo pagina si torna indietro nel tempo e diventa impossibile non pensare alla propria infanzia.
A quei parenti strambi e simpatici, a volte invadenti che ti riempiono la vita.
Al primo giorno di scuola quando ti sembra davvero di entrare in un universo nuovo e sconosciuto, al sentirsi diversi dagli altri, alla matematica che detesti, a babbo natale che sicuramente esiste, alle figurine, al catechismo obbligatorio, alle gite assurde e divertentissime ma anche no. Alle figuracce, a quando nessuno ti voleva in squadra perché se ti sceglievano sconfitta assicurata, all'adolescenza che ti esplode addosso e ti fa sentire un alieno, alle prime feste a casa di amici, maledette "festine", quando tutti si divertivano e tu eri lo sfigato della situazione, tu e il tuo unico amico più strano e solitario di te. Alcuni episodi narrati nel libro con ironia e leggerezza li ho trovati davvero simili al mio vissuto, sarà per questo che mi piacciono molto i suoi libri, mi sento vicina a questi personaggi eccentrici e originali, sognatori folli e impulsivi.
E poi cresci, la vita ti travolge, ti sorprende alle spalle all'improvviso, ti schiaffeggia e l'unica cosa che puoi fare è continuare a muoverti, come quando ti sei tuffato per la prima volta in mare, quel mare gigantesco che fa paura, pieno di creature strane e misteriose, onde alte, fondali profondi, lì a pochi metri dalla riva il mare aperto, immenso, profondo e buio. E una volta che sei lì in mezzo sprofondi e poi torni a galla, bevi acqua salata, vai giù e su, ti muovi braccia gambe tutto, ti sembra di annegare e invece respiri ancora, goffo, indeciso, insicuro come un pesce strano che sta imparando a nuotare.
Restare a galla in questo mare immenso che è la vita, con le storie che ci appartengono e siamo noi, nel mare profondissimo, misterioso e blu, che un po' fa paura e un po' ci elettrizza, tuffarsi tra le onde vincendo la paura, lì nel mare dove non si tocca.


"Le storie vengono da lontano, ma respirano sott’acqua e hanno ali giganti per raggiungerti ovunque".

"Poi però l’ho capito che l’anima di ogni persona è proprio questa qua: è la sua storia da raccontare, e più è bella e più vola fra le bocche e le orecchie e dura nel tempo. Il tuo corpo finisce in una cassa, ma la tua storia viaggia per il mondo, viaggia per sempre.
(...) E allora sarò strano, sarò pazzo, non lo so e non mi importa. So solo che lascio il modulo com’è, sbagliato e giusto insieme, e corro giù. Una stesa di scale e la strada, e la mia storia vola già da un’altra parte."

"Adesso però non è più come prima, perché con me resta la mia cattiveria. L'ho appena conosciuta e mi ha già insegnato come si smette di essere soli e diversi, come si fa a essere uguali agli altri, quanto è facile fare schifo come tutti quanti."

"Siamo così, spersi in mezzo alla nebbia, e ci guardiamo intorno per capire se è meglio andare di qua o di là oppure stare fermi ancora un po'. E intanto parliamo e cantiamo e certe volte pure ci mettiamo a fischiare, per farti sapere dove siamo, anche se non lo sappiamo nemmeno noi. Però insomma, siamo qui, e ti aspettiamo."

"Poi però, così dal nulla, si è scatenato un altro vento cento volte più potente, che magari soffiava solo addosso a me ma in un attimo ha ribaltato la mia giornata. Quando la porta di alluminio si è aperta in uno schianto, il maestro si è bloccato e tutti ci siamo voltati a guardare lei, la Coccinella.
Che arrivava sempre così nella mia vita: dal nulla, in ritardo e spaccando tutto."

"Ma le cose belle sono come quelle brutte, è difficile farsele uscire dalla bocca, così restano a gonfiarti la gola mentre dici solo le cose medie. Il meglio dei nostri discorsi resta sempre rinchiuso dentro di noi, a morire nel buio."

martedì 24 ottobre 2017

La sala da ballo

La sala da ballo, Anna Hope

Ci sono fiori che spuntano in posti impensabili, agli angoli di strade polverose, nel cemento, nelle crepe dei muri, sopravvivendo in ambienti ostili, aridi e asfittici. Tenui e fragili, in balia di venti contrari e correnti resistono a tutto, deboli fiammelle nella notte più nera.
Nei primi del novecento tra boschi verdi e brughiera selvaggia il manicomio di Sharston racchiude e imprigiona dolori, frustrazioni, nevrosi, sogni spezzati, follie di uomini e donne comuni.
Ella, Clem, John, il dottor Fuller sono i protagonisti di questo romanzo, quello che accade lo vediamo attraverso i loro occhi. Ella una semplice filandaia che vuole vedere un pezzetto di cielo durante un turno di lavoro e si ritrova rinchiusa, John un uomo malinconico e sensibile dal passato doloroso, Clem una ragazza agiata che ama i libri, che sa rendersi invisibile e farsi del male, sfogando sul proprio corpo l'infelicità muta e senza nome che si porta dentro. E infine il dottor Fuller medico appassionato di eugenetica e violino, che crede nel potere terapeutico della musica e della danza. Un personaggio irrisolto, frustrato, che subirà una vera e propria metamorfosi nel corso del libro.
E' proprio grazie a lui che i pazienti avranno l'occasione di danzare una volta a settimana nella sala da ballo, finalmente liberi di essere se stessi ed entrare in sintonia con l'altro. Proprio durante un ballo nascerà un amore fatto di sguardi, lettere, piccoli regali inattesi, un fiore selvatico, una foglia, una piuma, timide attese e coraggiose promesse.
Un libro scorrevole, di agevole lettura, che cattura l'attenzione del lettore con il susseguirsi rapido degli avvenimenti, che cerca di indagare nella mente e nell'anima dei suoi protagonisti, mettendo in luce ombre paure inquietudini.
Manca tuttavia una seria introspezione psicologica dei personaggi, alcune dinamiche complesse potevano essere approfondite maggiormente, a volte è come se tutto fosse descritto in modo un po' superficiale. Mi aspettavo di più da questo libro, anche se nel complesso mi è piaciuto. Forse però alcuni aspetti potevano essere trattati con maggiore profondità.


"Lei il cielo voleva vederlo. E così il giorno prima, che sarebbe stato un giorno come tutti gli altri ma ormai non lo era più, Ella aveva fatto sgusciare da sotto i piedi una cesta di rocchetti vuoti, ne aveva preso uno e lo aveva scagliato verso la finestra più vicina. Il vetro opalino era andato in frantumi, e lei si era alzata ansimando, stordita dallo schiaffo d'aria fredda. Aveva intravisto l'orizzonte. La promessa scura e sinistra della brughiera."


 

La figlia del matematico

La figlia del matematico, Laura Kinsale

Lui il duca di Jervaulx, uomo appassionato, geniale matematico, tormentato, inquieto, ribelle, passionale, sorriso da pirata, occhi blu notte come un cielo in tempesta, messo a dura prova dalla vita. Un uomo che è passato dalla gioia più sfrenata al buio spaventoso, da tutto a niente in una manciata di minuti. Da un'esistenza agiata, ricca di divertimenti e passioni a una feroce solitudine, mortificato nell'anima e nel corpo, un fantasma muto e rabbioso, incattivito dal dolore e dalla disperazione.
Lei Maddy Timms totalmente diversa per credo religioso (è una quacchera) estrazione sociale, stile di vita austero.
Una ragazza forte, coraggiosa, devota, semplice e concreta, un'ancora di salvezza in un mondo che all'improvviso si capovolge e diventa un abisso infernale privo di significato.
Dal buio alla luce.
Una intensa storia d'amore di quelle super romantiche, che mi ha tenuta incollata alle pagine fino alla fine. Se avete sognato con l'orgoglioso signor Darcy o l'impetuoso Rochester, non potete non leggere questo libro.
Titolo originale "Flowers from the storm", che tradotto in italiano diventa "la figlia del matematico". Preferisco il titolo originale perché è una vera e propria tempesta quella che sconvolge la vita dei due protagonisti, legandoli indissolubilmente e costringendoli a fare i conti con quello che sono stati fino a quel momento e non saranno mai più. Se Christian dovrà imparare di nuovo tutto da zero, anche le cose più elementari, parlare, vestirsi, relazionarsi con gli altri, affrontando un mondo che improvvisamente sembra immenso e fa paura, riappropriandosi a poco a poco della propria vita, Maddy dovrà mettere in discussione tutto quello in cui ha sempre creduto e fare i conti con una parte sconosciuta di se stessa, quella che ama fortemente e appassionatamente.
Avvincente, scorrevole, ricco di dialoghi e descrizioni accurate, una lettura di pura e semplice evasione se si ha voglia di sognare a occhi aperti per un po'.
Una storia d'amore struggente e appassionata di sapore ottocentesco.
Ovviamente è un romanzo rosa, ci sono ruoli ben definiti, la donna "angelo", il duca ribelle, gli ostacoli da superare, però mi piace l'idea di fondo.
Questo amore che nasce tra mille difficoltà, che sopravvive a tutto, che deve fare i conti con la parte peggiore dell'altro, quella scomoda, brutta, oscura, con tutto quello che fa paura, che guarisce e porta in salvo, avvicinando due persone lontanissime e legandole per sempre. Quell'amore egoista che non fa respirare, di cui non puoi e non vuoi fare a meno, dell'anima e del corpo, che forse esiste solo nelle fiabe o nei libri.


"Pensi che sei una dolce timida piccola quacchera?" La risata scomposta che ebbe nel dire questo salì fino alle travi del soffitto.
"Ostinata... egoista... bugiarda caparbia per orgoglio! Non farò riverenza al re, dannazione!
Entrare nella cella di un pazzo... a testa alta... senza paura... avrei potuto ucciderti Maddy. Ucciderti cento volte.
"Era un Incarico" sussurrò lei.
"Era...tu" replicò Christian. "Tu... mi hai tolto di là (...)
Non perle, fiori...abiti da sera. Ti dono... quello che sono, e tutto quello che posso.
Ti dono...mia figlia...perché solo tu puoi insegnarle abbastanza coraggio... insegnarle a non curarsi...il disprezzo...quello che dicono. Solo tu... puoi insegnarle a...essere come te. Una duchessa. Una duchessa dentro!"

" Una stella che potevo solo guardare e ammirare. Tu hai percepito la mia vera natura e i miei desideri. Sono contenta che questa stella sia caduta, così posso tenerti tra le mie mani."

"Rovesci il mio mondo... sottosopra".

domenica 24 settembre 2017

Ballando a notte fonda

Ballando a notte fonda, Andre Dubus

L'ultima raccolta di racconti di Dubus, protagonisti sono uomini e donne che hanno ancora voglia di mettersi in gioco e sperare, nonostante gli errori, le cadute, la paura, le ferite del corpo e dell'anima che li hanno segnati ma non sconfitti. Una scrittura tersa ed evocativa, che si diffonde nell'aria e dentro di noi come musica. Tra le righe si svela la realtà quotidiana con le sue piccole gioie, forti delusioni, dolori che appartengono a un passato recente e infine l'attesa di qualcosa che arriverà malgrado tutto, un'epifania improvvisa nel cuore buio della notte che ha il sapore dell'alba.



 "Tutti, uomini e donne, si portano dietro una mutilazione. Se la sono procurata in guerra, o nel matrimonio, o durante l'infanzia. I più disperati sono quelli che stanno scontando i loro peccati e perciò vivono nel rimorso e non riescono a smettere di guardarsi indietro. Noi però li incontriamo quando tutto è già successo, e questo a me pare il più serio motivo per cui Dubus è sempre rimasto fedele alla forma racconto, che è una forma aperta e permette di cominciare dopo che una tragedia si è ormai consumata, lasciarla indietro, occuparsi piuttosto di ciò che rimane. A lui interessava quel dopo, l'altro paese in cui vivono i suoi personaggi smarriti, che hanno perso tutto o quasi.
Come si curano, o provano a curarsi questi uomini e queste donne? Di solito con un nuovo amore. Che è un amore guardingo e sospettoso. Naturale che non regga un amore così (...)
Se c'è chi scrive per turbare i giusti e chi per consolare gli afflitti e i peccatori, io direi che Dubus scriveva per dare coraggio a chi ha paura. A quelli terrorizzati da tutti gli sbagli che devono ancora fare. Ogni sua riga mi sembra piena di affetto verso di loro."
(Dalla prefazione di Paolo Cognetti)

"Dovrebbe essere così, pensò adesso, qualcosa di imprevedibile che giunge da fuori e ci riempie. Qualcosa che cambia il modo in cui vediamo ciò che vediamo. Qualcosa che ci permette di vedere ciò che non vediamo."
 

sabato 16 settembre 2017

Inganno

Inganno, Philip Roth

Lui, uno scrittore cinquantenne innamorato della propria arte. Lei, una giovane donna inglese in crisi, moglie insoddisfatta e infelice.
Un dialogo sussurrato tra due amanti in una stanza al riparo dal mondo.
Uno scrittore che ama ascoltare le parole delle donne, la loro voce, mentre si raccontano mettendo a nudo insicurezze, paure, tempestosi naufragi, ricomponendo poco a poco i frammenti della propria storia.
L'universo reale si intreccia con quello immaginato e sognato, i personaggi prendono forma e vita sulla carta. Essenziale, conciso, ironico, un dialogo a due voci che diventa un'intensa confessione a cuore aperto.

"La sindrome di Emma Bovary. Flaubert è una buona introduzione agli uomini, per una ragazza.
(...) Dicevo sempre ai miei studenti che non c'è bisogno di tre uomini per passare attraverso tutto il calvario che percorre lei. Di norma uno basta e avanza, sia nella parte di Rodolphe che in quella di Lèon e poi di Charles Bovary. Prima il rapimento e la passione. Tutti i voluttuosi peccati della carne. Sua schiava. Totalmente travolta. Dopo la torrida scena d'amore nel suo castello, passi il suo pettine tra i tuoi capelli eccetera. Un amore quasi insostenibile con l'uomo perfetto, che ha un modo meraviglioso di fare ogni cosa. Poi, col tempo, il fantastico amante si erode e si trasforma nell'amante di tutti i giorni, l'amante prosaico, e diventa un Lèon, nient'altro che uno scarpegrosse dopotutto.
Comincia la tirannia del reale.
- Cos'è uno scarpegrosse?
Uno zoticone. Un provinciale. Abbastanza carino, abbastanza attraente, ma non esattamente un uomo di valore, che sa tutto e in tutto è sublime. Un po' banalotto, capisci. Qualche pecca qua e là. Un po' stupido. Sempre ardente, qualche volta affascinante, ma, per dire la verità, un'anima un po' impiegatizia. E a questo punto, con o senza matrimonio (anche se il matrimonio accelera sempre il processo) colui che era Rodolphe e che è divenuto Lèon si trasforma in Bovary. Mette su peso. Si pulisce i denti con la lingua. Fa rumore quando manda giù la minestra. E' goffo, è ignorante, è rozzo, è irritante perfino a guardarlo dal didietro. All'inizio questo ti infastidisce, nulla più; alla fine ti fa impazzire. Il principe che ti ha salvato dalla tua squallida esistenza ora è il tanghero seduto al centro stesso della tua squallida esistenza. Noia, noia, noia. Finchè, la catastrofe. In un modo o nell'altro, qualunque sia il mestiere che fa, commette una cazzata spaventosa sul lavoro. Come il povero Charles con Hippolyte. L'ex uomo perfetto è uno spregevole fallito. Potresti ammazzarlo. La realtà ha trionfato sul sogno.
- E tu cosa pensi di essere per me?
- Attualmente? Direi qualcosa tra un Rodolphe e un Lèon. In lenta decadenza. No? Sulla strada che porta a Bovary.
- Sì. Ride. Più o meno sono d'accordo.
- Sì, qualcosa fra il desiderio e la disillusione, sul lungo declivio che conduce alla morte".

...

- Ti verso qualcosa da bere.
Ho davvero voglia di bere qualcosa. Mi sento proprio presa in mezzo.
- Fra cosa?
Fra l'incudine e te.

- Io ti ascolto tanto, sai.
Troppo. Perché poi?
- Che c'è?
Sto pensando che ti amo ancora.
- Davvero? Nonostante...?
Nonostante.

- Okay. Mi mancherai. Mi mancherai molto.
Anch'io ti penserò spesso.
- E' davvero un gran peccato per noi due.
Conosci quella poesia di Marvell?
- Quale poesia?
"Fu generato dal desiderio a dispetto dell'impossibilità". Quella poesia.
- Mi pareva che fosse " disperazione"... "generato dalla disperazione".
E' vero. E' stato così. Tutt'e due le cose.

...

Il mio amore è per nascita tanto raro
quanto strano ed elevato nel suo oggetto;
fu generato dalla Disperazione
congiunta con l’Impossibilità.
Solo la magnanima Disperazione
ha potuto svelarmi una cosa tanto divina,
laddove la flebile Speranza non riusciva a volare
ma batteva invano la sua ala appariscente.
E, tuttavia, io potrei velocemente arrivare
là dove la mia anima protesa in lei rimane fissa,
il Fato, però, incunea zeppe di ferro
e sempre si insinua in mezzo.
Perché il Fato, con occhio geloso, vede
due amori perfetti ma non li lascia congiungere;
la loro unione sarebbe la sua rovina
e invaliderebbe il suo potere tirannico.
E pertanto i suoi decreti d’acciaio
hanno posto noi come due poli lontani
(sebbene tutto l’universo amoroso ruoti intorno a noi)
destinati a non abbracciarsi mai per virtù propria
a meno che il vorticoso cielo non precipiti
e la terra non venga squarciata da una nuova convulsione;
e, perché noi possiamo congiungerci, il mondo intero dovrebbe
essere schiacciato in un planisfero.
Come le linee oblique anche gli amori imperfetti possono ben,
incontrarsi ad ogni angolo;
ma i nostri sentimenti d’amore, così perfettamente paralleli,
sebbene infiniti non potranno mai incontrarsi.
Perciò l’amore che così ci lega,
ma che il fato preclude con così tanta invidia,
è la congiunzione della mente
e l’opposizione delle stelle.

(Andrew Marvell)

lunedì 11 settembre 2017

.

Luna, avorio, strumenti musicali, rose,
lampade e il segno di Durer,
le nove cifre e lo sfuggente zero,
devo fingere che queste cose esistano.
Devo fingere che nel passato c’erano...
Persepoli e Roma e che una sabbia
sottile ha misurato il destino di una torre
che le età del ferro hanno disfatto.
Devo pensare alle armi e alle fiamme
delle epopee e ai mari plumbei
che rosicchiano i pilastri della terra.
Devo fingere che ci sono gli altri. E’ falso.
Ci sei solo tu. Tu, mia ventura
e sventura, inesauribile e pura.


...

È l’amore. Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura delle sue carceri, come in un incubo atroce.
La bella maschera è cambiata, ma come sempre è l’unica.
A cosa mi serviranno i miei talismani:
l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione,
le gallerie della Biblioteca, le cose comuni,
le abitudini, la notte intemporale, il sapore del sonno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
È, lo so, l’amore: l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce,
l’attesa e la memoria, l’orrore di vivere nel tempo successivo.
È l’amore con le sue mitologie, con le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo di strada dove non oso passare.
Il nome di una donna mi denuncia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo.

...

C’è tanta solitudine in quell’oro.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo. I lunghi secoli
della veglia umana l’hanno colmata
di antico pianto. Guardala. È il tuo specchio.

...

Con cosa potrei trattenerti?
Ti offro strette vie, tramonti disperati, la luna dei sobborghi deturpati.
Ti offro l’amarezza di un uomo che ha fissato a lungo la luna solitaria.
Ti offro i miei ancestri, i miei morti, quei fantasmi che i vivi onorano nel bronzo: il padre di mio padre ucciso nella frontiera di Buenos Aires, due pallottole nei polmoni, barbuto e morto, avvolto dai suoi nella pelle di vacca; il nonno di mia madre – ventiquattro anni appena – a capo di una brig...ata di trecento uomini nel Perù, nient’altro che fantasmi, ora, su cavalli sfumati.
Ti offro qualche frase riuscita tra i miei libri, qualche cenno di virilità o di umore nella mia vita.
Ti offro la lealtà di un uomo che non è mai stato leale.
Ti offro il centro di me stesso, che in qualche modo sono riuscito a salvaguardare – il cuore meridiano che non usa parole, non traffica coi sogni, ancora inattaccato dal tempo, dalla tristezza, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una rosa gialla osservata al tramonto, prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni su te stesso, teorie su te stesso, autentiche e sorprendenti notizie su te stesso.
Posso offrirti la mia solitudine, la mia penombra, la fame del mio cuore; sto cercando di comperarti con l’incertezza, il pericolo, la sconfitta.

(Borges)
 

giovedì 7 settembre 2017

Cicatrice

Cicatrice, Sara Mesa

"Sentire la mancanza di un istante è sentire la mancanza di ciò che eravamo un tempo"

Sonia ha ventidue anni, un lavoro noioso, monotono, assurdo, alienante "la vita fuori, che mai, mai entra lì dentro", una famiglia gabbia che le sta stretta, per sopravvivere al tedio delle ore in ufficio si iscrive a un forum letterario, "distrazione e gioco, un intrattenimento stimolante che le permette di prendere fiato e ampliare le dimensioni dell'ufficio", dove i membri discutono di libri e non solo, partecipa con curiosità a una loro cena, un'occasione insolita e divertente, che si rivelerà un'esperienza deludente, tempo perso.
E poi improvvisamente, quando sta per cancellarsi dal forum, le arriva un inaspettato messaggio da qualcuno che non conosce e non era presente alla cena, ma che ha sentito parlare di lei.
Un personaggio strambo, misterioso, un ladro per vocazione e un amante appassionato di libri, un autodidatta, solitario e individualista, di cui non conosceremo mai il nome reale ma soltanto i pensieri, le riflessioni, le manie, la logica delirante, la paranoia, l'incondizionata devozione, il perfezionismo implacabile, le piccole grandi ossessioni, i costosi e seducenti regali che inizialmente cullano l'ego, accarezzano la vanità e poi soffocano.
In cambio Knut Hamsun, questo il suo pseudonimo come lo scrittore norvegese collaborazionista, chiede soltanto presenza, dialogo, attenzione costante.
A poco a poco affiorano incomunicabilità, incomprensione, finzione, tutto diventa eccessivo e opprimente. Entrambi sono vittima e carnefice, prigioniero e carceriere dell'altro. Il computer diventa lo specchio deformante che riflette e amplifica fragilità, ansie, paure, fantasie.
Questo libro, un diario a due voci, descrive il rapporto altalenante, morboso, fuori da ogni logica tra Sonia e Knut, navigatori solitari in un oceano immenso di pixel, una rete gigantesca nella quale ci dibattiamo tutti per noia, curiosità, solitudine. Lo strambo, onnipresente, tenace, devoto, perverso Knut non è poi così lontano.
Uno stile scorrevole, diretto, cristallino, un'analisi lucida e graffiante di quando l'universo virtuale si intreccia indissolubilmente con quello reale, là dove i confini sono labili e indefiniti  l'immaginazione sfrenata cresce a dismisura e tutto diventa grottesco e imperfetto gioco delirante, ossessione pericolosa, dipendenza, una brutta cicatrice incisa sulla pelle e nell'anima.
Cicatrice, l'amore (?) ossessione tradotto ai tempi di internet.

"T'immagini Joyce o Kafka in un circolo dei lettori?"

" Sonia mette tutto in dubbio. Ci sono persone che accedono quotidianamente, a qualsiasi ora, e persone che non si vedono quasi mai; ce ne sono di loquaci e parche, prevedibili ed enigmatiche, aggressive e sottomesse, classiche e snob. Ci sono anche molte persone sole che cercano di sedurre, strane personalità che s'ingelosiscono, si offuscano, fanno pressioni e lottano per avere la leadership sul gruppo (...) Lei intuisce che i più enigmatici, gli anormali, gli eccentrici ed emarginati, quelli che in realtà risvegliano la sua curiosità, non si vedranno da quelle parti."

"Aveva una testa straordinaria. Non poteva fare altro che comportarsi così. Era fuori dal normale. E' quello che penso. Davvero quello che penso. Si comportava così perché aveva bisogno di uscire dalla volgarità. Pensa: nascere con quel cervello e non avere nient'altro che quello. Il tuo cervello e tutto intorno è volgarità. Non ti resta altro che rifiutare tutto, minarlo da dentro, distruggerlo. Rifiutava persino il suo nome, un nome normale, come quello che hanno, non so... milioni di persone? Si faceva chiamare in un altro modo, te l'ho detto?"

"No, non dovrebbe spaventarsi. Ogni parola ha il suo rovescio. Guarda dietro, le dice, e mi troverai lì ad aspettarti, mi troverai lì ad aspettarti, tremante e insicuro."

"Continuare. Nonostante tutto, continuare. Una spirale senza fine. Buchi, necessità, mancanze. Parole, etichette, scatole, prezzi. Salgono passeggeri. Tutto sempre in eccesso. L'Espansione. Filtrazione. Apparire in ogni spiraglio.
In quello che legge. In quello che scrive. In quello che indossa. In quello che pensa. La sua pretesa. E la finzione di sottomissione. Di accettazione. Di amore. Finge di leggere, finge di scrivere, finge di indossare, finge di pensare. Fingere Verdù. Fingere di volerlo vedere. Fingere che sia l'anima gemella. Fingersi madre. Fingersi figlia. Fingersi sorella. Fingere stupore. Fingere rabbia.
Una pioggerellina leggera sui finestrini.
Delle scarpe conservate in un armadio mezzo vuoto. Che non vuole mettersi. Che non può regalare. Che non può vendere. Che non vuole buttare. Che non vuole restituire.
Le gocce scivolano sul vetro (...)
Sai quello che diceva Proust a proposito della menzogna?
Glielo ha detto quella stessa mattina. Ed è bello. Ed è vero.
La menzogna è essenziale perché la verità è incomunicabile.
Ora piove con più intensità. Lei si farebbe forse uno o due bicchieri.
Non può, si dice.
Ma sì che può. Certo che può."

" In questo momento non penso che riuscirò a dimenticarti, ma l'oblio lavora da solo, come il passare del tempo. Sarà invece più difficile che tu ti dimentichi di me. Te ne accorgerai in futuro.
Se la morte non mi concede il desiderio di sparire nel modo più impersonale possibile, mi piacerebbe che il mio epitaffio fosse : "Voleva solo scappare."
Solo questo."

lunedì 28 agosto 2017

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L’hai amata, vero?
Lui sospirò.
“Come posso risponderti? Lei era matta” sorrise, perso in qualche ricordo.
Si passò una mano fra i capelli: “Dio, se era tutta matta. Ogni giorno mi svegliavo accanto a una donna diversa, una volta intraprendente, l’altra impacciata. Una volta esuberante, l’altra timida. Era mille donne, lei. Ma il profumo era sempre lo stesso, inconfondibile. Era quella la mia unica certezza. Era il profumo dei viaggi che doveva ancora fare, mi diceva.
Le chiedevo cosa volesse dire ma non me lo spiegava mai. Mi sorrideva e sapeva di fregarmi, con quel sorriso. Perché ti giuro che quando sorrideva io non capivo più nulla, amico. Non capivo più nulla. Non sapevo più parlare né pensare. Niente, zero. C’era all’improvviso solo lei.
Era matta” rise “tutta matta. A volte si perdeva a guardare un mappamondo o un quadro, ci volevano ore perché tornasse in sé. E quella sua mania di mettersi sempre i pantaloni… Non l’ho mai vista con una gonna, sai?
A volte di notte piangeva. Dicono che in quel caso le donne vogliono solo un abbraccio. Lei no. Lei si innervosiva a starmi vicino in quei momenti. Si vestiva e stava in giardino tutta la notte, e guai a raggiungerla. Mi ordinava di lasciarla sola. La sentivo piangere, ancora oggi sono convinto che parlasse con qualcuno, in quelle notti terribili.
C’era qualcosa in lei, amico mio. Non so che cosa, ma non era una ragazza normale. C’era qualcosa in lei, o c’erano altre ragazze in lei, ancora oggi non te lo so dire.
Non so dove si trova adesso ma scommetto che è ancora alla ricerca di sogni.
Era matta tutta matta
Ma l’ho amata da impazzire.


(C. Bukowski)

 
 
 


Sylvia Plath

Lettera d’amore

Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov’ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po’ col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l’azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell’inverno-
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l’aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt’intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d’uccello e gli steli delle piante
Non m’ingannai. Ti riconobbi all’istante.
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d’anima
pura come una lastra di ghiaccio. E’ un dono.
...

Mad Girl’s Love Song

Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore;
Schiudo le palpebre e tutto rinasce.
(Sono convinta di averti inventato.)
Le stelle escon danzando in blu e rosso,...
Oscurità arbitraria entra al galoppo:
Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore.
Sognai che mi stregavi nel mio letto
M’incantavi e baciavi alla follia.
(Sono convinta di averti inventato.)
Giù Dio dal cielo, spenti i fuochi inferni,
Fuori Serafini e schiere di Satana:
Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore.
Speravo che tornassi, l’hai promesso,
Ma ora invecchio e dimentico il tuo nome.
(Sono convinta di averti inventato.)
Dovevo amare un uccello del tuono:
Quelli tornan ruggendo a primavera.
Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore.
(Sono convinta di averti inventato.)
....


Papaveri in ottobre

Nemmeno le nubi assolate possono fare stamane
Gonne così. Né la donna in ambulanza,
Il cui rosso cuore sboccia prodigioso dal mantello
Dono, dono d'amore
Del tutto non sollecitato
Da un cielo
Che in un pallore di fiamma accende i suoi
Ossidi di carbonio, da occhi
Sbigottiti e sbarrati sotto cappelli a bombetta.
O Dio, chi sono mai
Io da far spalancare in un grido queste tarde
bocche
In una foresta di gelo, in un'alba di fiordalisi.

Chi era Sylvia?

"E' straziante, riandando al passato, capire che il segreto dell'ultima irresistibile fiammata di Sylvia Plath è nascosto nella discrezione, nel garbo estremo della sua penosa timidezza. Non è mai stata una mia allieva, ma per due mesi circa, sette anni fa, seguì il mio corso di poesia alla Boston University. La rivedo, opaca contro il cielo luminoso di una finestra priva di qualsiasi panorama.
Era alta, snella, con il busto lungo e fragile, i gomiti aguzzi, era nervosa, imbarazzata, gentile — una presenza tesa e brillante che la timidezza paralizzava. La sua umiltà, la sua disponibilità ad accettare tutto quanto veniva generalmente ammirato parevano darle a volte un'esasperante docilità che nascondeva la sua pazienza e la sua audacia fuori moda. Ci mostrò allora poesie che in seguito, più o meno cambiate, vennero pubblicate nel suo primo libro, The Colossus. Erano poesie dai toni bassi, perfette nella struttura, facili all'allitterazione e a un'angoscia dolente ed intimista.
  Non prestai allora, né saprei dire perché un'attenzione molto profonda a nessuna di quelle poesie. Avvertii la sua raffinatezza, la sua confusione, e non seppi immaginare la sua stupefacente, trionfante completezza futura."

(Robert Lowell)

martedì 22 agosto 2017

Vieni via

Forse sei pazza
sicuramente bella
hai questi occhi
che non finirei mai
di guardarci dentro

dici cose strane
non sempre le capisco
mi piacciono la tua voce
e i tuoi pensieri
hai capelli tutti neri
e questi occhi
che non finirei mai
di guardarci dentro
non so se baci
lascia stare tutto
vieni via
cercherò di portarti
in posti belli

(Guido Catalano)

Parole semplici, di quelle belle e perfette così, tutto il resto è rumore superfluo, vuoto inutile.

 

lunedì 24 luglio 2017

Mandami tanta vita


Mandami tanta vita, Paolo Di Paolo

"Una tua lettera è la vita, sai?
Quindi mandami tanta vita"

Questo romanzo si è rivelato una piacevole sorpresa, un libro che conquista con la sua scrittura equilibrata, scorrevole, delicata e profonda.
I due giovani protagonisti si inseguono tra le pagine, sfiorandosi soltanto nella parte finale.
Da una parte Piero Gobetti luminosa figura storica, una mente brillante che si spegne precocemente nel forzato esilio parigino, lontano dagli affetti più cari, in un periodo storico in cui la libertà di pensiero viene calpestata dalla violenza del regime fascista, ma non annientata.
Dall'altro Moraldo studente universitario in crisi esistenziale, alla ricerca di ali per staccarsi da terra e spiccare il volo, di un amore che possa salvarlo dal grigiore monotono della propria esistenza, un amore che ha gli occhi inquieti di Carlotta, occhi che fanno paura e ideali in cui credere, che possano dare senso e valore all'esistenza, incarnati da Piero.
Un libro che si colloca a metà strada tra storia e finzione romanzesca.
La loro spietata giovinezza, i sogni, gli ideali, il coraggio, i momenti di debolezza, i fallimenti quotidiani piccoli e grandi, il tempo che corre via implacabile sono i veri protagonisti di questo libro.
Limpido, cristallino, profondo e struggente, semplice e intenso, una delle più belle letture di questa estate.

"E' stato bello quando lei gli ha detto, qualche ora prima Tu hai troppe parole, hai parole per tutto.
Gli è sembrato un complimento. Forse non lo era.
Più passano i minuti, le ore, più gli sembra sciocco anche solo averlo pensato, potere stare con una ragazza così. Così come? Incostante, mai davvero prossima. Pare appartenere solo a sé stessa, come gli alberi. Dev'essere una che fa strani sogni, e poi se li porta appresso tutto il giorno. Vos mots réchauffent ma vie, gli viene di pensarlo in francese, le tue parole mi scaldano la vita, e ne dice così poche, ma il fatto è proprio questo da quando ti sto dietro è come se mi fossi riscaldato dentro. Se lei non se ne accorge non ha importanza, non ha mai saputo che ho sentito freddo per mesi, per anni, o forse sì, perché restano i segni, comunque al momento, al momento Moraldo baratterebbe tutto pur di continuare ad averla intorno, a vederla muoversi, parlare, restare in silenzio, con queste sopracciglia, con queste ciglia, con questo naso, con queste labbra, questo collo, e giù fino alle caviglie, alle unghie dei piedi.
Lo sai che i tuoi occhi a volte mi fanno un po' paura?, le dice."

(...) e sentire di non aver fatto abbastanza per evitare ciò che comunque non è possibile evitare, avere per un minuto, all'improvviso, la sensazione che non sia accaduto niente, che si può aspettare anche chi non può tornare, che si possa fare soltanto questo : aspettare, nelle stanze rimaste vuote, intoccabili, congelate, fino a che piomba in un'ora del pomeriggio tutto insieme il peso dell'assenza- devastante, lugubre, senza speranza- o dentro notti infinite, tormentate e nere come questo inchiostro, fino a che con ogni atomo di noi, a una profondità che ci toglie il respiro, sentiamo l'irrimediabile, e che tutto questo è reale, reale come la vita che continua, mentre di un uomo si è costretti a dire era, è scomparso e una parte di noi con lui.


venerdì 14 luglio 2017

Il grande mare dei Sargassi

Il grande mare dei Sargassi, Jean Rhys

Siamo in Giamaica nella prima metà dell'800, subito dopo l'abolizione dello schiavismo, con i suoi strascichi rabbiosi di odio e sospetto.
La natura esplode in tramonti di fuoco, paesaggi mozzafiato, fiori dal profumo inebriante, rigogliosa, lussureggiante, bella e crudele. Cielo smeraldo, fiumi azzurri, un paesaggio edenico dove si mescolano passione, desiderio, odio, follia, morte, magia, stregoneria, superstizione, passioni accese che divorano. Splendore e oscurità.
Questo libro viene considerato il prequel di Jane Eyre, ma è molto di più.
Racconta la storia di Antoinette Mason, Bertha, la prima moglie del signor Rochester, una strana e affascinante creatura, una farfalla a cui hanno tagliato le ali.
Viene narrato il tragico destino di Antoinette dall'infanzia vissuta con la madre fragile e inquieta e il fratello, all'adolescenza segnata da abbandono e infelicità, fino al matrimonio con un gentiluomo inglese, venuto da lontano che ama il suo denaro, non lei. Un libro ricco di luci e ombre, una lenta discesa nel buio della follia di una ragazza giovane, bellissima, oscura, che fugge dalla gente, trovando in quel paesaggio da sogno rifugio e conforto.
Follia che nasce dall'incomprensione, dal rifiuto, dalla violenza, dal dolore.
Antoinette e sua madre così simili e infelici, creature smarrite e perdute, soffocate dalla mancanza di amore e da un universo ostile.
Durante la narrazione si alternano il punto di vista della protagonista e quello del marito, che non riuscirà a entrare in sintonia con quel mondo così lontano dalla fredda Inghilterra, schiavo di una passione oscura, incapace di amare quella donna che desidera, ma che non comprende, una donna che gli sfugge, da distruggere con odio implacabile.
Vita morte rabbia vendetta gelosia pazzia nascoste nell'ombra, fino al momento in cui esplodono.
Il rosso del cielo al tramonto, il rosso vivo del fuoco, il rosso di un vestito seducente, il rosso della fiamma di una candela, il rosso di una passione che brucia, fa male, divora, distrugge il mondo di cartapesta, libera e quel segreto perduto, sepolto in un mondo magico e lontano, impenetrabile, che nessuno conosce o forse chi lo conosce non può più svelarlo, costretto al silenzio per sempre, smarrito nel labirinto buio della follia.

"Guardando senza pensare a nulla i fiori rossi e gialli sotto il sole era come se si aprisse una porta e io fossi altrove, qualcos'altro. Non più io.
Sapevo l'ora del giorno in cui, sebbene sia caldo e sereno e senza nuvole, il cielo può sembrare molto cupo".

"I nomi contano, come quando lui non voleva chiamarmi Antoinette, e io vedevo Antoinette che fluttuava via dalla finestra con tutti i suoi profumi, i suoi bei vestiti e il suo specchio.
Qui non c'è specchio e io non so come sono adesso. Ricordo che mi guardavo spazzolandomi i capelli, e ricordo i miei occhi che mi fissavano dallo specchio. La ragazza che vedevo ero io, eppure non ero proprio io. Molto tempo fa, quand'ancora ero bambina, e tanto sola, cercai di baciarla. Ma lo specchio ci separava, duro, freddo e appannato dal mio respiro. Adesso hanno portato via tutto. Che cosa faccio in questo posto, e chi sono?"

"Allora apro la porta ed entro nel loro mondo. Come ho sempre saputo, è un mondo di cartapesta. L'ho già visto non so più dove, questo mondo di cartapesta dove tutto è color marrone o rosso cupo o giallo senza splendore. Mentre cammino lungo i corridoi, vorrei poter vedere quello che c'è dietro la cartapesta. Loro mi dicono che sono in Inghilterra, ma io non ci credo. Abbiamo perduto la strada per l'Inghilterra. Quando? Dove? Non me ne ricordo, ma l'abbiamo perduta. E' stato quella sera nella cabina (...) Io scaraventai i piatti e i bicchieri contro l'oblò. Speravo che si frantumasse e che il mare irrompesse nella cabina (...) E poi sprofondai nel sonno. Quando mi svegliai era un mare diverso. Più freddo. Fu quella notte, credo, che cambiammo rotta e perdemmo la strada per l'Inghilterra. Questa casa di cartapesta dove passeggio di notte non è l'Inghilterra."


mercoledì 28 giugno 2017

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Devo essere una sirena. Non ho paura della profondità e ho una gran paura della vita superficiale.

(Anaïs Nin)


martedì 6 giugno 2017

Notti in bianco, baci a colazione

Notti in bianco, baci a colazione (Matteo Bussola)

Un libro ironico, divertente, tenerissimo, che nasce dai racconti, dai pensieri pubblicati su fb, una sorta di diario di bordo del lavoro più difficile del mondo, quello che nessuno ti insegna, quello del papà, un pianeta tutto da esplorare, che diventa uno spartiacque nella vita dello scrittore tra il prima e il poi.
Un libro che racconta la quotidianità semplice e incasinata di un uomo, di un compagno, di un amico, di un papà di tre bambine piccole, che vive in una casa con un giardino enorme alle soglie di un bosco e tanti cani, che molla il posto fisso da architetto e si mette a disegnare fumetti.
Un libro che con semplicità e nessuna retorica focalizza l'obiettivo su quello che conta davvero e prova a raccontarci l'amore, quello vero, pulito, bellissimo.
Un libro tenero e commovente, limpido, terso come un cielo d'estate, leggero come un palloncino che vola sempre più in alto tra le nuvole.
Un libro che dimostra che non servono paroloni aulici e incomprensibili per esprimere l'essenziale, un libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto quelli che non hanno mai tempo, soffocati dal lavoro, distratti da mille impegni.
Le cose davvero importanti sono altre, questo libro le porta alla luce con disarmante e meravigliosa semplicità.
La storia di un papà super fantastico che tutti vorremmo avere.
E poi quel titolo è semplicemente geniale.
Un libro emozionante e vero, da leggere tutto d'un fiato.

" Ma tu, ha detto, quando hai incontrato la mamma, come hai fatto a sapere che era la mamma?
Non ho capito.
Come hai fatto a capire che volevi amarla?
Ah quello, ho detto. L'ho capito dopo circa dieci minuti.
E da cosa?
Quando ci siamo incontrati la prima volta, si è sollevata i capelli dietro la nuca, sopra la testa, e si è fatta uno chignon senza neanche un elastico, solo annodandoli.
E allora?
E allora lì ho capito che lei aveva disperatamente bisogno di un elastico. E io dei suoi capelli."

"Vivo dentro una scatola.
La scatola ha un coperchio. Il coperchio ha piccoli buchi. Dai buchi entrano l'aria e poca luce. L'aria e la luce mi fanno venire voglia di fare cose. Certi giorni, la voglia di fare cose mi assale come un'onda. Allora tolgo il coperchio alla scatola, che si trasforma in barca. La scatola naviga spinta dalle onde. Non sono onde di marea, somigliano alla corrente di un fiume. Cominciano con la formazione di rade increspature, che diventano presto piccoli gorghi. Quello che riesce a risucchiarmi per primo, vince. Non è quasi mai il gorgo che mi aspettavo all'inizio. Dentro il gorgo, rimetto il coperchio alla scatola. Dai buchi non entrano più l'aria e la luce, s'infiltra solo acqua. La scatola non si riempie mai del tutto. Quando riemergo dal gorgo, tolgo il coperchio alla scatola. Il gorgo mi ha bagnato, ma non ucciso.
La scatola mi serve per respirare. I buchi sul coperchio mi servono per alimentare il desiderio. Le onde mi servono per spingermi lontano. I gorghi mi servono per scendere in profondità nel fiume e comprendere l'importanza della scatola. La scatola è l'unica maniera che ho di fare le cose.
Nel silenzio della scatola sogno la bellezza del fuori. Nella bellezza del fuori rimpiango il silenzio della scatola.
La maggior parte delle persone che ho incontrato ha cercato di tirarmi fuori dalla scatola. Poche persone sono venute dentro la scatola con me. Quelle poche, non hanno resistito a lungo.
La persona con cui vivo oggi è l'unica che abbia mai portato la sua scatola dentro la mia.
Per poi farmi capire ch'è la stessa".