giovedì 11 luglio 2019

Una rosa per Emily

Una rosa per Emily, William Faulkner
"Il mondo era questo, sotto di lei e sopra la sua testa, eterno e vuoto e sconfinato."
Un libricino di 99 pagine, tre racconti brevi e asciutti, limpidi ed essenziali, dove nulla è fuori posto, la parola perfettamente cesellata raggiunge vette altissime di pura, incontaminata bellezza.
La rosa del titolo sembra evocare qualcosa di etereo, delicato e fragile ma le donne, le protagoniste di questi racconti, sono forti, virili, indurite da una vita difficile, segnate dalla sofferenza e dalla solitudine, donne del Sud, deserti riarsi e desolati, colpite dalle intemperie ma mai vinte, piegate o sconfitte, erette, salde come rocce nella loro folle e nera disperazione. Accomunate tutte da una forte autorità genitoriale che ha condizionato pesantemente la loro vita e da un destino ingrato.
Gli uomini sono figure assenti, irrilevanti, costantemente in fuga.
Miss Zilphia Gant la protagonista del primo racconto omonimo, cresciuta da una madre rigida e implacabile, che non esita a imbracciare un fucile o un revolver e a fare a pugni se necessario, osserva il mondo da una finestra con le sbarre affacciata sul nulla.
Una madre che vuole proteggerla dagli uomini e da quell'amore pericoloso e infido che puzza di trementina, rinchiudendola in una prigione domestica asfittica e tetra.
Zilphia cresce pallida, anemica, magra come un chiodo, malinconica, solitaria, terrorizzata, cercando di aprirsi alla vita e a quel sogno d'amore ma è tardi ormai.
Ripete gli errori materni, le medesime ossessioni, portandosi appresso il suo soffocante destino.
C'è poi Emily, la protagonista del secondo racconto, capelli grigio ferro, immota e decadente come una vecchia casa polverosa che resiste al cambiamento e agli assalti del tempo, un padre severo, un sogno d'amore che sa di rosa sbiadito e polvere stantia, Emily e il suo macabro segreto.
E infine Juliet detta Jule, la protagonista del racconto più bello della raccolta intitolato "Adolescenza", questa ragazzina esile come un giunco, dalla pelle scura, i capelli neri e gli occhi accesi, ribelle e indomita, che vive libera nuotando nel lago, guardando il cielo, correndo a perdifiato nel bosco.
Jule e Lee, il suo amico del cuore, avvolti in una coperta calda sotto un cielo stellato a dividere i turbamenti di un'età inquieta, un'estate che non potrà durare per sempre.
Jule tranquilla e malinconica "calma e un po' infelice", che in un lampo avverte l'estrema vanità del tutto, come ogni sforzo per conquistare briciole di felicità sia vanificato dal cieco caso, che sente addosso tutto il peso di quel mondo vasto "eterno, vuoto e sconfinato".
Immobile sotto quel cielo dove gli alberi nuotano in un lago di stelle, le ombre avanzano rapide e l'acqua si fa scura.
Dialoghi fulminei e concisi, descrizioni intense, una scrittura perfetta e struggente, dove si intrecciano follia, nostalgia, cupa desolazione, un piccolo gioiello che diventa poesia.

***
"Per tutto il tempo che ti guardavo continuavo a pensare che portavi gli occhiali, perché ho sempre detto che non volevo una donna con gli occhiali. Poi un giorno mi hai guardato, e allora tutt'a un tratto ti ho visto senza occhiali. Era come se gli occhiali erano spariti, e io sapevo che appena ti vedevo una volta senza, poi non mi importava più niente se li portavi o no..."
"Di tanto in tanto la vedevamo a una delle finestre del pianterreno, aveva evidentemente chiuso il piano superiore della casa, simile al busto scolpito di un idolo in una nicchia, che ci guardava oppure non ci guardava, era impossibile dirlo.
Così passò da una generazione all'altra, amabile, ineluttabile, impervia, tranquilla e perversa."
"Così rimase seduta nell'oscurità, osservando la fanciullezza che l'abbandonava. Ricordava con dolorosa chiarezza la primavera in cui, per la prima volta, lei e Lee avevano nuotato e pescato e scorrazzato insieme, le crude giornate di tempesta che schiarivano negli strati di nuvole lievi sopra la terra incolta e scavata dalla pioggia; quasi riusciva a sentire le grida degli uomini che aravano il terreno fangoso, e i corvi arruffati che calavano obliqui sottovento come frammenti di carta bruciata... cambiamento e morte e separazione."



martedì 9 luglio 2019

Si sta facendo sempre più tardi

Si sta facendo sempre più tardi, Antonio Tabucchi
"E ti direi anche che ti aspetto, anche se non si aspetta chi non può tornare..."
L'immagine di copertina di questo libro è una bella fotografia di Eddie Kuligowski, un abbraccio di quelli che tolgono il respiro. Lui e lei di schiena, giacca sgualcita, cappello da sole, eppure qui non mancano le zone d'ombra.
Un romanzo epistolare, diciassette lettere scritte da personaggi maschili a donne misteriose e lontane, smarrite nei labirinti oscuri e nebulosi del tempo e della memoria tra malinconia e nostalgia.
E infine un'ultima lettera, risposta remota e inesorabile.
Un puzzle dove i pezzi non si incastrano tra loro, foto sfocate dai contorni sbiaditi, un sentiero che si interrompe bruscamente o si perde nel nulla, c'è sempre qualcosa che sfugge e sfuma nell'indefinito.
Un libro che inizialmente lascia perplessi.
Ho faticato non poco nel decifrare le prime lettere, mi sfuggiva il loro significato più profondo.
Più leggevo più mi sembravano impenetrabili, un mero esercizio di virtuosismo stilistico, una scrittura visionaria, surreale, onirica, numerosi riferimenti letterari, sprazzi di pura poesia a comporre un insieme indecifrabile ed enigmatico.
Come perdersi in un labirinto, girando a vuoto.
Da un certo momento in poi le nebbie si sono diradate, la narrazione è diventata fluida e chiara e ho trovato la giusta chiave di lettura. In particolare in una lettera c'è un passaggio che mi è sembrato una sorta di salvagente lanciato dallo scrittore al povero lettore smarrito in balia delle onde. Questo qui: "Sono storie senza logica, prima di tutto. Detto fra noi, mi piacerebbe proprio trovare quello che ha inventato la logica per cantargliene quattro. E senza rime, soprattutto senza rime, dove una cosa non torna con un'altra cosa, un pezzo di storia con un altro pezzo di storia, e tutto risulta così, come è la vita, che non obbedisce a rime, e ciascuna vita ha il suo accento, che è diverso dall'accento altrui. Eventualmente qualche rima interna, ma quelle, valle a capire."
Non c'è logica razionale in quello che si legge, ciascuna lettera segue un itinerario tutto suo, il passato, il presente e il futuro si confondono e danzano vorticosamente insieme, le lancette dell'orologio impazzite, il tempo che si srotola come un nastro, avanti e indietro, sfiorando un presente inquieto.
In alcune lettere lo scrittore si diverte a ingarbugliare le cose, in altre raggiunge vette di puro lirismo, gioca con un'ironia cinica e beffarda, trasmette il peso logorante dell'assenza, del vuoto, del non senso del tutto, in altre ancora ci racconta la bellezza della musica o di quell'amore perso chissà dove, unico rimedio all'insensatezza del mondo.
Un buco nella rete alla ricerca di un'improbabile via di fuga, un biglietto in balia della corrente, un fiume senza sponde né approdi, giochi proibiti, nuvole che nascondono il volto della luna, una lettera all'emoglobina, filo spinato e cieli di cobalto, temporali estivi, un'arpa con una corda sola, "Ich sterbe", un principe stanco del suo amore lunatico, Ofelia in minigonna annegata nel laghetto artificiale, ricordi d'amor perduto, il brutto addormentato nel bosco, una vecchia, struggente canzone napoletana, l'isola, una brezza che soffia dal mare e scompiglia i capelli, finestre affacciate su orizzonti sconfinati e paesaggi interiori immensi. Una nenia lenta, malinconica, lontana. Un messaggio in bottiglia.
Leggere questo libro è percorrere un cammino tortuoso e impervio avvolto dalla nebbia, ci sarà un panorama mozzafiato alla fine o un dirupo buio dove precipiterà il lettore sfinito?
Paesaggio che toglie il respiro e pazienza se per raggiungerlo hai dovuto faticare un po' tra sassi e rovi.
In questo libro enigmatico, misterioso, complesso, illogico, irrazionale, malinconico, dove il tempo segue un percorso tutto suo, quello della memoria e del ricordo, scandito dal pulsare del sangue e dai battiti del cuore, dove per orientarsi bisogna guardare il cielo stellato e quell'universo senza confini, lo scrittore prova a parlare d'amore, quell'amore che sfugge a ogni definizione logica e razionale, procedendo per lampi e frammenti, sentieri tortuosi e incerti, sempre più in fretta, prima che sia tardi.
L'amore è un labirinto oscuro e indecifrabile dove perdersi, attimi di luce e poi buio denso, mentre il tempo corre via veloce.
"Come vanno le cose, e cosa le guida: un niente".
E poi...
Tempo scaduto, destino ineluttabile, filo spezzato, game over.

***
"Perciò ti mando un saluto impossibile, come chi fa vani cenni da una sponda all'altra del fiume sapendo che non ci sono sponde, davvero, credimi, non ci sono sponde, c'è solo il fiume, prima non lo sapevamo, ma c'è solo il fiume, vorrei gridartelo: attenta, guarda che c'è solo il fiume!, ora lo so, che idioti, ci preoccupavamo tanto delle sponde e invece c'era solo il fiume. Ma è troppo tardi, a che serve dirtelo?"
"Le finestre a volte non hanno imposte, si aprono su orizzonti ben più larghi di quelli reali."
"A cosa serve un'arpa con una corda sola quando tutte le altre sono spezzate?"
"Canta l'Africa. Africa, ah, Africa che non ho mai conosciuto, Africa madre, Africa ventre, Africa che la mia Europa ha stuprato per secoli, Africa immensa, povera, malata eppure ancora allegra nonostante il cancro che ti rode, Africa che dici nha desventura, nha crecheu come si dice amore nella tua lingua che abbiamo imbastardito e che ora canta una popolana di Oporto, crecheu crecheu crecheu, nha desventura, Africa che maledetti banditi continuano a stuprare, Africa dove la luna è enorme e rossastra come si legge nei libri esotici, nell'assenza e nella distanza che mi separa da te, Africa dove molti continuano a scrivere per servitù nella lingua in cui io scrivo per libertà, puristi più dei puristi, come se le bidonville di Luanda, i terreni minati degli assassini fossero la loro Real Academia, il loro Port Royal, oh Africa del nomade Kapuscinski, del magnifico Luandino, oh Africa che ora passi sotto le finestre di questa pensioncina della Ribeira di Oporto attraverso l'imitazione incerta di una venditrice di arance, Africa, per favore riportami a casa mia; la mia casa che desidero, se ho ancora una casa, ecco, ora è giorno pieno, il sole d'inverno getta un raggio sulla coperta raggrinzita in fondo al letto, è ora di alzarsi, è ora di uscire, è ora di pensare chi non sei, così ti dici in silenzio, è davvero l'ora di pensare chi non sei."
"Fu più forte di me, mi avvicinai in punta di piedi, ti sfiorai i capelli, i capelli color del miele e ti dissi: donna sognatrice. E allora tu ti girasti e mi baciasti sulla bocca. E poi con l'indice sulle labbra che mi avevano baciato sussurrasti: sssst. Non dire una parola, John, ti prego, non è il momento, non dire niente. E io non dissi niente."
***
Colonna sonora, ovviamente questa:
"Te voglio, te penso, te chiammo
te veco, te sento, te sonno..."
(Passione, Roberto Murolo)




Notturno indiano

Notturno indiano, Antonio Tabucchi
"Questo libro, oltre che un'insonnia, è un viaggio. 
L'insonnia appartiene a chi ha scritto il libro, il viaggio a chi lo fece."
Un romanzo breve, il resoconto di un viaggio al tempo stesso reale e irreale, onirico e misterioso, interiore ed esteriore. 
Un uomo racconta in prima persona, una sorta di diario di bordo, il suo viaggio in India alla ricerca dell'amico scomparso da tempo, un certo Xavier.
Una guida acquistata a Londra, il suo unico kit di sopravvivenza per orientarsi in questo strano viaggio tra Bombay, Madras e Goa, attraverso strade secondarie, autobus affollati, alla scoperta di un'India povera e misera, fatta di odori, suoni, colori, incontri casuali con personaggi impenetrabili e misteriosi. 
Il protagonista sulle tracce dell'amico scomparso si immerge nel suo personale viaggio notturno, tra bellezza e squallore, poche luci e molte ombre. 
Dai quartieri poveri e malfamati popolati da prostitute, baracche dimesse, stuoie, tende di poveri stracci a un ospedale caotico e fatiscente dove oppressi dalla calura e da un insopportabile odore, giacciono poveri corpi ammassati alla luce fioca delle lampadine.
Da alberghi confortevoli e alla moda, tra penombra e silenzio, quando strani sogni vengono a visitarci a incontri fortuiti con enigmatici personaggi. 
Un jainista stanco, una donna misteriosa, il rappresentante di una società teosofica che ama Pessoa e la poesia. 
Un autobus fermo nella notte indiana, uno strano indovino con cui discorrere di apparenza del mondo e anima individuale "maya e atma", proprio lì in mezzo al nulla, una biblioteca ricca di libri antichi, un sogno oscuro, il fantasma del viceré delle Indie, il postino che ha abbandonato tutto per inseguire il mare e il suo sogno di libertà.
E infine l'approdo, una terrazza sul mare, luci soffuse, palme, una donna che fotografa l'abiezione e l'enigma che si scioglie. 
Un viaggio alla ricerca di se stessi, perdersi per ritrovarsi attraverso i luoghi percorsi, le miserie umane, i propri fantasmi, quel vecchio amico che appartiene a un passato ormai lontano. 
Un viaggio interiore inseguendo un'ombra, onirico, surreale, intenso, un libro che si legge rapidamente come un fiume che scorre placido e sinuoso, portandoci lontano.
***
"Mi parlò della loro storia, delle strade di Bombay, di gite festive a Bassein e a Elephanta. E poi di pomeriggi al Victoria Garden, stesi sui prati, dei bagni a Chowpatty Beach, sotto le prime piogge del monsone. Seppi come aveva imparato a ridere Xavier, e di cosa rideva; e di come gli piacessero i tramonti sul mare d'Oman, quando passeggiavano al crepuscolo sulla riva. Era una storia che lei aveva accuratamente mondato da bruttezze e da miserie. 
Era una storia d'amore."
Lui immerse le braccia nella vasca fra i pezzi di carta.
"Quanti uomini", disse. Si era seduto sul bordo della vasca e si stava pulendo gli occhiali. Si stropicciò gli occhi col fazzoletto come se li avesse stanchi o irritati.
"Polvere", disse.
"La carta?", dissi io.
Lui abbassò gli occhi, mi girò le spalle. "La carta", disse, "gli uomini".
***
Nasce un Dio. Altri muoiono. Non ci è giunta
né ci ha lasciato la verità: muta l’Errore.
Abbiamo ora un’altra Eternità,
e ciò che è passato in fondo era migliore.
Cieca, la Scienza ara vane zolle.
Folle, la Fede vive il sogno del suo culto.
Un nuovo Dio è solo una parola.
Non credere o cercare: tutto è occulto.
(Natale, Pessoa)