martedì 18 aprile 2017

Non dire notte

Questo libro mi ha folgorato già dalle prime pagine, descrizioni splendide, un deserto di polvere e ombre, la notte intorno e al centro di questo universo un uomo e una donna.
Questo libro è un respiro che ti riconcilia con il mondo intero.


"Sono le sette di sera e lui è seduto sul balcone di casa, al terzo piano. Guarda il giorno che muore e aspetta: chissà che cosa promette l'ultima luce, che cosa ha in serbo.
Oltre si dispiegano le colline desolate: laggiù c'è il deserto. Laggiù un mulinello s'alza a tratti, freme un istante, si contorce, corre, cala. Torna in qualche altrove.
Il cielo ingrigisce. Qualche nuvola ferma, una di esse riflette debolmente la luce del sole che cala. Sul muro di pietra in fondo al cortile un uccellino s'agita come se avesse appena scoperto qualcosa d'incontenibile. E tu?
Cala la notte. In città s'accendono lampioni e le finestre: fra un lembo e l'altro di buio. Il vento aumenta e con lui arriva odore di cenere e polvere. Il chiaro di luna distende una maschera mortuaria sulle colline nei pressi, come se non fossero più colline ma note basse. Questo posto è per lui la fine del mondo. Non che ci stia male, alla fine del mondo. Ha ormai fatto quel che poteva fare, d'ora in poi aspetterà.
Questo è il deserto nelle notti d'estate : antico. Indifferente. Vitreo. Nè morto nè vivo. Presente (...)
Sveglio ma intontito resta seduto in poltrona, come dopo un sonno profondo. Coglie sì gli immobili nessi tra il deserto e l'oscurità. Gli altri questa sera si stanno divertendo, combinano, rimpiangono. Lui dal canto suo si concede volentieri questo momento, che non gli appare vuoto. Adesso trova giusto il deserto, ha ragione il chiaro di luna. Davanti a lui, alla finestra, tre o quattro stelle intense sopra le colline. Sottovoce dice, Ora si respira."


"La notte è quasi trasparente. Una luce argentea, sottile e fredda, su tutta la terra. Che non respira. I due cipressi sembrano scolpiti nel basalto, le colline lunari avvolte da una cera di luna. Qua e là rannicchiate delle creature luminose anch'esse lunari. Nelle vallate ombre su ombre. La presenza delle colline deserte nella tenebra neutralizza espressioni come " quasi certamente", "teoricamente", svuota la domanda, Cosa ho trovato in te, Noa, o, Cosa trovi tu in me. La smetto. Supponiamo che tu trovi in me quel che io dal canto mio trovo ogni tanto osservando il deserto. E io in te? Diciamo : una donna di quindici anni più giovane con una pulsione di vita, una pulsione protoplasmica, ritmica, di prima che esistessero le parole e il dubbio. Ciò detto, a volte capita senza volerlo che improvvisamente lei vada dritta al cuore. Come un cucciolo. Un pulcino."

"Che sarà? Aspettiamo, vedremo. Musica punk, sarà. Violenta, molesta, roca e assetata di sangue, da Londra, alle due e un quarto, verso la mattina di mercoledì".

"La poesia è una specie di scintilla intrappolata in un coccio di vetro, perché le parole sono cocci di vetro".

"Come se fosse entrata per sbaglio in questa stanza e, confusa com'è, non riuscisse a trovare la finestra. Che era ed è rimasta aperta. Così corre avanti e indietro da una parete all'altra sbattendo le ali, inciampa nella lampada, contro il soffitto, sbatte contro i mobili, si fa male. Tu però non cercare di indirizzarla verso l'uscita: non puoi aiutarla. Ogni tuo movimento non fa che aumentare la sua paura. Invece di condurla fuori verso la libertà se non stai attento finirai... per farla volare verso locali ancora più interni, e lì continuerà a sbattere le ali contro il vetro. L'unica via per aiutarla è non cercare di aiutarla. Solo diventare piccoli. Congelarsi. Confondersi con il muro. Fermi. Davvero la finestra c'è ed è rimasta aperta? Davvero speri che voli fuori? Oppure sto in agguato, fermo, la fisso dal buio con gli occhi pietrificati, in attesa che crolli sfinita?
Allora potrò piegarmi e prendermi cura di lei come all'inizio.
Sin dall'inizio."


Aspetta, Theo. Qui si dice che sono dieci anni che vivi fra gli indios. Mi ci porti? Faresti bene a dire di sì, perché il tal caso potrei insegnarti come controllare il dolore con il respiro.
Quella sera stessa saltò fuori che non aveva nè avrebbe mai fatto esercizio di respiro: le ero piaciuto e non voleva che sparissi.
Piaciuto, disse, non è propriamente la parola adatta. Sarebbe più giusto dire che le ero sembrato rinchiuso nella cantina di me stesso e le avevo fatto venire voglia di provare ad arrivare giù da me, per non farmi congelare lì nel buio.

Così i loro corpi arrivavano a punti in cui il piacere da solo non può attingere, e allora sembrava che il fiume non scorresse più sotto di loro, dietro la casa, bensì dentro di loro. Ma allo spuntare del mattino lui tornava estraneo e corretto.
Gentile, rispettoso, distaccato. Obbligato a proseguire per la sua strada.

Forse c'è qualcuno che ne sa più di me, ma la verità è che non sono poi così sicura che ci sia qualcuno che seriamente sa qualcosa degli altri. In generale, dico. Nel mondo. Come si fa? Ciascuno e la sua isola. Ma come davvero non l'avevi capito, Noa? Non ti eri accorta che era innamorato di te? Niente? Non importa. Nessuno sa niente di nessuno. Meno che mai si sa dell'amore. L'amore secondo lei è proprio una condizione devastante: due estranei improvvisamente si guardano, o nemmeno si guardano, si fiutano, e come niente si legano più di un fratello o una sorella. Si comincia a dormire insieme nello stesso letto anche se non si è della stessa famiglia. E molte volte quei due non sono né amici né conoscenti né compagni e solo agganciati uno all'altro, mentre il resto del mondo può andare a farsi friggere. In effetti guarda tu che sfacelo (...) Ogni volta che pensa a come  nessuno sa niente di nessuno, le viene da ridere e piangere. E' stranissimo che non si possa cambiare questa cosa. Uno può stare con un altro, cent'anni, giorno e notte senza interruzione, dormirci insieme, e non serve a niente, alla fine non sai niente di quello lì.

...

Una ragazza, una bambina, oggi mi ha detto che secondo lei nessuno può mai sapere niente degli altri.
Sapere. Ma cosa significa sapere...
Sapere è uscire dalla tua stessa pelle. Almeno provarci. Qualche volta.



(Non dire notte, Amos Oz)

 

sabato 8 aprile 2017

Viole nere

Viole nere, poesie e racconti scelti (Tess Gallagher)

Tess non è soltanto la "moglie di" Carver, è un'ottima poetessa e scrittrice, le sue viole nere fioriscono nel buio dell'anima, quando le cose si illuminano per un'epifania improvvisa, quando il nostro respiro si fonde con quello dell'universo. Le viole nere sono profumate, misteriose, inebrianti, notturne, lunari, sono tutte le parole che non riusciamo a pronunciare di giorno perché ci fanno paura, hanno il profumo dei sogni e della nostra parte più vera e segreta, quella che fiorisce soltanto di notte, quella che la luce del giorno respinge nei sentieri oscuri e tortuosi del cuore, la più autentica.
Poesie intense e splendidi racconti, questo libro è un piccolo gioiello da leggere.


Se dico «viole nere» la nostra prima notte
è quasi abbastanza buia da attrarre la pioggia diurna
allo scintillio nomade del ricordo e io posso
tornare lì, portando amore
all’amore nella stessa stanza dove il suo estremo cuore
ha ceduto la sua invisibile ambra. È vero,
lui è in me sempreverde e io ne faccio verde uso
per amarti a ritroso attraverso la morte
e di nuovo in vita […] le viole
di cui ci nutriamo a vicenda petalo dopo vellutato
petalo per far durare la notte abbastanza a lungo
perché questo cuore rinnovato si apra a noi nell’oscurità
di sangue
fin nella sua più remota stanza.

Completamente

A quei tempi il mio spirito un'ape -
il mondo, un gigantesco ronzio che sbavava
dolcezza. Dolce da scoppiare.
Amore davanti. Amore sotto di me.
Ma soprattutto, l'estasi contraria
mi rimbalzava dentro - lo sterile fracasso
che l'amore alla fine fa mentre s'avvia al silenzio.
Completamente - esser distrutta nel regno
dei fiori. Completamente fradicia, trafitta
in un vuoto di pace.
Senza ricordare carezza esterna
o tenera occhiata.
È così che succede scontrandosi con l'essenza
senza volto del cuore. Non ci sono contorni. Solo
un invivibile carminio. Solo l'affollato braille
di un'impavida premonizione
che porge goffa l'altra guancia.

Letter to a Kiss That Died for Us

Sto scrivendo le tue memorie.
È come abbandonare il mondo
eppure trovarti ancora lì
come ci hai ricevuto e formato,
diventando all’istante irripetibile.
Continuo a pensare di poter scrivere una guancia
contro di te, se non proprio labbra. Una guancia magnetica
in modo che il suo clangore riecheggi
per un po’. T’induco in tentazione con nudità
in terrazza, con i tamburelli, con tutti i miei vezzi
da gitana. Con gli slanciati fianchi del desiderio
induco in tentazione te che te ne sei andato per sempre,
un pensiero che riesco a formulare
perché questa lettera è scritta
al di fuori di qualunque morte.

Dai racconti

"In preda al flusso pulsante e crudo di un linguaggio di cui non avrei saputo rendere conto, vegliai per tutta quella lunga notte e parlai con mio padre come si potrebbe parlare con l'oceano o col vento. Attraverso quello sfilacciato accompagnamento gli feci sapere che i ritmi dell'immensità in cui stava per entrare avevano la loro eco anche in me. Che non doveva sentirsi abbandonato. Che stavo per lasciarlo andare. Che fino a quel momento avevo sempre rinnegato il malfamato mondo dei ballerini e degli ubriaconi, dei giocatori d'azzardo e degli amanti dei cavalli, anche se a quel mondo, sicuramente, appartenevo anch'io. Ma che da quella notte in poi facevo voto di riempirmi della prima brutta voglia che mi avrebbe preso. Di tuffarmi nel cuore della mia vita e lì perdermi, inesorabilmente e per sempre."

"Il profumo dolce e soffocante dei gigli creava una corrente invisibile che attraversava la stanza e , benchè i fiori sembrassero segnalare una tristezza contro la quale non posso nulla, mi sono chinata all'indietro e ho respirato a pieni polmoni quella fragranza.
(...) Mi sono accorta che la nebbia aveva cominciato a circondare la casa. Potremmo essere ovunque, ho pensato.
Ovunque. Ma siamo qui."


"A quel punto mi svegliai di scatto. Faceva talmente caldo dentro casa che non pensai neanche a infilarmi la vestaglia, ma scesi di sotto al buio. Stranamente il mio sogno s'era intersecato con la realtà: Norman se ne stava davvero in piedi sotto gli alberi. Aprii la zanzariera e scesi i gradini della veranda avviandomi verso di lui. Non dissi niente, ma ebbi la sensazione che sapesse che ero lí. Le case ormai erano tutte al buio e gli aceri, con la brezza leggera che s'era levata, stormivano pian piano sopra di noi, uno stormire che avrebbe potuto benissimo provenire dalle stelle che ora erano visibili e rilucevano con calma intermittente in cielo. Avrei dovuto sentire freddo nell'aria notturna e, invece, niente. Mi sono resa conto che stavo mormorando parole di consolazione mentre ero lí in piedi accanto a Norman. Non mi preoccupavo affatto di essere nuda, come se, in un certo senso, stessi ancora sognando ed ero protetta dalla cecità del mondo ai sogni. Era uno di quei momenti di passaggio in cui la vita trabocca, eppure in qualche modo riesce a mantenere la propria forma. Norman si staccò dall'albero e disse: - Sei tu? - Sí, risposi. Poi gli misi la mano sotto al gomito e, come se il mondo intero ci stesse guardando e non guardando, condussi le nostre bellissime teste nel buio attraverso un labirinto di stelle, fin dentro alla mia casa immersa nel sonno".

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Undici racconti, undici sfumature di solitudine.

"E dove sono le finestre? Da dove entra la luce?
Bernie, vecchio amico mio, perdonami, ma per questa domanda non ho la risposta. Non sono neppure sicuro che questa particolare casa abbia delle finestre. Forse la luce deve cercare di penetrare come può, attraverso qualche fessura, qualche buco lasciato dall'imperizia del costruttore. Se è così, sta' sicuro che il primo a esserne umiliato sono proprio io. Dio lo sa, Bernie, Dio lo sa che una finestra ci dovrebbe essere da qualche parte, per ciascuno di noi."

(Undici solitudini, Yates)