domenica 26 novembre 2017

Daddy

Daddy (Sylvia Plath)

Non servi, non servi più,
O nera scarpa, tu
In cui trent’anni ho vissuto
Come un piede, grama e bianca,
Trattenendo fiato e starnuto.
Papà, ammazzarti avrei dovuto.
Ma sei morto prima che io
Ci riuscissi, tu greve marmo, sacco pieno di Dio,
Statua orrenda dal grigio alluce
Grosso come una foca di Frisco
E un capo nell’Atlantico estroso
Al largo di Nauset laggiù
Dove da verde diventa blu.
Un tempo io pregavo per riaverti.
Ach, du.
In tedesco, in un paese
Di Polonia al suolo spianato
Da guerre, guerre, guerre.
Ma il paese ha un nome molto usato.
Un amico mio polacco
Mi dice che ce n’è un sacco.
Così non ho mai saputo
Dov’eri passato o cresciuto.
Mai parlarti ho potuto.
Mi s’incollava la lingua al palato.
Mi s’incollava a un filo spinato.
Ich, ich, ich, ich,
Non riuscivo a dir di più di così.
Per me ogni tedesco era te.
E quell’idioma osceno
Era un treno, un treno che
Ciuff-ciuff come un ebreo portava via me.
A Dachau, Auschwitz, Belsen.
Da ebrea mi mettevo a parlare,
E lo sono proprio, magari.
Le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna
Non son molto pure o sincere.
Per la mia ava zingara e fortunosi sbocchi
E il mio mazzo di tarocchi e il mio mazzo di tarocchi
Qualcosa di ebreo potrei avere.
Ho avuto sempre terrore di te,
Con la tua Luftwaffe, il tuo gregregrè.
E il tuo baffo ben curato
E l’occhio ariano d’un bel blu.
Uomo-panzer, panzer, O tu –
Non un Dio ma svastica nera
Che nessun cielo ci trapela.
Ogni donna adora un fascista,
La scarpa in faccia, il brutale
Cuore di un bruto a te uguale
Tu stai alla lavagna, papà,
Nella foto che ho di te,
Biforcuto nel mento anziché
Nel piede, ma diavolo sempre,
Sempre uomo nero che
Con un morso il cuore mi fende.
Avevo dieci anni che seppellirono te.
A venti cercai di morire
E tornare, tornare a te.
Anche le ossa mi potevano servire.
Ma mi tirarono via dal sacco,
Mi rincollarono i pezzetti.
E il da farsi così io seppi.
Fabbricai un modello di te,
Uomo in nero dall’aria Meinkampf,
E con il gusto di torchiare.
E io che dicevo sì, sì.
Papà, eccomi al finale.
Tagliati i fili del nero telefono
Le voci più non ci possono miagolare.
Se ho ucciso un uomo, due ne ho uccisi –
Il vampiro che diceva essere te
E un anno il mio sangue bevé,
Anzi sette, se tu
Vuoi saperlo. Papà, puoi star giù.
Nel tuo cuore c’è un palo conficcato.
Mai i paesani ti hanno amato.
Ballano e pestano su di te.
Che eri tu l’hanno sempre capito.
Papà, bastardo, ho finito.

Otto Emil Plath docente universitario e noto entomologo di origini tedesche si trasferì in America da ragazzo, morì quando Sylvia aveva soltanto otto anni.
Un trauma difficile da elaborare e superare. "Daddy" per una bambina che vive la sua scomparsa come tradimento e colpevole abbandono, ma anche un uomo severo e rigido, stimato e temuto professore spesso assente, uomo nero vampiro amato e odiato. In alcuni suoi scritti si accenna al silenzio ovattato in casa, alla malattia del padre, a quel qualcosa di irrisolto che la accompagnerà per tutta la vita, un nodo difficile da districare. La poesia di Sylvia è affilata come una lama tagliente, potente ed evocativa, mette a nudo l'inquietudine profonda della sua anima ferita. Questa è forse la sua poesia più spietata, scritta negli ultimi mesi di vita. Piena di rabbia, rancore, odio, solitudine, verso il padre ma anche verso chi (Ted il colosso) ha amato profondamente e alla fine l'ha lasciata di nuovo sola, un colpevole e imperdonabile abbandono.

E poi c'è un racconto "il volo dei bombi" che rappresenta il rovescio della medaglia, dove c'è tutto l'amore tenero di una bambina per il papà andato via troppo presto, che nessuno potrà mai eguagliare.

"In principio c’era suo padre, che la lanciava in aria, così in alto che le si mozzava il respiro in gola, e poi la afferrava al volo e la avviluppava in un abbraccio potente. Se gli appoggiava l’orecchio al petto, sentiva il rombo di tuono del suo cuore e il pulsare del sangue nelle sue vene, simile al galoppo di cavalli selvaggi."
(...) Non sapeva, allora, che nessuno più, in tutta la sua vita, avrebbe camminato accanto a lei, come aveva fatto lui, fiero e arrogante, in mezzo ai bombi."

Creatura potente e fragile, in precario equilibrio tra demoni privati e Poesia, immensamente Sylvia.

sabato 18 novembre 2017

Il mare dove non si tocca

Il mare dove non si tocca, Fabio Genovesi

Siamo fatti di storie, non importa quanto strambe assurde pazze siano, ci appartengono, ci rendono quello che siamo oggi, siamo fatti di storie e persone che popolano il nostro piccolo grande mondo e ci vogliono bene nonostante tutto, non siamo isole sperdute nel mare, anche se a volte ci sentiamo soli e smarriti. Siamo quelle storie, che nascono dal nostro vissuto incasinato e vanno per il mondo, storie che fanno parte di noi e sopravvivono al tempo e a tutto quanto, siamo noi quelle storie uniche e speciali nel mare immenso che è la vita.
Il nuovo libro di Fabio Genovesi racconta con quel suo stile inconfondibile, semplice, diretto, pulito, ironico, che ti strappa un sorriso e una lacrima, la storia di una famiglia speciale, quella di Fabio, un bambino sensibile, che sogna a occhi aperti e vola in alto con la fantasia.
Fabio vive con il papà Giorgio, un uomo di poche parole che sa aggiustare tutto, la madre Rita che vuole proteggerlo dal mondo e ha litigato con la verità da piccola, quella verità brutta e amara che ferisce, una coccinella che gli fa battere il cuore, una nonna fortissima e dieci nonni/zii completamenti suonati, fulminati sui quali grava da sempre una terribile maledizione che terrorizza e minaccia anche il piccolo Fabio.
Leggendo la sua storia, assaporandola pagina dopo pagina si torna indietro nel tempo e diventa impossibile non pensare alla propria infanzia.
A quei parenti strambi e simpatici, a volte invadenti che ti riempiono la vita.
Al primo giorno di scuola quando ti sembra davvero di entrare in un universo nuovo e sconosciuto, al sentirsi diversi dagli altri, alla matematica che detesti, a babbo natale che sicuramente esiste, alle figurine, al catechismo obbligatorio, alle gite assurde e divertentissime ma anche no. Alle figuracce, a quando nessuno ti voleva in squadra perché se ti sceglievano sconfitta assicurata, all'adolescenza che ti esplode addosso e ti fa sentire un alieno, alle prime feste a casa di amici, maledette "festine", quando tutti si divertivano e tu eri lo sfigato della situazione, tu e il tuo unico amico più strano e solitario di te. Alcuni episodi narrati nel libro con ironia e leggerezza li ho trovati davvero simili al mio vissuto, sarà per questo che mi piacciono molto i suoi libri, mi sento vicina a questi personaggi eccentrici e originali, sognatori folli e impulsivi.
E poi cresci, la vita ti travolge, ti sorprende alle spalle all'improvviso, ti schiaffeggia e l'unica cosa che puoi fare è continuare a muoverti, come quando ti sei tuffato per la prima volta in mare, quel mare gigantesco che fa paura, pieno di creature strane e misteriose, onde alte, fondali profondi, lì a pochi metri dalla riva il mare aperto, immenso, profondo e buio. E una volta che sei lì in mezzo sprofondi e poi torni a galla, bevi acqua salata, vai giù e su, ti muovi braccia gambe tutto, ti sembra di annegare e invece respiri ancora, goffo, indeciso, insicuro come un pesce strano che sta imparando a nuotare.
Restare a galla in questo mare immenso che è la vita, con le storie che ci appartengono e siamo noi, nel mare profondissimo, misterioso e blu, che un po' fa paura e un po' ci elettrizza, tuffarsi tra le onde vincendo la paura, lì nel mare dove non si tocca.


"Le storie vengono da lontano, ma respirano sott’acqua e hanno ali giganti per raggiungerti ovunque".

"Poi però l’ho capito che l’anima di ogni persona è proprio questa qua: è la sua storia da raccontare, e più è bella e più vola fra le bocche e le orecchie e dura nel tempo. Il tuo corpo finisce in una cassa, ma la tua storia viaggia per il mondo, viaggia per sempre.
(...) E allora sarò strano, sarò pazzo, non lo so e non mi importa. So solo che lascio il modulo com’è, sbagliato e giusto insieme, e corro giù. Una stesa di scale e la strada, e la mia storia vola già da un’altra parte."

"Adesso però non è più come prima, perché con me resta la mia cattiveria. L'ho appena conosciuta e mi ha già insegnato come si smette di essere soli e diversi, come si fa a essere uguali agli altri, quanto è facile fare schifo come tutti quanti."

"Siamo così, spersi in mezzo alla nebbia, e ci guardiamo intorno per capire se è meglio andare di qua o di là oppure stare fermi ancora un po'. E intanto parliamo e cantiamo e certe volte pure ci mettiamo a fischiare, per farti sapere dove siamo, anche se non lo sappiamo nemmeno noi. Però insomma, siamo qui, e ti aspettiamo."

"Poi però, così dal nulla, si è scatenato un altro vento cento volte più potente, che magari soffiava solo addosso a me ma in un attimo ha ribaltato la mia giornata. Quando la porta di alluminio si è aperta in uno schianto, il maestro si è bloccato e tutti ci siamo voltati a guardare lei, la Coccinella.
Che arrivava sempre così nella mia vita: dal nulla, in ritardo e spaccando tutto."

"Ma le cose belle sono come quelle brutte, è difficile farsele uscire dalla bocca, così restano a gonfiarti la gola mentre dici solo le cose medie. Il meglio dei nostri discorsi resta sempre rinchiuso dentro di noi, a morire nel buio."