lunedì 28 novembre 2016

La zavorra dell'eterno

Notte stellata

"Questo non mi impedisce di avere un terribile bisogno di - devo dire questa parola?- religione. Allora esco di notte a dipingere le stelle."
(V. Van Gogh)


La città non esiste
se non dove un albero dalla chioma corvina svetta
come una donna annegata nel cielo rovente.
La città è silenziosa. La notte ribolle di undici stelle.
Oh notte stellata! Così
voglio morire.
Si muove. Sono tutte vive.
Persino la luna ingrossa le catene arancioni
e spinge fuori bambini dall'occhio, come un dio.
L'antico serpente non visto ingoia le stelle.
Oh notte notte stellata! Così
voglio morire:
nella precipitosa belva della notte,
risucchiata da quel grande drago, separarmi
dalla mia vita senza bandiera,
nè ventre
nè grido.

(La zavorra dell'eterno, Anne Sexton)

Passione, depressione, lucida follia, ribellione, ricerca spirituale, colloquio aperto con Dio abile giocatore di poker, l'eterno remare, in questa raccolta sono racchiuse le poesie più intense di questa poetessa ribelle, inquieta e geniale.
Di alcune ho preferito traduzioni lette in passato, a mio avviso più incisive, nel complesso però è un buon libro, consigliato a chi si nutre e vive di poesia, quella poesia che non ha bisogno di angoli angusti e orizzonti ristretti, perché invade l'intera esistenza, facendosi spazio tempo memoria percorso scoperta dolorosa caduta fallimento rinascita catarsi cura vita e anche oltre.

Siate cauti con le parole,
anche con quelle miracolose.
Per le miracolose facciamo del nostro meglio,
a volte sciamano come insetti
e non lasciano una puntura ma un bacio
  Possono essere buone come dita.
Possono essere sicure come la roccia
su cui incolli il culo.
Ma possono essere margherite e ferite.

Io sono innamorata delle parole.
Sono colombe che cadono dal tetto.
Sono sei arance sacre sedute sul mio grembo.
Sono gli alberi, le gambe dell’estate,
e il sole, il suo volto appassionato.
Ma spesso non mi bastano.
Ci sono così tante cose che voglio dire,
tante storie, immagini, proverbi, ecc.
Ma le parole non sono abbastanza buone,
quelle sbagliate mi baciano.
A volte volo come un’aquila
ma con le ali di un passero.
Ma cerco di averne cura
e di essere gentile con loro.
Le parole e le uova devono essere maneggiate con cura.
Una volta rotte
sono cose impossibili da aggiustare.

 

Le ore

Chi non ha sognato di perdersi su strade immense e sconosciute? Di salire su quel treno? Non si è sentito come Laura Brown almeno una volta nella vita? in cerca di un posto tranquillo dove leggere e dove nessuno possa trovarci, il peso faticoso del tempo, del fallimento e dell'intera esistenza sulle spalle.
Sto leggendo le ore di Cunnigham e mi sta piacendo moltissimo, questo libro tocca varie corde, vari stati d'animo, arriva in qualche modo alla parte segreta e oscura che si cela in ognuno di noi, intenso, lirico, graffiante, commovente.
E poi su tutto campeggia lei, immensa Virginia, i suoi libri, i suoi tormenti, la sua folle e lucida disperazione, la sua voce che attraversa tutto il libro, annodando in un unico filo il destino di tre donne, vissute in epoche diverse, così lontane, così uguali, così vicine a noi, a quello che siamo e sentiamo davvero.


"Mentre sfrega la schiena di Louis, Clarissa pensa: portami con te. Voglio un amore destinato a fallire. Voglio strade di notte,vento e pioggia, e nessuno che si chieda dove sono."

"Sono sola, pensa Virginia, mentre l'uomo e la donna proseguono su per la collina e lei continua a scendere. Ovviamente non è sola, non nel modo in cui chiunque altro la vedrebbe, eppure in questo momento, camminando nel vento verso le luci del Quadrante, riesce a sentire la vicinanza del vecchio diavolo (come altrimenti chiamarlo) e sa che sarà completamente sola se e quando il diavolo sceglierà di ricomparire. Il diavolo è un mal di testa; il diavolo è una voce dentro il muro; il diavolo è una pinna che rompe la superficie di onde scure. Il diavolo è il breve e cinguettante nulla che è stata la vita di un tordo. Il diavolo succhia tutta la vita dal mondo, tutta la speranza, e quel che resta quando il diavolo ha finito è un regno di morti viventi- privo di gioia, soffocante. Virginia sente, proprio adesso, una certa grandiosità tragica, perché il diavolo è tante cose ma non meschino, non sentimentale; ribolle di una verità letale, intollerabile. Proprio in questo momento, camminando, libera dal mal di testa, libera dalle voci, può affrontare il diavolo, ma deve continuare a camminare senza voltarsi. Quando raggiunge il Quadrante si volta verso la stazione ferroviaria. Pensa di andare a Londra, come Nelly per la commissione, anche se la commissione di Virginia sarà il viaggio stesso, la mezz'ora di treno, la possibilità di camminare da una strada all'altra, a un'altra ancora. Che salto! Che tuffo! Le sembra di poter essere felice, di poter prosperare, se ha Londra intorno a sè; se sparisce per un po' nella sua enormità, sfrontata e impudente ora sotto un cielo privo di minacce, tutte le finestre senza tende (qui il profilo austero di una donna, lì la corona di una sedia intagliata) il traffico, uomini e donne che se ne vanno spensieratamente in giro con i vestiti da sera; l'odore di cera e benzina, di profumo, mentre qualcuno suona il pianoforte; mentre clacson gemono e cani abbaiano, mentre l'intero carnevale rauco va avanti e continua, brillante, scintillante; mentre il Big Ben batte le ore, che cadono in cerchi di piombo sulle persone che vanno alle feste e sugli autobus, sulla regina Vittoria di pietra seduta davanti al palazzo tra le sue piattaforme di gerani, sui parchi che giacciono sprofondati nella loro solennità ombrosa dietro recinti di ferro nero.
Virginia scende le scale verso la stazione ferroviaria. La stazione di Richmond è allo stesso tempo una porta che conduce in altri luoghi e una destinazione in sè (...)
Sta meglio, è più al sicuro, se resta a Richmond; se non parla troppo, se non scrive troppo, se non prova troppe sensazioni; se non si reca precipitosamente a Londra e cammina per le sue strade; eppure così sta morendo, sta morendo delicatamente su un letto di rose. Meglio, davvero, affrontare la pinna nell'acqua che vivere nascondendosi, come se la guerra fosse ancora in corso...
La sua vita (ha già più di quarant'anni!) si sta consumando, misura dopo misura, e la carrozza carnevalesca di Vanessa- la sua festa gioiosa, la vita grande, i bambini e i colori e gli amori, la casa gioiosamente zeppa- è passata nella notte, lasciando dietro l'eco dei cembali, le note della fisarmonica, mentre le ruote si allontanano cigolando lungo la strada. No, non telefonerà dalla stazione: lo farà una volta arrivata a Londra, una volta che non si può più fare niente. Accetterà la sua punizione (...)
Pensa improvvisamente a quanto siano fragili gli uomini, a come siano pieni di terrori. In questo momento le sembra di essere a cavallo di una linea invisibile, un piede da questo lato, il secondo dall'altro. Da questa parte c'è il serio, preoccupato Leonard, la fila di negozi chiusi, l'altura scura che riporta a Hogarth House. Dall'altra parte c'è il treno. Dall'altro lato c'è Londra, e tutto ciò che Londra comporta: libertà, baci, arte in tutte le sue forme e il sottile scintillio scuro della follia. La signora Dalloway, pensa, è una casa in collina dove sta per cominciare una festa; la morte è la città in basso, che la signora Dalloway ama e di cui ha paura, e in cui vuole, in un certo senso, camminare tanto a lungo da non trovare più la strada per ritornare".

(Le ore, Cunningham)


 

venerdì 11 novembre 2016

Una brava ragazza

Una brava ragazza (Joyce Carol Oates)

"Nessun bacio viene dimenticato: perdura nella memoria come nella carne, e così, nei giorni e soprattutto nelle notti seguenti..."

C'era una volta un re dalla candida chioma di neve, solitario e malinconico, che viveva in un castello alto sul mare, celando nel cuore un oscuro segreto. L'anziano re amava teneramente e disperatamente una giovane e bella fanciulla dai capelli dorati.
Era un uomo potente, orgoglioso, un po' vanitoso e molto stanco.
Inizia come una fiaba innocente questo libro oscuro e conturbante.
Scritto con uno stile fluido e scorrevole, avvince il lettore tenendolo incollato alla pagine fino alla fine, un libro inquietante e stregato. Come in ogni fiaba che si rispetti c'è una giovane ragazza sedicenne, Katya, dal passato disastroso, un lavoro precario e malpagato, uno smisurato bisogno di essere amata e sentirsi protetta. E un desiderio da esprimere, è questa la strana frase che l'eccentrico Mr Kidder rivolge alla ragazza. Occhi vivaci, intelligenti e brillanti, un'amabile voce maschile e Katya lancia i dadi e sorride, perché è sempre una buona idea cominciare con un sorriso. Ma Katya baby sitter stagionale in un elegante quartiere residenziale del New Jersey, non è un' ingenua ragazza sprovveduta, è "dura, tosta, arrabbiata", dubbiosa, concreta, diffidente, ma anche timida, non si fida del suo corpo, è insicura, è una brava ragazza desiderosa di piacere al mondo, "servizievole, gentile", vuole essere amata per quella che è, si proprio lei, sentirsi speciale.
Mr Kidder è un uomo di 68 anni, un artista, uno scrittore di libri per bambini, appassionato di musica classica, un uomo benestante, dalla vita agiata, alto, occhi azzurri e penetranti, una chioma candida, rughe sottili come ragnatele e profonde come lacrime, un uomo che ha ottenuto tutto dalla vita, fama, successo, talento, ricchezza, un uomo profondamente solo.
Due solitudini che si incontrano in un giorno d'estate, tra i due si instaura sin da subito uno strano ambiguo legame di attrazione e repulsione. Due anime gemelle al di là del tempo e delle contingenze, "anime gemelle, nate in momenti sbagliati".
E una missione da compiere, a tempo debito.
Questo libro inizia come una fiaba , sullo sfondo le onde dell'oceano, e strada facendo diventa una favola nera, con ombre, dubbi, lividi, notte torbida e senza luna. E' la storia più folle, disperata, mostruosa, tenera, illogica, meravigliosa che abbia letto negli ultimi mesi. Una nota dissonante, dolce e stridula, che respinge, sconvolge e ferisce. Dimenticando la logica e la razionalità ci si smarrisce negli eventi che si succedono tumultuosi come le onde del mare, dapprima dolci e rassicuranti, crescendo d'intensità e diventando poi minacciosi, spettrali, torbidi, mentre avanzano nere ombre.
E poi il vecchio re stanco chiuse gli occhi tra le braccia della giovane fanciulla, cullato dalla sua voce, beffando la morte ghignante, in attesa là fuori nel buio.
Eros e thanatos, due facce della stessa medaglia, strettamente intrecciate in pagine avvincenti.
La forza dell'amore, l'orrore della morte.
Non temere lettore, questa storia d'inchiostro è soltanto una fiaba, non può farti alcun male o forse sì.

"E tu cosa sceglieresti, dovendo esprimere un desiderio?
A colpirla fu la stranezza di quell'esprimere un desiderio. Come in una favola.
A sedici anni, Katya era troppo grande per credere alle favole, ma disposta a credere alla promessa di un'amabile voce maschile che la sollecitasse a esprimere un desiderio.
Si voltò con un sorriso verso la voce. Di solito a Bayhead Harbor era una buona idea cominciare con un sorriso".

"Come vedi, non sono esattamente la persona che pensavi"

"Bocca dice ciò che orecchio vuole sentire"

"La bellezza non ha scopo apparente. Senza di essa, tuttavia, la vita sarebbe intollerabile."

Addio al poeta dalla voce ruvida

Il vero amore non lascia tracce

Come la bruma non lascia sfregi
Sul verde cupo della collina
Così il mio corpo non lascia sfregi
  Su di te e non lo farà mai


Oltre le finestre nel buio
I bambini vengono, i bambini vanno
Come frecce senza bersaglio
Come manette fatte di neve

Il vero amore non lascia tracce
Se tu e io siamo una cosa sola
Si perde nei nostri abbracci
Come stelle contro il sole
Come una foglia cadente può restare
Un momento nell’aria
Così come la tua testa sul mio petto
Così la mia mano sui tuoi capelli

E molte notti resistono
Senza una luna, senza una stella
Così resisteremo noi
Quando uno dei due sarà via, lontano

(Leonard Cohen)

"C’è un’esplosione di luce
In ogni parola"

"There is a crack, a crack in everything
That’s how the light gets in..."

 

venerdì 21 ottobre 2016

L'amante della Cina del nord

L'amante della Cina del nord, M. Duras

"E' un libro.
E' un film.
E' la notte.
La voce che parla qui è quella, scritta, del libro.
Voce cieca, senza volto.
Giovanissima.
Silenziosa."

Lei, la bambina con il cappello da uomo, truccata, esile, le scarpe di raso nero logore, una valigia di cartone "piccola, magra, ardita, difficile capirla, difficile dire chi è, povera, figlia di poveri, una voglia smisurata di leggere, insolente e libera", ferma sul traghetto che risale lento il fiume Mekong.
Lui, il Cinese senza nome, elegante nella macchina nera, che guarda e tace.
Da una parte una famiglia ridotta in miseria, un fratellino amatissimo, una madre fragile che ha perso tutto, un fratello che fa paura. Dall'altra le tradizioni cinesi immobili e inviolabili a cui è impossibile disobbedire. Tra lacrime, sorrisi, cielo di pioggia, notte buia e calda, pelle di seta, desiderio, odori e corpi che si mescolano al dolore e all'oblio dell'oppio, il racconto di un amore bello da soffrire, bello da vivere, da far male, un amore che è quasi un grido.
La scrittrice narra di nuova la storia del cinese e della bambina, la sua storia, ma stavolta prevalgono i dialoghi, gli stati d'animo, la narrazione diventa più dettagliata e ricca di riferimenti familiari autobiografici. Questo libro mi è piaciuto molto di più rispetto al precedente "l'amante" , troppo vago, sospeso, indefinito.
La scrittrice sente il bisogno di riscrivere di nuovo la storia di quell'amore lontano e mai dimenticato, sempre vivo nella memoria, soprattutto ora che lui è morto, per sottrarlo alle grinfie impietose del tempo. Quell'amore dolce, tenero, malinconico, lacerante, che ha il sapore acre dell'addio, che è musica sul mare, quell'amore impossibile tra una bambina bianca e un uomo cinese, un amore che vivrà per sempre nel ricordo e tra le pagine di un libro, un amore che se fosse musica sarebbe un valzer che si perde tra le onde, lento, nostalgico e disperato.

"A volte quando erano molto piccoli, la madre li portava a vedere la notte della stagione asciutta. Diceva loro di guardare bene il cielo, azzurro come in pieno giorno, la terra illuminata a perdita d'occhio.
Di ascoltare bene anche i rumori della notte, le voci della gente, le risate, i canti, i lamenti dei cani anche, ossessionati dalla morte; e bisognava ascoltare anche tutti quei richiami che dicevano l'inferno della solitudine e insieme la bellezza dei canti che dicevano questa solitudine. Che quello che di solito si teneva nascosto ai bambini, bisognava invece dirlo, dire il lavoro, le guerre, le separazioni, l'ingiustizia, la solitudine, la morte. Sì, questo lato della vita, infernale e irrimediabile insieme, si doveva insegnarlo ai bambini, come a guardare il cielo, la bellezza delle notti del mondo.
I bambini avevano chiesto spesso alla madre di spiegar loro cosa intendeva con questo e la madre aveva quasi sempre risposto ai figli che non sapeva, che nessuno lo sapeva. E che anche questo bisognava saperlo. Sapere questo prima di tutto: che non si sapeva niente. Che persino le madri che dicevano ai figli di sapere tutto, non sapevano."

Si stringe a lui che con un gesto leggero le fa posto sul petto.
Lui dice: "in tutta la vita sarai tu che avrò amato".
Lei si solleva.
Grida.
Come se non avesse sentito, lui la guarda, la guarda e dice:
"Tu sei il mio amore"
Lei gli dice che il suo odore, non lo dimenticherà mai. Lui dice che per lui sarà il suo corpo di bambina, violare ogni notte quel corpo magro. Ancora sacro, dice. Che mai più conoscerà quella felicità: disperata, smisurata, da uccidersi.

E' sopraggiunto il lungo silenzio della notte che finisce.
E di nuovo una pioggia a dirotto si abbatte sulla città, sommerge le strade, i cuori.
Lui dice :
"Il monsone".
Lei chiede se fa bene alle risaie una pioggia tanto forte.
Lui dice che è la cosa migliore.
Lei alza gli occhi su quell'uomo, tra le lacrime lo guarda ancora e dice:
"E il mio amore sarai stato tu"
"Si. L'unico. Di tutta la tua vita."

Si ha paura. Sempre in quel momento si ha paura. Di tutto.
Di non rivedere mai più quella terra ingrata e quel cielo di pioggia, di dimenticarlo.
E poi ecco il motivo in voga, il valzer disperato della strada. Sempre musiche adatte alla partenza, nostalgiche e lente per cullare il dolore della separazione.

Il frastuono immobile delle macchine cresce, si fa assordante.
Lei continua a non guardarlo, niente.
Quando apre gli occhi per vederlo ancora, non c'è più.
Lei chiude gli occhi.
Nel buio degli occhi chiusi, ritrova l'odore della seta, del tussor di seta, della pelle, del tè, dell'oppio.
L'idea dell'odore. Quella della camera. Quella dei suoi occhi prigionieri sotto i baci di lei, la bambina.


 

domenica 16 ottobre 2016

Il velo dipinto

Il velo dipinto, Maugham

"Alcuni cercano la Via nell'oppio e altri in Dio, altri nell'alcol e altri nell'amore. Ma è sempre la stessa Via che non conduce in nessun luogo."

Questo libro non racconta una storia d'amore, ma un percorso, un viaggio all'interno di se stessi e del mondo, che parte da una passione e approda a una redenzione attraverso il dolore, in un remoto paese della Cina devastato dal colera.
Kitty la giovane protagonista bella e vacua, prigioniera di un matrimonio senza amore con un uomo intelligente, taciturno ed enigmatico, cede alla passione e al desiderio per l'affascinante e seducente Charlie. Sembra un'appassionante storia d'amore, ma in realtà di amore qui ce n'è poco, non c'è amore tra Kitty e il severo e integerrimo marito e neppure tra Kitty e l'amante pavido.
Walter ferito nell'orgoglio elabora una sottile e oscura vendetta, mentre Kittty in cuor suo non riesce ad amarlo e lo disprezza, confidando nell'amante che però la abbandona al suo destino. Durante il romanzo la protagonista sembra maturare, evolvere, inizia ad aprire gli occhi e a guardare davvero le cose e le persone per quello che sono. Scoprirà il valore del marito anche se non riuscirà mai ad amarlo davvero, chiuso com'è nel suo cieco risentimento. Kitty si chiede perché si perde così tanto tempo a torturarsi e tormentarsi quando la vita umana è così breve ed effimera. Cercherà il perdono dell'impassibile marito offeso, che fino all'ultimo eviterà di guardarla, fissando ostinatamente un muro bianco, caparbiamente chiuso in se stesso, vittima del suo amore infelice e dell' orgoglio ferito. Ambientazione esotica, belle le descrizioni, scrittura scorrevole che cattura l'attenzione e intriga, eppure c'è sempre qualcosa che sfugge, qualcosa che Kitty non comprende e a cui anela, quello che si cela dietro il velo fragilissimo che chiamiamo vita. Durante la lettura delle peripezie dei due coniugi nella città cinese infestata dal colera, mi sono tornate in mente le atmosfere vaghe e inquietanti (per quanto i due libri siano molto diversi) lette nel tè nel deserto, sia lì che qui una coppia persa e alla deriva naviga verso un destino oscuro e ignoto fino a perdersi.

"Un po' di fumo perduto nell'aria, così era la vita dell'uomo"

"Ho idea che la sola cosa che ci permette di guardare senza disgusto il mondo in cui viviamo sia la bellezza che gli uomini di tanto in tanto creano dal caos. I quadri che dipingono, la musica che compongono, i libri che scrivono, la vita che vivono. Fra tutte, la cosa più ricca di bellezza è una vita bella.
E' questa l'opera d'arte più perfetta.

 

lunedì 26 settembre 2016

La ragazza tatuata

La ragazza tatuata (Joyce Carol Oates)

"Dove vivi? Vivo all'inferno. Sono una figlia dell'inferno.
Sono un'americana e una figlia dell'inferno.
Chiedimi se sono felice: lo sono."

La Ragazza Tatuata, Alma senza cognome, è un detrito trascinato via da un fiume in piena, è una giovane donna dall'oscuro e difficile passato fatto di violenza e abbandoni. Ha capelli di paglia, è pallida, il corpo e il viso deturpato da brutti tatuaggi sbiaditi e una bocca rosso fuoco. Ha una falena incollata alla guancia, pronta a volare o a morire, chi può dirlo. Labbra carnose, occhi gonfi e socchiusi, un corpo morbido e voluttuoso. E' fuggita dal suo misterioso passato, dall'inferno di fumo e miseria dove le erbacce crescono dalle crepe del terreno, erbacce avvinte ad arbusti dall'insolita bellezza. E' un cane affamato d'amore, lo cerca dove non c'è. Non colta, piena di odio e ottuso pregiudizio, lenta e goffa nel lavoro quotidiano, è una fiamma di impulsi contrastanti.
Innocente e perversa. Speranza e condanna, dannazione e salvezza.
Joshua Seigl è un affermato scrittore di origini ebraiche, uno studioso, un uomo piacente e benestante, alla ricerca di un assistente che lo aiuti nel lavoro e nel caos che è diventata la sua vita da quando una malattia indefinita e dai sintomi sempre più allarmanti ha bussato alla sua porta.
Un incontro casuale tra libri e streghe.
Il libro descrive lo strano rapporto che si instaura tra due personaggi opposti e lontanissimi per abitudini, carattere, stile di vita. Alma che ama disperatamente e odia ferocemente.
Lo odio lo odio lo odio. Un fuoco di istinto e passione.
Un libro che ho divorato, mi ha tenuta avvinta alle pagine fino alla fine, inquietante, duro, a tratti cattivo, dai dialoghi fulminei, che ti introduce nella mente e nell'anima ferita dei personaggi, tra paura, solitudine, follia, malattia, senso di vuoto, odio viscerale e impulsivo, che cambia pelle, diventa troppo tardi altro, quasi amore, perché all' inferno l'altra faccia dell'odio è
l'amore. A fine lettura non si può fare a meno di chiedersi smarriti perché tutto questo? Ma cala bruscamente il sipario, la logica si dissolve, le parole sfumano, qui all'inferno non c'è un "perché".

"Dimmelo se hai bisogno di qualcosa, Alma.
Si, signore. Ho bisogno di amore. Ma non da te".

"Dove fumo bianco come vapore si alza attraverso crepe nel terreno. Dove miniere scavate nel profondo della terra stanno bruciando. Se ne sono andati quasi tutti. Solo gramigna cresce dove il manto stradale si è spaccato. Dove la gente ha lasciato la propria casa. La vecchia scuola elementare. Il campo da giochi di asfalto. Laddove il calore è più intenso, la neve si scioglie appena tocca il suolo.
Alza gli occhi verso i monti dove sale il vapore. Dove l'aiuto viene dal cielo. Erbacce ormai alte, arbusti. Sta tornando la giungla. E' un dono per quelli che si sono rifiutati di lasciare Akron Valley , questa pace. Ad acque tranquille conducimi, rinfranca la mia anima. Se il cielo si oscura, se un tuono si sprigiona dal silenzio. Un'anima è come fumo bianco che sale cercando il Signore. Dalla strada principale, crepata da ogni parte come ghiaccio, il fumo si leva verso l'alto come vapore.Qualcosa che respira.
In alcuni punti, il terreno è caldo al tatto. Doline, gas velenosi. Non si poteva giocare all'aperto. Dopo una tempesta di neve ci sono punti come ferite aperte dove la neve si è sciolta (...)Sulle finestre la gente attacca rivestimenti di polietilene per risparmiare sul riscaldamento. E' troppo complicato togliere i rivestimenti in primavera, così le finestre sono perennemente schermate. Come occhi velati da glaucoma.
Il più puro carbone antracite degli Usa. Non ci si può fidare del governo ma lo si faceva, ci si poteva fidare dei sindacati ma non più. Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra.
Dove vivi, chiedevano alla Ragazza Tatuata. Vivo all'inferno, rideva lei. Perché la Ragazza Tatuata era sempre brava a far ridere.
E tuttavia."

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“Questa è la parte più bella di tutta la letteratura: scoprire che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato da nessuno. Tu appartieni”.

(Francis Scott Fitzgerald)

giovedì 25 agosto 2016

La luna e sei soldi

La luna e sei soldi, Maugham

Abbandonare tutto per il sacro fuoco dell'arte, una sorta di biografia fantasiosa (romanzata) di Gauguin, tra arte e ribellione, genio e sregolatezza. Un uomo dal sorriso sardonico, cinico e indifferente alle opinioni altrui, a tratti odioso, una vita di miseria e privazioni, che alla fine riesce a trovare la bellezza e a catturarla per sempre sulla tela.
Uno dei libri più belli letti di recente, meravigliose e incisive le descrizioni dei dipinti e della lussureggiante Tahiti, una scrittura immaginifica, viva, sinestetica.

"La bellezza è qualcosa di strano e meraviglioso che l'artista plasma dal caos del mondo nel tormento della sua anima. Per riconoscerla devi ripetere l'avventura dell'artista. E' una melodia quella che lui ti canta, e per riudirla in cuor tuo ti occorre esperienza, sensibilità e immaginazione."

"Non è difficile essere anticonformisti agli occhi del mondo quando il tuo anticonformismo non è che il conformismo della tua cerchia."

"I colori erano così strani che le parole difficilmente possono rendere l'emozione inquietante che provocavano. C'erano cupi azzurri, opachi come una coppa di lapislazzulo delicatamente intagliata, eppure con tremolii luminescenti che suggerivano il palpitare di una vita misteriosa; c'erano violetti, orribili come marciume di carne viva, eppure intrisi di un'ardente sensualità, c'erano rossi squillanti, c'erano gialli intensi che morivano con furia innaturale in un verde fragrante come la primavera e puro come l'acqua di una sorgente montana"(...)

"Qual era il soggetto?" domandai.
"Non lo so bene. Era strano e fantastico. Una visione degli inizi del mondo, del paradiso terrestre, un inno alla bellezza della forma umana, maschile e femminile, l'esaltazione della natura, sublime, indifferente, incantevole e crudele. Ti dava un senso arcano dell'immensità dello spazio e dell'infinità del tempo. Vi erano dipinti alberi che ho davanti agli occhi ogni giorno, cocchi, banani, poinciane, avocadi, ma da allora li ho visti in modo diverso, come se ci fosse in essi uno spirito e un mistero che sono sempre sul punto di cogliere e che sempre mi sfugge. I colori erano colori a me familiari e tuttavia differenti. Avevano un significato loro proprio. E quegli uomini e donne nudi. Erano parte della terra, dell'argilla con cui sono stati creati, e al tempo stesso avevano qualcosa di divino. Vedevi l'uomo nella nudità dei suoi istinti primordiali, e ti faceva paura perché vedevi ti stesso.


 

martedì 9 agosto 2016

Amy Foster

Amy Foster, J. Conrad

Un racconto breve, troppo breve, sessanta pagine appena, nitide ed essenziali, che raccontano la storia di Yanco, vittima di un naufragio, straniero venuto dal mare, uccello preso in trappola, emarginato e guardato con sospetto dalla comunità che popola le coste di Eastbay.
E di Amy Foster una ragazza semplice, abulica, silenziosa che con un gesto di spontanea generosità riuscirà a catturare il suo cuore.
La solitudine straziante, il senso di estraneità, l'incomunicabilità linguistica e affettiva, il sentirsi diversi in una terra lontana e ostile tra persone che ti guarderanno sempre con sospetto, considerandoti diverso, il pazzo del villaggio, soltanto perché non capiscono la tua esuberante vitalità, che si esprime nel ballo sfrenato o in un canto d'amore. Amy e Janco, una storia d'amore.
Ma a volte non basta neppure l'amore a superare barriere altissime e impenetrabili. E accade l'impensabile, una disperata richiesta d'aiuto formulata in una lingua sconosciuta riesce a far fuggire via Amy terrorizzata, perché non riesce più a capire quell'uomo che ama e ciò che non si comprende fa paura. L'estraneo, il diverso, ciò che è lontano da noi fa paura.
Una storia che non è mai stata così attuale.
Da questo breve racconto è stato tratto il bel film "lo straniero che venne dal mare", che riesce a rappresentare meglio ciò che nelle pagine è appena delineato.




 

giovedì 4 agosto 2016

Il delta di Venere

Quando l'eros si mescola alla fantasia più sfrenata e irriverente strizzando ogni tanto l'occhio alla poesia nascono racconti appassionati e sensuali, dove protagonista assoluto è il sesso nelle sue varie forme, senza alcun sentimentalismo o pudore.

"Il sesso non prospera nella monotonia. Senza sentimento, invenzioni, stati d'animo, non ci sono sorprese a letto. Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all'estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, di vino."

"Solo il battito unito del sesso e del cuore può creare l'estasi"



(Il delta di venere, Anaïs Nin)

martedì 2 agosto 2016

Festa mobile

Romanzo rimasto incompiuto che racconta la città più amata, l'avventura della scrittura, gli esordi, le corse, gli amici scrittori, le bevute, gli anni giovanili quando si era poveri e felici, una Parigi incantevole, una grandiosa e caleidoscopica festa mobile velata di malinconia.
 
"Questo libro contiene materiale dalle remises della mia memoria e del mio cuore. Anche se la prima è stata manomessa e il secondo non esiste."
 
"Ti ho visto, bellezza, e adesso tu mi appartieni chiunque sia che stai aspettando e anche non dovessi vederti più, pensavo. Tu mi appartieni e tutta Parigi mi appartiene e io appartengo a questo quaderno e a questa matita".
(Festa mobile, Hemingway)
 
 

mercoledì 13 luglio 2016

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A volo d'angelo sul mondo

"Tutte le luci sono accese in un arcobaleno di colori quasi accecante, mi godo ogni minuto degli ultimi tre pezzi in scaletta. All'ultimo accordo, guidato da un irrefrenabile impulso, mi svesto della mia appendice sonora, faccio qualche passo e mi butto a volo d'angelo sulle prime file.
Atterro su decine di mani che attutiscono la caduta e mi lascio trasportare come una nuvola dal vento. Ed è lì che voglio restare, per sempre."

(Apnea, Lorenzo Amurri)


domenica 10 luglio 2016

Il posto

Il posto, Annie Ernaux

Questo libricino l'ho letto in due ore, un centinaio di pagine, una scrittura scarna, asciutta, sobria, essenziale, dove ogni parola diventa preziosa e ha un proprio peso specifico, dove nulla è superfluo o ridondante. La scrittrice va a ritroso nel tempo recuperando ricordi, brandelli di storia familiare, al centro della narrazione vi è la figura del padre, protagonista assoluto, un uomo semplice e modesto, di umili origini, forte e dignitoso, di poche parole perché forse l'amore più tenace non ha bisogno di tante parole complicate, ma è fatto di gesti quotidiani, spontanei, privi di clamore, che giorno dopo giorno formano la vita intera, come quando ti portava a scuola in bici, ricordi? Un libro che vuole riannodare i fili di un legame spezzato, rendere omaggio alla sua memoria. Un libro tenero e malinconico, a fine lettura avevo gli occhi lucidi perché è stato inevitabile pensare a mio padre e a tutte quelle parole non dette, rimaste mute, aggrovigliate dentro nel profondo.

"Volevo dire, scrivere riguardo a mio padre, alla sua vita, e a questa distanza che si è creata durante l'adolescenza tra lui e me. Una distanza di classe, ma particolare, che non ha nome. Come dell'amore separato."

"Semplicemente perché queste parole e frasi dicono i limiti e il colore del mondo in cui visse mio padre, in cui anch'io ho vissuto. E non si usava mai una parola per un'altra".

"Mi portava da casa a scuola sulla sua bicicletta.
Traghettatore tra le due sponde, con la pioggia e con il sole."

 

giovedì 23 giugno 2016

La sarta di Dachau

La sarta di Dachau, Mary Chamberlain

Sono solo una ragazza.
Qui ci sono freddo e paura.
Ma io ho un sogno
e nessuno me lo può strappare.

Ada Vaughan modiste, abiti perfetti che fasciano un corpo snello, rossetto e ticchettio veloce, sognatrice instancabile. Suor Clara sepolta in un abito logoro e informe, che vive e respira la morte intorno e dentro di lei, Ava Gordon incantevole e seducente, nel suo abito blu aperto sulla schiena, una nuvola di chiffon azzurro, una sigaretta tra le labbra e un White lady da assaporare lentamente. Una donna poliedrica, dalle mille sfaccettature, una donna che ha sofferto troppo e per questo pericolosa.
Questo romanzo racconta la sua storia.
I sogni, il coraggio, la tenacia di una giovane e ambiziosa sarta inglese che vuole allontanarsi dalla miseria e dallo squallore che ti si attacca addosso come un odore malsano e farsi strada nel mondo, diventare qualcuno, una stilista famosa e di successo. Bella e determinata, capace di creare abiti incantevoli come per magia. Eppure dal mondo della sartoria, degli abiti eleganti, della seta preziosa, si troverà suo malgrado catapultata in mezzo all'orrore della seconda guerra mondiale e della prigionia. La trama è avvincente, questo libro ti incolla alle pagine lasciandoti col fiato sospeso e l'ansia di sapere come andrà a finire. Lo stile è semplice, fluido, scorrevole.
La prima parte mi è piaciuta molto, la storia della giovane Ada, una ragazza determinata, piena di sogni, speranze, ma saranno proprio i sogni, la sua ingenuità e la fiducia malriposta a gettarla nel baratro. E ancora il suo coraggio tra macerie, bombardamenti e cadaveri, la lotta faticosa per la sopravvivenza, il duro lavoro, lei una ragazza stremata, ridotta pelle e ossa che riesce a creare abiti meravigliosi nella prigione di Dachau tra schiaffi e stenti. E' questo il solo modo che ha per sentirsi ancora un essere umano, riuscire a plasmare da mediocri scampoli di stoffa abiti da sogno per donne algide e perfide, le compagne dei comandanti del campo, le loro amiche e perfino un abito nero con una rosa rossa per una signora gentile, che le rivolge la parola, le fa i complimenti, sembra vedere in lei per la prima volta un essere umano. Eppure...
La seconda parte descrive il faticoso ritorno alla vita, l'agognata salvezza dopo tanto orrore, il rientro in Inghilterra, Ada la sopravvissuta all'internamento, la ragazza fortunata. Questa parte mi ha lasciata un po' perplessa. Anni e anni di sofferenza sembrano non averle insegnato nulla, Ada è ancora lì con i suoi sogni ingenui, continua a fidarsi di bastardi da cui dovrebbe stare alla larga, non riesce a bastare a se stessa, si invischia in affari illeciti, fino al tragico epilogo. Il punto di vista è sempre quello della protagonista, il lettore scopre la verità con lei poco a poco ed è questo che avvince e inchioda alla pagina, sei lì con lei incredulo e sgomento, sperando fino alla fine in un miracolo, che quella giostra impazzita di dolore e malvagità si fermi e che ci sia almeno un uomo degno di questo nome, un uomo di cui fidarsi. E invece menzogne, inganni, illusioni infrante, sogni spezzati e calpestati, uomini nauseanti, personaggi rivoltanti e meschini. E quando tramonta anche l'ultima flebile speranza e la verità distorta trionfa su tutto non rimane alcun appiglio, se non sprofondare nel nero abisso. Ada una eroina tragica vittima dei propri sogni impossibili e di un mondo senz'anima.

"Ecco che cosa facevano quegli avvocati, pensò Ada : mostravano i fatti fuori dal loro contesto, facendoli pendere da una parte sola come un quadro appeso storto sul muro, o distorcendoli come nello specchio deformante di un luna park."

martedì 21 giugno 2016

Dopo di te

Dopo di te (Jojo Moyes)

"Non si sa mai cosa può succedere quando si cade da una grande altezza."

Non mi convinceva molto l'idea di un sequel, soprattutto se il primo libro (Io prima di te) è stato emozionante, coinvolgente e perfetto con quel finale tremendo ma risolutivo, si rischia sempre di perdere qualcosa, di rimanere delusi. Tuttavia dopo averlo visto in libreria non ho resistito e l'ho acquistato.
Questo libro si legge in poco tempo, è scritto con ironia e levità, senza toni melodrammatici, va letto tuttavia dimenticando quello che si è provato leggendo l'altro. Non accadano miracoli, Will non c'è più, ha lasciato in quanti gli hanno voluto bene una scia di dolore che non va via.
Sono passati 18 lunghi mesi, ritroviamo una Lou cresciuta, sommersa dal dolore come una lenta e inesorabile marea, ora vive da sola, lavora in un anonimo bar vicino all'aeroporto, ha messo la sua vita in standby, non ha alcun progetto per il futuro, perché il dolore è forte e nulla sembra poter essere più come prima. Però le cose possono cambiare, con incontri inaspettati e sconvolgenti, una ragazzina ribelle di sedici anni che ti piomba in casa all'improvviso (Lily),un affascinante paramedico (Sam) che ti salva letteralmente la vita quando scopri che no, non sai volare dai tetti. A poco a poco nonostante la sofferenza per la perdita subita, Lou sente il bisogno di tornare a sentirsi viva, di ridere, ballare, amare. Un istinto vitale che ti fa andare avanti, che inizialmente è pura sopravvivenza a giorni che si succedono tutti uguali e poi diventa di nuovo vita, meravigliosa vita. Nell'insieme questo libro mi è piaciuto perché racconta il lento e faticoso ritorno alla vita di una giovane donna, come riuscire a superare la perdita della persona amata, come imparare a lasciarla andare, senza sentirsi in colpa se tu sei viva e lui no, se malgrado la sofferenza che hai nel cuore vuoi tornare a vivere davvero, assaporando ogni singolo istante, anche ballando tutta la notte spegnendo per una volta il cervello, senza porsi troppe domande. E soprattutto Lou si innamorerà di nuovo di un uomo solido, concreto, sui cui può contare sempre e capirà che questa volta lei può essere abbastanza, un ottimo motivo per restare. Una lettura piacevole, scorrevole, una scrittura semplice, ironica, lineare, leggera, senza troppe pretese, una storia che va letta se siamo curiosi di sapere cosa è successo dopo, dimenticando l'atmosfera del primo libro perché quelle emozioni lì non torneranno, sono evaporate via con Will di cui talvolta si respira ancora l'evanescente presenza tra le pagine.
Nota negativa: ho trovato la trama un po' inverosimile e il finale deludente, dopo innumerevoli peripezie mi aspettavo un epilogo diverso.

"Qual è stata la parte più difficile ?"chiese.
"Scusi?"
"Nel lavoro con Will Traynor. Mi sembra di capire che è stata una sfida piuttosto impegnativa.
Esitai. Nella stanza d'un tratto calò il silenzio. "Lasciarlo andare "dissi. E, inaspettatamente, mi trovai a dover ricacciare indietro le lacrime.



martedì 14 giugno 2016

Libertà


Libertà, Franzen

"Tu sei brava a raccontare storie, perché non gli racconti una storia?"

Una donna è seduta sui gradini di una veranda, rannicchiata, immobile, a testa bassa. Un uomo arrabbiato le urla di andare via, non intende infrangere la regola del silenzio e dell'isolamento che lo protegge da tutto il dolore che c'è là fuori. Fa molto freddo, tra loro una porta, il buio, una casa su un lago immerso nella natura, anni e anni di amore, rabbia, silenzi e ora attesa. Alla fine il mondo è arrivato con il suo bagaglio di ricordi, sofferenza, vita da vivere adesso, prima che sia troppo tardi. Un uomo e una donna , Patty e Walter Berglund, il giorno in cui si sono incontrati è stato il giorno migliore e peggiore della loro vita. E poi i loro figli, Joey indipendente e testardo, Jessica matura e responsabile e tutti gli altri personaggi Connie tenace e fragile nel suo amore che è quasi una dipendenza, l'unica cosa di cui le importi davvero, Lalitha bella e appassionata, Richard il musicista sregolato che suona seguendo il ritmo delle proprie passioni.
Al centro del romanzo c'è ancora una volta la famiglia, tema prediletto da Franzen, le sue complesse e perverse dinamiche, la crisi di una coppia, il burrascoso rapporto tra genitori e figli, il tradimento, la gelosia, l'amicizia di un'intera vita. E ancora la lotta per la difesa dell'ambiente, la salvaguardia delle specie in via di estinzione, la tutela utopica di un pianeta super affollato che si sta autodistruggendo, la politica corrotta e bugiarda, la sporca guerra in Iraq, l'America che si risveglia bruscamente dal suo sogno di libertà mentre le torri bruciano. Cos'è la libertà? Vivere al meglio la propria vita? Realizzare i propri sogni? Distruggersi? Libertà di farsi o fare del male? di scendere o non scendere a compromessi? Qual è il prezzo che paghiamo per la nostra libertà? Siamo poi davvero liberi o legati da invisibili catene ideologiche, politiche, affettive? Liberi e prigionieri di noi stessi, dei nostri difetti, ossessioni, nevrosi.
Al centro di tutto questo un uomo e una donna, Patty campionessa di pallacanestro al college, madre affettuosa e apparentemente appagata dal suo ruolo, competitiva, ironica, insoddisfatta, depressa, una donna che ha commesso molti errori. Walter un uomo buono, gentile, un puro di cuore, che da sempre ama e difende la natura, la sua rabbia, la sua solitudine, i suoi ideali, un don Chisciotte senza armatura e dalle guance rosee.
Una scrittura impeccabile, avvincente, diretta, a tratti ironica, che conquista e appassiona. Franzen non delude il lettore mettendo in scena una storia familiare d'amore, ferite inferte vicendevolmente e voglia di ritrovarsi malgrado il tempo abbia lasciato le sue cicatrici. Una storia che è anche la nostra storia.

“ Tutto gira intorno allo stesso problema, le libertà personali, – disse Walter. – La gente è venuta in questo paese per cercare soldi o libertà. Se non hai soldi, ti aggrappi ancora piú rabbiosamente alle tue libertà. Anche se il fumo ti uccide, anche se non puoi permetterti di nutrire i tuoi figli, anche se i tuoi figli vengono ammazzati da un pazzo armato di fucile d’assalto. Sarai anche povero, ma l’unica cosa che nessuno ti potrà mai togliere è la libertà di sputtanarti la vita come ti pare e piace.”

"E allora smise di guardare i suoi occhi e cominciò a guardarvi dentro , ricambiandone lo sguardo prima che fosse troppo tardi, prima che quel legame tra la vita e l'aldilà andasse perduto, e le mostrò tutta l'abiezione che aveva dentro, tutto l'odio moltiplicato di duemila notti solitarie, mentre entrambi erano ancora in contatto con il vuoto in cui la somma di tutto ciò che avevano detto e fatto, di tutto il dolore che avevano inflitto, di tutte le gioie che avevano condiviso, pesava meno di una minuscola piuma nel vento.
-Sono io, disse lei. Solo io.
-Lo so , disse lui e la baciò."


lunedì 6 giugno 2016

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"Vorrei portarti con me.
Resisteresti poco, al freddo senza l’afa estiva ma sarebbe un’esperienza diversa, no? Poi ti riporterei indietro, come è giusto che sia. Ma per un po’ ti porterei con me.
Ti racconterei le cose che non avrò il tempo di finire di dirti. Solo per quello, per trovare il modo che duri di più. Ti farei guardare il mare freddo, così apprezzeresti il tuo. Ti farei una foto e la lascerei nel cassetto per le volte che avrò voglia di guardarti con i capelli scompigliati e il sorriso accennato.
Mangeremmo e dormiremmo poco perché non ci sarebbe il tempo; tutto quello che vorresti cercherei di dartelo. Ti farei esprimere un desiderio e lo esaudirei. Solo uno, perché tre non sarei capace.
Ti farei almeno un paio di domande scomode, perché così ti fideresti di me; perché così, se ti telefonassi almeno una volta, sussulteresti un pochino e quando deciderai di andare via, ci sarà almeno una volta in cui vorrai tornare.
Vorrei che ti fossi innamorata di me, per chiedermi di restare. Ma forse tu impieghi tanto per innamorarti e allora è per questo che vorrei portarti con me: per farti innamorare.
Verresti?
No, non verrei. Perché dovrei?
Non credo che mi riporteresti indietro, non voglio che tu faccia di tutto per me. Il suono è simile a quello della tua voce, non della mia: vorrei che lo capissi e te ne rendessi conto. Le tue parole sono esigenti e mi si stringono al cuore. L’unisono tra di noi non funziona. Il moto di due anime in una non esiste. Non vorrei foto di questo momento, né motivi per lasciare che non finisca. È doloroso da ricordare. Cosa c’è di poetico in una sensazione moritura? Se lo volessi, non farei in modo che arrivi la fine. Perché è questo il punto: io sto facendo in modo che l’ultimo secondo di tutto accada, capisci? Permettimi di dire di no. Permettimi di non esserti accanto. Permettimi di decidere di non esserci come vuoi tu.
Pensare che sia per due, per renderti i pensieri più facili; lo sai che mi stai raccontando una bugia mentre mi chiedi ‘verresti?‘
Certo che lo sai.
Venire? Cosa potrebbe dire? Cosa saremmo?
La mia automobile scivola da sola verso casa mentre rileggo le tue parole. Cerco di trovare interpretazione, tentando di valicare le frasi così come sono – cunei – e trovarci l’intenzione inespressa di dire dell’altro. Cerco titubanze, virgole, mi soffermo sui dettagli. Ma io di dettagli non capisco nulla. Non so come sono fatti, in verità.
Potrei rimanere attaccato alla balaustra a due mani, mangiare tutte le merendine della macchinetta accanto all’ingresso del gate pur di restare a guardare il fiume da un lato e la strada dall’altro.
Fissare l’asfalto fino a farmelo entrare negli occhi e bucarmeli per non vedere la via di casa: questo dovrebbe accadere affinché io vada via da qui e mi rassegni alle tue parole. Credevo di non essere capace di rimanere in silenzio a guardare. Sono solito pensare di me cose molto positive: grande cuore, grande testa, spirito d’iniziativa, forte indipendenza; pensavo di non essere capace di restare a guardare inerme.
È una di quelle circostanze che non si addicono agli spiriti vincenti. È come ammettere di avere un buco scoperto e lasciare che qualcuno ci infili un dito dentro, stracciando carne e tessuti, graffiando vasi, fino a tingere di rosso i vestiti e non poter, così, celare l’affanno.
Eppure io sono un tipo sveglio, non mi lascio abbindolare facilmente; ho sempre saputo tenerle a distanza e prosciugarne il necessario. Ecco, sì: non sono mai andato al di là del necessario con quasi nulla. Solo di foglie d’albero ne ho troppe, perché ne faccio collezione.
Ne ho mangiate molte di merendine della macchinetta ma adesso, alla guida, con le mani poco convinte e smaniose, non ne ricordo il sapore singolo e anche gli incartamenti mi paiono tutti uguali. Non posso distinguere il caramello dal fiordilatte e questi dal cioccolato: ho un solo amalgama appiccicaticcio nella bocca.
Mi sembra strano sentirmi così sopra le righe. Mi sembra strano, ancora, sentire quegli occhi addosso. I tuoi e i miei insieme, che erano altro, lo sono stato lo so, lungo il fiume e poi sono irrimediabilmente scomparsi dopo un battito di ciglia. Un movimento fisiologico ne ha decretato la fine ed io lo vado cercando, adesso, mentre mi dirigo verso casa, seguo la scia per provare a seguirti.
Che pena. Sperare, intendo. È la pena di chi non sa rinunciare.
Non so raccontare una volta in cui tu mi avevi detto di essere felice, in effetti. E nemmeno una volta in cui te l’ho detto io, d’altronde. Non credo minimamente di esserti venuto incontro per davvero, con foga ed eccitazione, per abbracciarti di sorpresa.
Non mi viene in mente la prima volta che t’ho visto. So quand’è, con precisione, perché io ero al bancone di un bar con una ragazza che mi piaceva molto. E che ho abbracciato con slancio e voluto tante di quelle volte da essermene invaghito e addirittura innamorato a un certo punto.
Ricordo d’averti preso in consegna nella mia mente, ma non d’averti visto. Non so nemmeno com’eri vestita. So solo che ti sei passata una mano tra i capelli, il gesto più comune che si possa recuperare nella memoria. Eppure io l’ho registrato. In realtà potrebbe essere falso. Potrei aver traslato la mano di un altro sulla tua e adesso cucirti addosso un movimento che non t’è appartenuto.
Avevi un braccialetto che si compra al mare, di quelli di cotone colorato, che dicono porti fortuna e poi, un giorno, si spezzi per far avverare un desiderio. Di quelli che hanno tutti, eccetto me, poiché io non li sopporto: rimangono bagnati per ore, dopo la doccia, ed umidi sulla pelle.
Mi sono chiesto quale potesse essere il tuo desiderio. È la prima cosa su cui mi sono interrogato guardandoti quella volta e pensandoti i giorni successivi. Se tu avessi un desiderio sopra tutti, se fosse legato a quel braccialetto o a un sentimento. Ho sentito il bisogno di saperlo, come se fosse il tuo nome.
Avevi anche un anello costoso. Sottile, ma prezioso. Un anello facile, che non sorprende se lo regali. Non so perché l’avessi notato. Niente a che vedere coi tuoi occhi, mi rendo conto. A chiunque avessi chiesto di te nei giorni seguenti, continuavo a dire di non avere in mente i tuoi occhi: eppure sono meravigliosi. Non mi viene un’altra parola in mente. Dovrei inventarla ma non sono capace, tu lo sai. Posso fartelo intuire ma non so spiegarlo.
Non capisco perché non me li sono incollati addosso. Avevo notato di te solo i dettagli peggiori fra tutti gli altri; ciononostante ti cercavo già il giorno dopo. Mentre passeggiavo sotto casa tua, nelle sere a seguire, speravo di notare i tuoi movimenti alla finestra oppure con chi saresti uscita. Desideravo vederti da sola, che, una volta sull’uscio, ti guardassi intorno e vedendomi rimanessi piacevolmente compiaciuta.
Avrei voluto essere io nei tuoi sogni, a ispirare i tuoi sonni e farti felice. Ma lo so di non potere. Eppure questa consapevolezza non m’ha fatto smettere di volerti portare via con me.
Non capisco. Non capisco cosa vuoi dire. Mi pare assurdo che tu pensi di poter amarmi. Quanto abbiamo passato insieme? Non capisco perché tu voglia portarmi con te. Non sai nulla.
Ti ho rubato anche un sorriso triste quella sera. È andata così: io ti ho guardata per un momento, mentre ti passavi le mani nei capelli, e stavi sorridendo, ma non alla persona con cui parlavi. Sorridevi, rivolta verso il basso come per un pensiero veloce da far svanire. E, rivolto di nuovo il tuo volto verso l’alto, ti ho sorpresa triste, come se quel pensiero felice andasse celato.
Sorridi solo quando qualcuno o qualcosa ti fa ridere, ma non dovresti. A me piace, ma non dovresti. La felicità pare si auguri a tinte pastello e così mi tocca fare, con te, adesso: cercare di farti togliere dal viso i tuoi sorrisi tristi, come ho sempre fatto, d’altronde.
Potremmo essere in giro a passeggiare in una città qualunque, col caldo, mano nella mano e io dovrei accorgermi del tuo sorriso triste e allora darti un bacio o prenderti il viso e farti fare una smorfia che mimi la gioia. Sorrideresti e il mio desiderio di felicità per te sarebbe compiuto. La verità è che i tuoi sorrisi tristi a me piacciono, perché a te stanno bene, perché li sai trattare, li sai adoperare e mettere in fila senza che rompano le righe. Se lo facessi io sarei penoso.
Questo è il punto: faccio pensieri e desidero cose nuove. Non importa cosa so. Per la prima volta, non importa.
Non so da dove vengono o come si chiamino e non potrei spiegarle a nessuno eccetto te, con un po’ di tempo, con un po’ di pause, con quei silenzi che non saprei riempire, all’inizio. Ma potrei imparare.
Sono un pessimo romantico, lo ammetto. È per questo che non sono riuscito a farti innamorare. Lo so che è così. Ho immaginato che potessi bastare io, con i miei modi normali e l’aria spavalda. Fintamente sicura. E del tempo, per spiegarti quello che manca, per farti vedere che ne sarebbe valsa la pena, alla fine.
Ho provato, che dire, a farmi scegliere. Ho sperato. Dovevo. Era una possibilità, capisci? Come fare a metterla via, a dimenticarla. Forse aspettando, forse non era il momento. Forse io e te abbiamo un altro tempo. Sono sicuro che con qualche giorno in più, ora in più, ti avrei portato via con me. È l’idea che almeno una volta succeda, no? Hai presente? Quell’idea invasiva e sotterranea che si inabissa o si palesa e lo fa una volta sola per tutte e se l’avverti non puoi far finta di niente se hai un po’ di senno.
Come un sibilo fluttuante e sinuoso.
A me è successo questo: non sono riuscito a fare finta di niente, non volevo, in fondo. Non potevo far altro che cercare di portarti con me, dal profondo, per egoismo quasi, per farmi stare bene. Anche se sapevo di non potere. Anche se era rischioso. Anche se tu non vuoi, anche se, infine, la tua felicità non dipende da me.
E non posso fare a meno di chiedertelo di nuovo. Solo per essere sicuro.
Verresti?"

(Calvino)

mercoledì 1 giugno 2016

La mia notte

La mia notte… che non vorrei più… La mia notte è come un grande cuore che pulsa. Sono le tre e trenta del mattino. La mia notte è senza luna. La mia notte ha grandi occhi che guardano fissi una luce grigia che filtra dalle finestre. La mia notte piange e il cuscino diventa umido e freddo. La mia notte è lunga e sembra tesa verso una fine incerta. La mia notte mi precipita nella tua assenza. Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino al mio, il tuo respiro, il tuo odore. La mia notte mi risponde: vuoto; la mia notte mi dà freddo e solitudine. Cerco un punto di contatto: la tua pelle. Dove sei? Dove sei? Mi giro da tutte le parti, il cuscino umido, la mia guancia vi si appiccica, i capelli bagnati contro le tempie. Non è possibile che tu non sia qui. La mia mente vaga, i miei pensieri vanno, vengono e si affollano, il mio corpo non può comprendere. Il mio corpo ti vorrebbe. Il mio corpo, quest'area mutilata, vorrebbe per un attimo dimenticarsi nel tuo calore, il mio corpo reclama qualche ora di serenità. La mia notte è un cuore ridotto a uno straccio. La mia notte sa che mi piacerebbe guardarti, seguire con le mani ogni curva del tuo corpo, riconoscere il tuo viso e accarezzarlo. La mia notte mi soffoca per la tua mancanza. La mia notte palpita d'amore, quello che cerco di arginare ma che palpita nella penombra, in ogni mia fibra. La mia notte vorrebbe chiamarti ma non ha voce. Eppure vorrebbe chiamarti e trovarti e stringersi a te per un attimo e dimenticare questo tempo che massacra. Il mio corpo non può comprendere. Ha bisogno di te quanto me, può darsi che in fondo, io e il mio corpo, formiamo un tutt'uno. Il mio corpo ha bisogno di te, spesso mi hai quasi guarita. La mia notte si scava fino a non sentire più la carne e il sentimento diventa più forte, più acuto, privo della sostanza materiale. La mia notte mi brucia d'amore.
Sono le quattro e trenta del mattino.
La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest'evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me. Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero. La mia notte non porta consiglio. La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti. La mia notte si intristisce e si perde. La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori. La mia notte è lunga, lunga, lunga. La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta. La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte. Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno. La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo. Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina disordine, è proibito. La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco. La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa. La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza. La mia notte ti aspetta. Il mio corpo ti attende. La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell'incavo della mia spalla e che io riposassi nell'incavo della tua. La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere. La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio. La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo. La mia notte diventerebbe dolce. La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te. La mia notte è lunga, lunga, lunga. Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui e mi uccide. La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi. Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra. Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno. Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio. La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile. Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole. Il tuo colore.
Fra poco si leverà il sole.
Città del Messico,
12 settembre 1939

(Frida Kahlo)

giovedì 12 maggio 2016

Le correzioni

Le correzioni, Franzen

"Il fascino dell’impossibile, la sicurezza delle cose senza futuro".

Dimenticate Purity perché questo libro è tutta un'altra storia, vera, reale, dolorosa, di quelle che fanno male, da leggere tutta d'un fiato fino all'alba. Quest'uomo sa scrivere divinamente bene, quest'uomo arriva dove nessuno mai, riaprendo vecchie ferite, svegliando ricordi sepolti chissà dove, quest'uomo è uno Scrittore perfidamente geniale nel mettere a nudo le contraddizioni, le nevrosi, le crepe che si aprono nel nucleo familiare, nella coppia, nell'amore e diventano poi voragini. I Lambert, una famiglia del Midwest. Una famiglia piena di fratture e ferite, sepolte sotto strati di polvere e tempo. Ancora una volta al centro della narrazione la famiglia, questa gigantesca amata odiata trappola generatrice di insoddisfazioni e piccole grandi ossessioni. Alfred, ingegnere ferroviario in pensione dedito al lavoro e al dovere, rigido, testardo e inflessibile, ora un anziano confuso, malato di Parkinson e bisognoso di tutto. Enid una moglie e una madre che deve correggere ogni cosa perché lei ha ragione e gli altri torto, Enid che "doveva dirgli tutto questo, anche se lui non la ascoltava , doveva dirglielo", a qualunque costo, Enid così sola e desiderosa d'amore. E poi i figli intrappolati in gabbie senza uscita, Gary affermato professionista, una bella e ricca famiglia e una depressione latente, Chip insegnante problematico licenziato per comportamento scorretto, Denise chef stimata con una vita sentimentale incasinata. Tutti cercano di correggere fino alla fine qualche aspetto della propria vita, che sia un comportamento, un pensiero, un matrimonio, una sceneggiatura, la correzione come insopprimibile esigenza vitale, intramontabile speranza.
Non li ho trovati "odiosi" questi personaggi ma umani, deboli, fragili, a volte teneramente insopportabili, un po' codardi, spaventati dalla malattia, dalle responsabilità, da genitori che tornano bambini. Ho amato Chip e le sue lacrime, quando finalmente ritrova se stesso e le proprie radici, ho odiato Gary e il suo freddo e calcolato menefreghismo, cinico quasi fosse un automa. Come non pensare ai parenti serpenti di Monicelli di fronte ad alcuni fulminanti dialoghi? Mi è piaciuto molto il terzo capitolo "in mare", le disavventure tragicomiche di una coppia di anziani in crociera autunnale tra insonnia e deliri notturni. Ho pianto sul finale del libro toccante e amaro, che ci lascia attoniti e impotenti, quel finale fa male, molto male. Credo che il valore di Franzen sia racchiuso tutto in questo libro, una scrittura impeccabile, personaggi vivi, descrizioni perfette, una analisi psicologica profonda e attenta. I Lambert, una famiglia come tante, normale e problematica, uguale e diversa, una famiglia che a suo modo ama, odia, sopravvive  nutrendosi di questo amore che salva e avvelena.
I Lambert siamo noi.

"Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia(...) Le tre del pomeriggio erano un'ora pericolosa nei sobborghi gerontocratici di St.Jude".

"Nel complesso aveva torto su così tante cose che Enid non mancò mai di andarlo a trovare. Doveva dirgli, finchè era in tempo, quanto lui avesse avuto torto e quanto lei avesse avuto ragione.
Aveva avuto torto a non amarla di più, torto a non coccolarla e a non fare sesso con lei in ogni occasione, torto a non fidarsi del suo intuito finanziario, torto a trascorrere così tanto tempo a lavoro e così poco con i figli, torto a essere così negativo e pessimista, torto a fuggire dalla vita, torto ad aver continuato a dire no invece che sì: doveva dirgli tutto questo, ogni giorno. Anche se lui non la ascoltava doveva dirglielo."



 

martedì 26 aprile 2016

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Perché ti possiedo e no
perché ti penso
perché la notte ha gli occhi aperti
perché la notte passa e dico amore
Perché sei venuta a riprendere la tua immagine
e sei migliore di tutte le tue immagini
Perché sei bella dai piedi all'anima
perché sei buona dall'anima a me
Perché ti nascondi dolce nell'orgoglio
piccola e dolce
cuore corazza
Perché sei mia
perché non sei mia
perché ti guardo e muoio
e peggio ancora muoio
se non ti guardo amore
Se non ti guardo
perché tu sempre esisti dovunque
ma esisti meglio dove ti amo
perché la tua bocca è sangue
e hai freddo
devo amarti amore
devo amarti
anche se questa ferita brucia come due
anche se ti cerco e non ti trovo
e anche se la notte passa
e io ti possiedo
e no.

(M. Benedetti)

domenica 24 aprile 2016

Io leggo perchè



 Sono una stramba lettrice imperfetta, leggo da sempre, i miei migliori amici sono i libri, straordinari respiri di carta. Leggo quando la realtà mi soffoca, le pareti della stanza si dilatano e mi inghiottono, leggo quando ho fame di parole, quando mi sento sola, quando ho bisogno di un soffio di aria pura. Sono malinconica, solitaria, lunatica, sensibile, incasinata e rompina quanto basta, coraggiosa e spaventata, fragile e forte, inquieta e smarrita. Amo il mare, non so cosa sarebbe di me in una città senza onde, mi calma e rasserena, amo la poesia, conosco la nostalgia e tutto il sapore amaro degli addii. Ne ho sulla pelle i segni e nell'anima le cicatrici. Sono un disastro quando guido, non so parcheggiare, ho un pessimo senso dell'orientamento, mi perdo là fuori e non sempre mi trovo. In passato ho alzato muri e forse lo faccio ancora, muri contro i quali si sono infranti amori, amici, sogni, illusioni. Per paura, perché so cosa si prova quando tutto va in frantumi, perché nessuno ha avuto il coraggio di abbatterli ma ha preferito voltarsi e tornare indietro. E vorrei che per una volta, una soltanto, qualcuno provasse a restare. Ho vissuto un anno duro, ho sentito la morte non più cosa estranea degli altri, ma qui intorno a me, vicina e feroce, come un animale mostruoso che ringhia, nascosto là fuori nella notte, come una ladra scaltra che ti porta via la cosa più preziosa e ho avuto paura. Ma so anche che l'amore, pelle occhi mani che si stringono, respiri che si mescolano, può darle scacco, o forse no, ma è bello crederlo. So che il tempo orologio corre veloce, rallenta, galoppa, trasforma e cancella, seminando sorrisi lacrime rughe che un attimo prima non c'erano.
Vorrei sapere dove va chi parte e se c'è un Cielo lassù, un parco giochi delle anime, dove si può fare finalmente tutto quello che si vuole davvero, dove chi non sa nuotare nuota, chi non sa volare vola, dove un tranquillo impiegato è una rockstar scatenata e tutti danzano liberi come farfalle pazze, dove mio padre è un chimico geniale che fa strambi esperimenti con Dio. O forse è un cielo capovolto, vuoto e desolato come un guscio di noce. Leggo nella mia stanza, la mia finestra sul mondo, la mia bella e terribile, angusta e rassicurante finestra sull'immenso mondo.
 
A volte mi sento come una lampadina fulminata o un oggetto nel cassetto sbagliato. E leggendo poco a poco torno nel cassetto giusto. Vorrei essere un libro di quelli che leggi fino all'alba, che non vorresti mai abbandonare, che accarezzi piano piano per non rovinare, di quelli che non si dimenticano, come un arcobaleno improvviso dopo la pioggia, non uno di quelli che dopo poche pagine vorresti buttare dalla finestra, ma di quelli che leggi e rileggi nelle notti insonni, che sfiori sorridendo con gli occhi stanchi, e ti lascia dentro qualcosa di bello o buffo, che ti strappa un sorriso e un pensiero, quel libro che non vorresti mai smettere di leggere, perché per qualche strana misteriosa ragione fa parte di te.