Uomini e no ,Elio Vittorini
”Che essere meraviglioso è l’uomo quando è uomo”
Questo romanzo fu pubblicato nel 1945, mentre imperversava
la guerra con le sue atrocità.
Quando lo stesso autore era braccato dal regime fascista,
col fiato sul collo, pienamente coinvolto nella lotta per la libertà.
Ha un linguaggio semplice e uno stile realistico, ermetico, dialogico, ma anche introspettivo nel
delineare le figure psicologiche dei personaggi, le loro controverse passioni.
Le frasi sono brevi,
frammentate, numerose le ripetizioni.
In alcuni capitoli scritti in corsivo, interviene l’autore
stesso, esprimendo il suo pensiero, la sua voce, fornendo una chiave di lettura
simbolica e psicologica degli eventi.
Questo romanzo è considerato “il libro della resistenza,”
della lotta partigiana ma non è solo questo, è anche una analisi profonda e
drammatica della natura umana.
Il protagonista Enne2 è un partigiano, capitano dei gap a Milano, il
libro descrive le azioni del protagonista e dei suoi compagni, ma anche la sua
vita personale, sentimentale, il tormentato rapporto con Berta.
Ci sono scene feroci, spietate, evocate con lucido realismo,
ad ogni attacco segue una violenta repressione da parte delle truppe tedesche e
del regime fascista contro innocenti (l’uccisone dei civili tra cui una bambina ,
il venditore ambulante sbranato dal cane) con poche, essenziali parole viene
descritto l’orrore, la brutalità crudele,
dove non sembra esserci più nulla di umano.
L’offesa all’uomo, perpetrata da altri uomini. Ma sono poi “uomini”
questi esseri mostruosi e malvagi? è in questi momenti che l’autore, ma anche il
lettore si interrogano su cosa significa essere uomo, chi è uomo e chi no? L’uomo
offeso, oppresso, calpestato è uomo, ma chi compie atti di violenza e barbarie contro il proprio simile
cos’è?
Il bene ed il male si annidano entrambi nell’essere umano,
anche la violenza più atroce è commessa da un uomo contro un altro uomo, una
tragica contraddizione. Anche se non c’è più nulla di umano in questo abominio.
Un romanzo intenso, che riflette sul significato stesso della fondamentale lotta per la libertà contro una spietata dittatura, sul
significato del combattere e morire.
Il protagonista è
pieno di dubbi, perché l’atroce violenza non può lasciare indifferenti, inquieto
e tormentato, lotta per la liberazione non solo politica ma anche morale e
intellettuale dell’umanità, scegliendo di combattere e perdersi.
Emblematica la scena finale, quando l’operaio che dovrebbe uccidere
il “nemico” si ferma, e lo risparmia perché vede nei suo occhi la sua stessa
tristezza, vede nell’altro se stesso.
Senza inutile retorica ci mette davanti agli occhi quello
che accomuna l’uomo all’altro uomo la sofferenza, la paura, la morte, e accende
forse una piccola luce di speranza per
il futuro, che deve appartenere a chi verrà dopo, all’umanità tutta, perché
l’orrore non si ripeta di nuovo, affinché
dopo tanta violenza e sangue
versato, l’uomo possa ritrovare la propria dimensione umana, che è
solidarietà, fratellanza, pace.
Questo libro è stato
scritto nel 1944 ma mi sembra che il suo valore sia universale e di fronte alle
numerose atrocità di questi anni temo purtroppo che l’uomo non imparerà mai,
che resterà sempre quello “della pietra e della fionda.” Uomo eroico o mostro
feroce, pronto a sacrificare tutto sull’altare della guerra, dell’odio, della
violenza, dell’interesse, a uccidere tutto ciò che lo rende umano, rinnegando in primo luogo se stesso.
“Questo era il modo
migliore di colpire l'uomo. Colpirlo dove l'uomo era più debole dove aveva
l'infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la costola staccata e il cuore
scoperto. Dov'era più uomo.”
“L’uomo, si dice. E noi pensiamo a
chi cade, a chi è perduto, a chi piange e ha fame, a chi ha freddo, a chi è
ammalato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all’offesa che
gli è fatta, e la dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è offeso, e
che era in lui, per renderlo felice. Questo è l’uomo. Ma l’offesa che cos’è? E’
fatta all’uomo e al mondo. Da chi è fatta? E il sangue che è sparso? La
persecuzione? L’oppressione? Chi è caduto anche si alza. Offeso,
oppresso, anche prende su le catene dai suoi piedi e si arma di esse: è perché
vuol liberarsi, non per vendicarsi. Questo è l’uomo. Ma l’offesa in se stessa?
E’ altro dall’uomo? E’ fuori dall’uomo?”
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