mercoledì 22 aprile 2015

La casa in collina



La casa in collina, Cesare Pavese (1949)

Il protagonista Corrado è un uomo colto, un insegnante solitario e apatico, riflessivo, dubbioso, cerebrale, indifferente alla realtà storica che lo circonda.
La collina è per lui  un rifugio e un riparo, un grembo materno sicuro e protettivo, dove però ben presto irromperà la storia portandolo ad una riflessione lucida e amara sulla guerra, sull’orrore della morte, uguale per tutti, come identico è il sangue versato senza colore o bandiere, una guerra atroce con cui dovrà fare necessariamente i conti, aprendo gli occhi, fino alla  disincantata scoperta che “ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione.” Una sorta “di viaggio attraverso l'inferno, viaggio che costituisce il momento di prova e, insieme, la sola possibilità di purificazione per il protagonista”. Un romanzo fortemente autobiografico, dove la natura acquista una valenza simbolica, riecheggiando l’infanzia e i luoghi della memoria contrapposti all’orrore del presente, una prosa asciutta, essenziale, viva.

“Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.

Ci sono dei giorni in questa nuda campagna che camminando ho un soprassalto: un tronco secco, un nodo d'erba, una schiena di roccia, mi paiono corpi distesi... Io non credo, che possa finire. Ora che ho visto cos'è la guerra, cos'è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.”


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