La casa in collina, Cesare Pavese (1949)
Il protagonista Corrado è un uomo colto, un insegnante
solitario e apatico, riflessivo, dubbioso, cerebrale, indifferente alla realtà
storica che lo circonda.
La collina è per lui
un rifugio e un riparo, un grembo materno sicuro e protettivo, dove però
ben presto irromperà la storia portandolo ad una riflessione lucida e amara
sulla guerra, sull’orrore della morte, uguale per tutti, come identico è il
sangue versato senza colore o bandiere, una guerra atroce con cui dovrà fare
necessariamente i conti, aprendo gli
occhi, fino alla disincantata scoperta
che “ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione.” Una sorta “di
viaggio attraverso l'inferno, viaggio che costituisce il momento di prova e,
insieme, la sola possibilità di purificazione per il protagonista”. Un romanzo
fortemente autobiografico, dove la natura acquista una valenza simbolica,
riecheggiando l’infanzia e i luoghi della memoria contrapposti all’orrore del
presente, una prosa asciutta, essenziale, viva.
“Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini.
Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo
una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che
anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna
placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare
certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati
sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra
quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è
paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca
con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe
differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni
guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede
ragione.
Ci sono dei giorni in questa nuda campagna che camminando ho
un soprassalto: un tronco secco, un nodo d'erba, una schiena di roccia, mi
paiono corpi distesi... Io non credo, che possa finire. Ora che ho visto cos'è
la guerra, cos'è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse,
dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non
saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo
sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è
finita davvero.”
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