Villette, Charlotte Bronte (1853)
Questo è l’ultimo romanzo di Charlotte, lo scrisse dopo aver
perduto le persone che amava, in solitudine, chi scrive è una
sopravvissuta. Questo stato d’animo si ripercuote inevitabilmente nel
libro, l’ombra della sofferenza e della
morte aleggia tra le pagine, così come l’amore.
Qui non c’è la brughiera, la passione tormentata e selvaggia
descritta da Emily in cime tempestose,
ma un semplice collegio femminile. C’è un amore, che non è sensazionale, ma è
fatto di quotidianità, rispetto, affetto sincero, tenerezza.A volte è buffo nella
sua gelosia, strappa un sorriso.
Villette è un città immaginaria del continente, dove la
protagonista Lucy approda in cerca di fortuna. Quando ho iniziato a leggere
questo romanzo non ero molto coinvolta, mi sbagliavo.
Da metà libro in poi la narrazione ha calamitato la mia
attenzione pagina dopo pagina, insomma Charlotte ha colpito ancora. Dirò di più
questo libro è molto più intenso di Jane Eyre, va oltre la storia romantica
della povera fanciulla bruttina salvata dal suo amore.
C’è anche questo, ma non solo.
In questo libro c’è la vita di una donna coraggiosa, che
lotta per restare in piedi, quando ha perso tutto, c’è amore, coraggio,
dolore, sofferenza, solitudine interiore. Una donna che riesce a sopravvivere con
umiltà e semplicità, di fronte alle avversità della vita. Che si rialza in piedi
dopo il naufragio, salvandosi da sola.
Passata la tempesta lei è ancora lì, malgrado tutto. E’ questa
la forza dirompente del libro.
Tra le sorelle Bronte
Charlotte resta la mia preferita e personalmente ritengo che questo sia il suo
capolavoro.
“Villette è insieme luogo di vita e di morte, spazio della
speranza e della perdita, ultima terra dove l’amore poteva realizzarsi(…)
Questa è la rivelazione di Villette, non più soltanto il cerchio
del “ io amo, io soffro” ma la consapevolezza del “Io
scrivo”, e scrivendo cerco di comprendere ciò che è oltre il mio amore, oltre
la mia sofferenza.”
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