mercoledì 22 aprile 2015

Per chi suona la campana


Per chi suona la campana, Ernest Hemingway

Pubblicato nel 1940, questo romanzo è in parte autobiografico, l’autore prese parte alla guerra civile spagnola come corrispondente di guerra nelle file dell’esercito repubblicano.
Robert Jordan il protagonista, l’inglès, l’intellettuale idealista, il volontario americano irregolare, il dinamitardo rivoluzionario, pronto a sacrificare tutto per una giusta causa, deve far saltare in aria un ponte sotto il controllo del nemico, un’impresa disperata.
Tutta la vicenda narrata nel romanzo dura tre giorni, tre giorni che si dilatano a dismisura, il tempo sembra fermarsi.
Il tema che ricorre  in questo romanzo è quello della guerra, della lotta per la libertà, dell’amore intenso e fugace, dell’amicizia, e soprattutto della morte che incombe su tutti i personaggi, compreso Robert, la sua infatti  è una missione suicida e lui lo sa bene.
E poi Maria, giovane e innocente, la Spagna straziata e sanguinante, Pilar coraggiosa e appassionata, El Sordo e tutti gli altri  pronti a sacrificare la loro vita per la “repubblica” e il  bene comune.
Un altro aspetto che accomuna i vari personaggi oltre alla lotta per la libertà è l’amore per la propria terra, descritta sapientemente dall’autore (gli aghi di pino aprono e chiudono il romanzo) terra coperta di polvere e sangue, non  soltanto ameno paesaggio.
 L’orrore della guerra campeggia in primo piano nella sua cruda brutalità al di fuori di ogni idealizzazione eroica, evocato dai rombi degli aerei, mostri meccanici forieri di morte e distruzione, che annientano la quiete silente delle montagne.
Lo stile è coinciso, serrati i dialoghi, poetiche le descrizioni, indimenticabili i molteplici personaggi, si vive e si muore con loro, fino al commovente finale quel cuore, passione e ideale, che batte mentre sorge l’alba.

“Com'erano adesso, ogni difesa era sparita tra loro. Dov'era stata stoffa ruvida tutto era adesso liscio, con una levigatezza e un'elasticità ferma e rotonda, e una lunga freschezza calda – fresco di fuori e caldo di dentro – lunga e lieve e strettamente allacciante, strettamente allacciata, solitaria, svuotante e che dava felicità; giovane e amante, ed ora tutto era liscio e ardente in una solitudine svuotante, stretta, angosciosa, e cosí grande che Robert Jordan sentí di non poterla sopportare più.

Morire era niente e El Sordo non aveva dentro di sé una visione chiara della morte né la temeva.
Ma vivere era l'immagine di un campo di grano che ondeggia al vento sul fianco di una collina. Vivere era un falco nel cielo. Vivere era una giarra di terra piena d'acqua nella polvere della trebbiatura, col grano lanciato in aria e la pula che vola. Vivere era un cavallo tra le cosce e un fucile sotto una gamba e una collina e una valle e un fiume fiancheggiato d'alberi sulle rive, e l'estremo della valle e le colline al di là.
Questo è l'odore che mi piace. Questo è il trifoglio appena tagliato, la salvia calpestata quando uno cavalca dietro un armento, il fumo della legna e delle foglie che bruciano d'autunno. È l'odore della nostalgia, l'odore del fumo dei mucchi di foglie che bruciano l'autunno nelle strade del Missoula. Quale odore preferiresti sentire? L'erba dolce che gl'indiani adoperano nei loro cesti? Il cuoio affumicato? L'odore della terra a primavera dopo la pioggia? L'odore del mare quando uno cammina in mezzo alle ginestre su un promontorio in Galizia? O il vento di terra quando si avvicina a Cuba nell'oscurità: l'odore dei fiori di cactus, di mimosa e delle viti marine? O preferisci l'odore del prosciutto fritto, la mattina, quando hai fame? O quello del caffè del mattino? O di una mela quando la mordi? O di un frantoio quando si prepara il sidro, o del pane appena sfornato? Ma allora devi aver fame.”

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