Per chi suona la campana, Ernest Hemingway
Pubblicato nel 1940, questo romanzo è in parte
autobiografico, l’autore prese parte alla guerra civile spagnola come
corrispondente di guerra nelle file dell’esercito repubblicano.
Robert Jordan il protagonista, l’inglès, l’intellettuale
idealista, il volontario americano irregolare, il dinamitardo rivoluzionario, pronto
a sacrificare tutto per una giusta causa, deve far saltare in aria un ponte
sotto il controllo del nemico, un’impresa disperata.
Tutta la vicenda narrata nel romanzo dura tre giorni, tre giorni
che si dilatano a dismisura, il tempo sembra fermarsi.
Il tema che ricorre in
questo romanzo è quello della guerra, della lotta per la libertà, dell’amore
intenso e fugace, dell’amicizia, e soprattutto della morte che incombe su tutti
i personaggi, compreso Robert, la sua infatti è una missione suicida e lui lo sa bene.
E poi Maria, giovane e innocente, la Spagna straziata e
sanguinante, Pilar coraggiosa e appassionata, El Sordo e tutti gli altri pronti a sacrificare la loro vita per la “repubblica”
e il bene comune.
Un altro aspetto che accomuna i vari personaggi oltre alla
lotta per la libertà è l’amore per la propria terra, descritta sapientemente
dall’autore (gli aghi di pino aprono e chiudono il romanzo) terra coperta di
polvere e sangue, non soltanto ameno
paesaggio.
L’orrore della guerra
campeggia in primo piano nella sua cruda brutalità al di fuori di ogni
idealizzazione eroica, evocato dai rombi degli aerei, mostri meccanici forieri
di morte e distruzione, che annientano la quiete silente delle montagne.
Lo stile è coinciso, serrati i dialoghi, poetiche le
descrizioni, indimenticabili i molteplici personaggi, si vive e si muore con
loro, fino al commovente finale quel cuore, passione e ideale, che batte mentre
sorge l’alba.
“Com'erano adesso, ogni difesa era sparita tra loro. Dov'era
stata stoffa ruvida tutto era adesso liscio, con una levigatezza e
un'elasticità ferma e rotonda, e una lunga freschezza calda – fresco di fuori e
caldo di dentro – lunga e lieve e strettamente allacciante, strettamente
allacciata, solitaria, svuotante e che dava felicità; giovane e amante, ed ora
tutto era liscio e ardente in una solitudine svuotante, stretta, angosciosa, e
cosí grande che Robert Jordan sentí di non poterla sopportare più.
Morire era niente e El Sordo non aveva dentro di sé una
visione chiara della morte né la temeva.
Ma vivere era l'immagine di un campo di grano che ondeggia
al vento sul fianco di una collina. Vivere era un falco nel cielo. Vivere era
una giarra di terra piena d'acqua nella polvere della trebbiatura, col grano
lanciato in aria e la pula che vola. Vivere era un cavallo tra le cosce e un
fucile sotto una gamba e una collina e una valle e un fiume fiancheggiato
d'alberi sulle rive, e l'estremo della valle e le colline al di là.
Questo
è l'odore che mi piace. Questo è il trifoglio appena tagliato, la salvia
calpestata quando uno cavalca dietro un armento, il fumo della legna e delle
foglie che bruciano d'autunno. È l'odore della nostalgia, l'odore del fumo dei
mucchi di foglie che bruciano l'autunno nelle strade del Missoula. Quale odore
preferiresti sentire? L'erba dolce che gl'indiani adoperano nei loro cesti? Il
cuoio affumicato? L'odore della terra a primavera dopo la pioggia? L'odore del
mare quando uno cammina in mezzo alle ginestre su un promontorio in Galizia? O
il vento di terra quando si avvicina a Cuba nell'oscurità: l'odore dei fiori di
cactus, di mimosa e delle viti marine? O preferisci l'odore del prosciutto
fritto, la mattina, quando hai fame? O quello del caffè del mattino? O di una
mela quando la mordi? O di un frantoio quando si prepara il sidro, o del pane
appena sfornato? Ma allora devi aver fame.”
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