Non ti muovere, Margaret Mazzantini (2001)
Un monologo interiore, un passato scomodo che riaffiora, un
segreto che viene svelato, un uomo che si mette a nudo raccontando la parte più
oscura e nascosta di sé. Lo fa attraverso un ideale dialogo con la figlia che
lotta tra la vita e la morte in un letto d’ospedale. Quest’ uomo si chiama
Timoteo, è un medico, uomo egoista che forse non sa amare, conduce un’esistenza
tranquilla, borghese, una moglie giovane e bella, ma qualcosa lo tormenta, tutto
quello che ha non gli basta, cerca altro, trova Italia. Povera, brutta, dimessa,
una vita ai margini, un fiore sbiadito sul ciglio di strade polverose, che
calpestiamo senza vedere. Non è bella, non è di successo, vive in un tugurio, è
un’ombra, una piccola creatura affamata di cose che non ha avuto e non avrà
mai, affetto, amore, tenerezza.
Non c’entra nulla con lui e il suo mondo. Una passione
brutale, una violenza cruda, una ferita impietosa, che all’inizio mi disorienta
perché non capisco, distolgo lo sguardo da Timoteo e dalla sua follia, lo
prenderei quasi a schiaffi nella sua
delirante incoerenza e poi non so come o perché questa lacerazione, questo
graffio sanguinante diventa amore.
Questo libro è un pugno che toglie il fiato, che inizialmente
lascia disorientati e confusi, ha qualcosa che mi arriva dentro, diretto e forte, si chiama vita, rabbia, sofferenza,
lacrime, si chiama emozione. Timoteo scopre
l’amore quando è troppo tardi, quando lo sta perdendo.
Leggendo mi sono chiesta cos’è l’amore, dove va a
nascondersi. Un amore che non è sempre buono, dolce, romantico, molte volte è
feroce, ingiusto, tagliente come una scheggia di vetro e fa male, fa sanguinare
dentro. E poi ci sono vari tipi di amore, quello disperato di un padre assente
verso la figlia morente, e parallelo a questo un altro amore lacero,
tormentato, impossibile, che
inspiegabilmente sceglie una povera
esistenza e va a nascondersi lì. Tana e rifugio e fuori il mondo intero.
Italia è una donna invisibile, tenera e disperata, semplice e forte, che dà
tutto quello che può a questo piccolo uomo, anche la vita. E’ “l’altra” che
osserva da lontano quello che non avrà
mai, una famiglia infelice e perfetta, che si accontenta di poche vitali
briciole di affetto in un deserto di nulla, che implora “non mi prendere
mai sul serio quando ti dico di lasciarmi. Tienimi, ti prego, tienimi. Vieni
quando ti pare, una volta al mese, una volta all'anno, ma tienimi”.
Questo libro disturbante
ed emozionante, bello nelle sue imperfezioni e miserie umane,
è una ferita profonda che poco a poco si rimargina, una
cicatrice sulla pelle candida.
Intenso anche il film, col suo immenso bagaglio di dolenti e
fragili passioni umane.
“Non lo so, Angelina, dove vanno le persone quando cessano
di esistere. Ma so dove restano.
E quando quella mano fredda, come la pietra dov'era posata,
si ferma sulla mia guancia, io so che la amo. La amo come un mendicante, come
un lupo, come un ramo di ortica. La amo come un taglio nel vetro. La amo perché
non amo che lei, le sue ossa, il suo odore di povera.
Non crucciarti, Italia, la vita è questa. Attimi superbi di
vicinanza e poi gelide folate di vento. E se tu soffri laggiù, oltre l'ultimo
faraglione di cemento, la tua sofferenza mi è ignota in questa distanza, ed è
estranea. Che importa se sei gravida di un mio sputo sporco? Stanotte sei sola
con il tuo bagaglio sotto la pensilina di un treno che se ne va, che hai
perduto”.
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