La stranezza che ho nella testa
, Orhan Pamuk
Una stranezza nella mia testa,
la sensazione di essere estraneo a quel tempo,
a quel luogo.
Questo romanzo è stato il mio primo Pamuk. Il
libro racconta "la vita, le avventure,
i sogni, gli amici e i nemici di Mevlut venditore di boza,” onesto, ingenuo,
sognatore, un uomo puro, ma anche la vita
di Istanbul, una città che cresce, cambia, si trasforma nel corso della lunga
narrazione. Le prime duecento pagine le ho odiate profondamente, trovavo la scrittura
lenta, monocorde, noiosa, non ne potevo
più del venditore di boza e delle sue vicissitudini personali. Ho deciso di
proseguire pagina dopo pagina e
nell’ultima parte qualcosa è cambiato, giunta infine all’ultimo capitolo sono rimasta piacevolmente
stupita. Credevo di odiare questo libro e invece l’ho trovato a suo modo bello, dovevo
arrivare alla fine per comprenderlo e rivalutarlo totalmente. Questo libro ha un suo
tempo e un suo universo che si rivelano poco a poco e allora non si può non
amarlo. Qui non c’è soltanto la storia di Mevlut, ma di una città intera, i
suoi vicoli, i suoi abitanti, le sue tradizioni, i suoi profumi, i suoi
odori, botteghe, ambulanti, macerie, povertà, misteri, una città che cambia pelle forma
occhi, che passa dalle misere baracche ai palazzi di dodici piani, una città che
nel tempo diventa moderna e tecnologica. Una città che inizialmente Mevlut sente
vicina e poi di colpo estranea. E quella lentezza che odiavo non è lentezza, ma
è tempo che scorre, accelera e rallenta,
che scandisce l’esistenza intera di un uomo, che ama girovagare di notte per le
strade della città e “nei meandri della propria mente”. Per lui Istanbul è
bellezza e orrore, "stupore e sgomento", una città che lo
attrae e lo spaventa. Quando da ragazzino inizia a percorrere le sue
strade col carretto di yogurt, riso e
gelato la sente propria, “sua” e poi crescendo la scopre diversa, lontana, aliena,
ma continua ad amarla perché in fondo gli appartiene da sempre. Divenuto un uomo
maturo ha ancora bisogno di vivere
quelle strade, notte dopo notte, respirando la solitudine, la malinconia del tempo
che scorre cancella trasforma, la paura di invecchiare e morire solo. Mevlut
venditore ambulante di boza, poverissimo, che alla fine avrà un appartamento e un cellulare che però non usa mai. Mevlut che
per tutta la vita ha inseguito un sogno d’amore adolescenziale e poi ha capito
che l’amore è un’altra cosa. Che per tre anni ha scritto lettere d’amore a una
ragazza e ai suoi occhi neri, e ne ha sposato un’altra per sbaglio. E poi…Tempo,
malinconia, nostalgia, solitudine, paura della morte, tematiche universali che
appartengono all’uomo da sempre e riaffiorano
nelle ultime pagine sotto il cielo di Istanbul
e quel finale bellissimo nella sua
semplicità, un uomo che dialoga con la città e con il suo amore, quando finalmente le
intenzioni del cuore e delle labbra coincidono.
La potenza della città, il suo inquietante realismo, la sua violenza, gli davano l’impressione di un unico, solido muro. Incastonati in questa parete diecimila, centomila occhi lo osservavano come fossero un unico occhio. Gli occhi scuri al mattino cambiavano colore con il giorno, e la sera si illuminavano, così da trasformare la notte in giorno, proprio come in quel momento. Sin da quando era bambino Mevlut amava osservare le luci della città in lontananza. C’era qualcosa di magico in quello spettacolo. Era la prima volta però che poteva osservare Istanbul da un punto così elevato. Aveva paura, ma ne era anche ammirato, bellezza e orrore si confondevano l’uno nell’altra. Provava sgomento e stupore di fronte alla città, eppure, nonostante i suoi cinquantacinque anni, avrebbe voluto immergersi, ancora una volta, in quella foresta di palazzi costellati di pupille.
La potenza della città, il suo inquietante realismo, la sua violenza, gli davano l’impressione di un unico, solido muro. Incastonati in questa parete diecimila, centomila occhi lo osservavano come fossero un unico occhio. Gli occhi scuri al mattino cambiavano colore con il giorno, e la sera si illuminavano, così da trasformare la notte in giorno, proprio come in quel momento. Sin da quando era bambino Mevlut amava osservare le luci della città in lontananza. C’era qualcosa di magico in quello spettacolo. Era la prima volta però che poteva osservare Istanbul da un punto così elevato. Aveva paura, ma ne era anche ammirato, bellezza e orrore si confondevano l’uno nell’altra. Provava sgomento e stupore di fronte alla città, eppure, nonostante i suoi cinquantacinque anni, avrebbe voluto immergersi, ancora una volta, in quella foresta di palazzi costellati di pupille.
Ciò che voleva
dire alla città, ciò che voleva scrivere sui muri, gli era appena venuto in mente. Proveniva da dentro di
lui, ed era tutto intorno a lui, era un’intenzione sia del cuore che delle
labbra:
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