Cavie, Chuck Palahniuk (2005)
“Se riusciamo a perdonare ciò che gli altri ci hanno fatto...
Se riusciamo a perdonare ciò che noi abbiamo fatto agli altri...
Se riusciamo a prendere congedo da tutte le nostre storie. Dal nostro essere carnefici o vittime.
Solo allora, forse, potremo salvare il mondo.”
Ventitré racconti che rappresentano le storie, la vita dei singolari  protagonisti di questo libro.
Una sorta di moderno Decamerone noir e splatter. Fa da cornice ai 
racconti, preceduti da varie poesie, una villa dove sono riuniti 
in una sorta di “buon ritiro”  bizzarri e strampalati personaggi, 
aspiranti scrittori in fuga dal proprio passato, che per tre mesi 
abbandonano il proprio mondo, pronti a tutto pur di ottenere fama e 
successo.
Lo stile del libro è quello inconfondibile di Palahniuk, crudo,
 cinico, spietato, ironico, dissacrante, frasi brevi, taglienti, affilate 
che esprimono concetti essenziali, ricco di dettagli scientifici e 
anatomici, descrizioni disgustose, particolari rivoltanti. Vengono messe a
 nudo le storie di vita degli “eccentrici” personaggi,  storie che “ se 
non riesci a digerirle ti avvelenano” ma possono anche esorcizzare la 
paura e l’orrore e forse salvarci, storie che “puoi usare per far 
ridere la gente, per farla piangere o darle la nausea oppure per 
spaventarla, per farla sentire come ti sei sentito tu. Per contribuire a 
smaltire quel momento del passato, finchè quel momento non sarà morto, 
consumato, digerito, assorbito.” 
Storie perverse che a volte  
nauseano lo stesso lettore, con la loro violenza insensata, crudezza, 
storie che vorresti smettere di leggere, però in qualche modo  leggi 
tutte d’un fiato fino alla fine senza sapere nemmeno il 
perché (masochismo? chissà). La mia  preferita tra tutte quella della 
Baronessa assiderata. A parte alcuni “dettagli”  a mio avviso eccessivi 
 e qualche incongruenza, nel complesso  questo libro mi  è piaciuto, con
 i suoi racconti psicopatici e bui, desolati e senza speranza, cattivi, 
politicamente scorretti, con la loro sottile logica, e su tutto spicca  
la critica spietata alla società contemporanea, ai mass media, alla 
ricerca del successo a tutti costi, ai reality show. Cosa non si farebbe 
pur di ottenere il proprio dorato angolino al sole? E che poi si tratti 
di un riflettore dalla luce abbagliante e artificiale su un palco 
deserto non ha nessuna importanza.
Un libro  di pura adrenalina 
adatto  a chi ama Palahniuk e soprattutto agli stomaci forti.
Uno 
scrittore folle e a suo modo   geniale, da assumere però a piccole dosi.
"Ci sono storie, diceva, che quando le racconti si 
consumano. Sono quelle in cui il phatos si appanna, e ogni versione suona
 più sciocca e vuota della precedente. Altre storie, invece, consumano 
te. Più le racconti, più acquisiscono forza. Quel tipo di storia non fa 
che ricordarti quanto sei stato stupido. Quanto lo sei ancora. E quanto lo
 sarai sempre. Raccontare certe storie è come suicidarsi (...)
Sono queste le storie che ci restano sulle labbra. 
Le storie che racconteremmo solo agli estranei, in qualche angolo 
nascosto della cella imbottita della notte. Sono storie importanti che 
ripassiamo per anni nella nostra mente, ma che non raccontiamo mai. 
Queste storie sono fantasmi che riportano in vita i morti. Solo per un 
attimo. Per una visita. Ogni storia è un fantasma...
Ecco come 
funziona un racconto del terrore. Riecheggia una qualche antica 
paura. Ricrea un terrore dimenticato. Qualcosa che ci piacerebbe credere 
di aver dimenticato diventando adulti. Ma che ancora sa terrorizzarci 
fino alle lacrime. E' una ferita che speravi si fosse rimarginata. 
Ogni notte è disseminata di storie così. Di questa gente che vaga, gente
 che non può salvarsi ma che non vuole morire. Li senti la notte gridare
 laggiù, a monte della faglia del White River.
Certe notti di 
febbraio si sente ancora l'odore di Olsen Read che non sente più le 
gambe, ma che viene strattonato indietro. Che grida. Le dita come 
artigli aggrappati nella neve, strattonato nel buio da tutti quei 
piccoli denti serrati."
“Anche se Dio non ci perdonerà, dice la Baronessa assiderata
noi possiamo perdonare lui.
Dovremmo perdonare Dio
per averci fatti troppo bassi. Grassi. Poveri.
Dovremmo perdonare Dio per averci dato la calvizie.
La fibrosi cistica. La leucemia.
Dovremmo perdonarlo per la Sua indifferenza. Per averci
abbandonati:
noi, il piccolo esperimento per l'ora di scienze che Dio ha fatto e dimenticato,
lasciandoci ammuffire.
I pesci rossi di Dio, trascurati al punto da dover mangiare
la nostra stessa merda depositata sul fondo (...)
e ogni sera la baronessa perdona tutti.
Perdona se stessa.
E perdona Dio per quei disastri che sembrano accadere
senza un motivo.”

 
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