venerdì 19 febbraio 2016

Cavie

Cavie, Chuck Palahniuk (2005)

“Se riusciamo a perdonare ciò che gli altri ci hanno fatto...
Se riusciamo a perdonare ciò che noi abbiamo fatto agli altri...
Se riusciamo a prendere congedo da tutte le nostre storie. Dal nostro essere carnefici o vittime.
Solo allora, forse, potremo salvare il mondo.”

Ventitré racconti che rappresentano le storie, la vita dei singolari protagonisti di questo libro.
Una sorta di moderno Decamerone noir e splatter. Fa da cornice ai racconti, preceduti da varie poesie, una villa dove sono riuniti in una sorta di “buon ritiro” bizzarri e strampalati personaggi, aspiranti scrittori in fuga dal proprio passato, che per tre mesi abbandonano il proprio mondo, pronti a tutto pur di ottenere fama e successo.
Lo stile del libro è quello inconfondibile di Palahniuk, crudo, cinico, spietato, ironico, dissacrante, frasi brevi, taglienti, affilate che esprimono concetti essenziali, ricco di dettagli scientifici e anatomici, descrizioni disgustose, particolari rivoltanti. Vengono messe a nudo le storie di vita degli “eccentrici” personaggi, storie che “ se non riesci a digerirle ti avvelenano” ma possono anche esorcizzare la paura e l’orrore e forse salvarci, storie che “puoi usare per far ridere la gente, per farla piangere o darle la nausea oppure per spaventarla, per farla sentire come ti sei sentito tu. Per contribuire a smaltire quel momento del passato, finchè quel momento non sarà morto, consumato, digerito, assorbito.”
Storie perverse che a volte nauseano lo stesso lettore, con la loro violenza insensata, crudezza, storie che vorresti smettere di leggere, però in qualche modo leggi tutte d’un fiato fino alla fine senza sapere nemmeno il perché (masochismo? chissà). La mia preferita tra tutte quella della Baronessa assiderata. A parte alcuni “dettagli” a mio avviso eccessivi e qualche incongruenza, nel complesso questo libro mi è piaciuto, con i suoi racconti psicopatici e bui, desolati e senza speranza, cattivi, politicamente scorretti, con la loro sottile logica, e su tutto spicca la critica spietata alla società contemporanea, ai mass media, alla ricerca del successo a tutti costi, ai reality show. Cosa non si farebbe pur di ottenere il proprio dorato angolino al sole? E che poi si tratti di un riflettore dalla luce abbagliante e artificiale su un palco deserto non ha nessuna importanza.
Un libro di pura adrenalina adatto a chi ama Palahniuk e soprattutto agli stomaci forti.
Uno scrittore folle e a suo modo geniale, da assumere però a piccole dosi.

"Ci sono storie, diceva, che quando le racconti si consumano. Sono quelle in cui il phatos si appanna, e ogni versione suona più sciocca e vuota della precedente. Altre storie, invece, consumano te. Più le racconti, più acquisiscono forza. Quel tipo di storia non fa che ricordarti quanto sei stato stupido. Quanto lo sei ancora. E quanto lo sarai sempre. Raccontare certe storie è come suicidarsi (...)
Sono queste le storie che ci restano sulle labbra.
Le storie che racconteremmo solo agli estranei, in qualche angolo nascosto della cella imbottita della notte. Sono storie importanti che ripassiamo per anni nella nostra mente, ma che non raccontiamo mai. Queste storie sono fantasmi che riportano in vita i morti. Solo per un attimo. Per una visita. Ogni storia è un fantasma...
Ecco come funziona un racconto del terrore. Riecheggia una qualche antica paura. Ricrea un terrore dimenticato. Qualcosa che ci piacerebbe credere di aver dimenticato diventando adulti. Ma che ancora sa terrorizzarci fino alle lacrime. E' una ferita che speravi si fosse rimarginata.
Ogni notte è disseminata di storie così. Di questa gente che vaga, gente che non può salvarsi ma che non vuole morire. Li senti la notte gridare laggiù, a monte della faglia del White River.
Certe notti di febbraio si sente ancora l'odore di Olsen Read che non sente più le gambe, ma che viene strattonato indietro. Che grida. Le dita come artigli aggrappati nella neve, strattonato nel buio da tutti quei piccoli denti serrati."

“Anche se Dio non ci perdonerà, dice la Baronessa assiderata
noi possiamo perdonare lui.
Dovremmo perdonare Dio
per averci fatti troppo bassi. Grassi. Poveri.
Dovremmo perdonare Dio per averci dato la calvizie.
La fibrosi cistica. La leucemia.
Dovremmo perdonarlo per la Sua indifferenza. Per averci
abbandonati:
noi, il piccolo esperimento per l'ora di scienze che Dio ha fatto e dimenticato,
lasciandoci ammuffire.
I pesci rossi di Dio, trascurati al punto da dover mangiare
la nostra stessa merda depositata sul fondo (...)
e ogni sera la baronessa perdona tutti.
Perdona se stessa.
E perdona Dio per quei disastri che sembrano accadere
senza un motivo.”


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