Riccardin dal ciuffo, Amélie Nothomb
"... E io amo con furore le cose in cui il suono si unisce alla luce"
(I gioielli, Baudelaire)
(I gioielli, Baudelaire)
Dopo "Barbablù" ancora una volta la Nothomb rivisita in chiave moderna una celebre fiaba della tradizione popolare francese "Enrichetto dal ciuffo" di Charles Perrault.
Con la sua inconfondibile scrittura ironica e brillante ci fa riflettere sulla natura complessa dell'amore e dell'animo umano. Una fiaba deliziosa che fa sognare a occhi aperti, offrendo interessanti spunti di riflessione.
C'era una volta… un bambino di nome Deodato che significa dono di Dio, dall'aspetto fisico mostruoso, gracile, rugoso, la bocca infossata, un vecchietto appena nato.
Molto brutto ma dotato di un'intelligenza vivida e profonda, amato dai suoi genitori e preso in giro dai compagni di scuola per il suo aspetto fisico.
Deodato taciturno e solitario, consapevole che la natura lo ha rifornito di ogni orrore possibile, acne, gobba, un fastidioso busto per correggere la cifosi, ama guardare il cielo e le creature alate che lo popolano, simbolo di sconfinata libertà.
Non si abbatte, sorride sempre alla vita, crescendo ottiene un discreto successo con le ragazze, attratte dalla sua mente e dal suo aspetto fisico insolito. Una volta adulto, diventerà un celebre ornitologo.
Altea è una bambina dalla pelle candida, gli occhi luminosi e i lunghi capelli biondi.
I suoi genitori sono molto impegnati con il lavoro e Altea va a vivere con la nonna Malvarosa, una donna misteriosa dall'età indefinita, dagli strambi poteri magici, un po' fata un po' strega, innamorata della nipote e dei suoi scintillanti gioielli, dotati di un'anima.
Altea è bellissima ma non molto acuta d'ingegno, poco reattiva, quasi imbambolata, ha un'espressione di costante stupore estatico. A scuola viene emarginata da tutti per la sua straordinaria bellezza e derisa perché considerata stupida.
In realtà è una ragazza sensibile e riflessiva, ama osservare le cose per carpire il loro intimo segreto, un semplice fazzoletto di carta ad esempio può trasformarsi in un impalpabile abito di seta, con plissettatura degna del Bernini.
Se la bruttezza può a volte suscitare compassione, la bellezza "irrita senza pietà".
Crescendo Altea diventerà una modella, la musa di una nota gioielleria parigina, facendone risaltare i gioielli con il suo incarnato madreperlaceo.
Bella, solitaria e altera come un diamante, dopo una dolorosa delusione d'amore adolescenziale.
Un giorno i destini di Deodato e Altea si incrociano per caso ed è subito amore.
Un sentimento forte, puro, assoluto, che resiste agli assalti del tempo e va oltre le apparenze.
Ma come Amélie ci regala un banale lieto fine, considerato "una caduta di stile dal 99,99% delle letterature degne di questo nome"?
L'amore che trionfa sulle avversità, andando oltre l'aspetto esteriore perché ciò che conta davvero, intelletto sensibilità tenerezza, è racchiuso dentro di noi?
Forse, ma cos'è l'amore se non incanto, perturbante stupore, misteriosa alchimia di sguardi e istanti e allora sì, ben venga il lieto fine.
C'era un volta un principe molto brutto dall'intelligenza brillante che aveva molto da raccontare e una principessa incantevole dalla pelle di luna che amava ascoltare, esseri imperfetti, prigionieri della solitudine e delle proprie paure, un bel giorno s'incontrarono e da quel momento in poi non si lasciarono più, amandosi follemente.
Con la sua inconfondibile scrittura ironica e brillante ci fa riflettere sulla natura complessa dell'amore e dell'animo umano. Una fiaba deliziosa che fa sognare a occhi aperti, offrendo interessanti spunti di riflessione.
C'era una volta… un bambino di nome Deodato che significa dono di Dio, dall'aspetto fisico mostruoso, gracile, rugoso, la bocca infossata, un vecchietto appena nato.
Molto brutto ma dotato di un'intelligenza vivida e profonda, amato dai suoi genitori e preso in giro dai compagni di scuola per il suo aspetto fisico.
Deodato taciturno e solitario, consapevole che la natura lo ha rifornito di ogni orrore possibile, acne, gobba, un fastidioso busto per correggere la cifosi, ama guardare il cielo e le creature alate che lo popolano, simbolo di sconfinata libertà.
Non si abbatte, sorride sempre alla vita, crescendo ottiene un discreto successo con le ragazze, attratte dalla sua mente e dal suo aspetto fisico insolito. Una volta adulto, diventerà un celebre ornitologo.
Altea è una bambina dalla pelle candida, gli occhi luminosi e i lunghi capelli biondi.
I suoi genitori sono molto impegnati con il lavoro e Altea va a vivere con la nonna Malvarosa, una donna misteriosa dall'età indefinita, dagli strambi poteri magici, un po' fata un po' strega, innamorata della nipote e dei suoi scintillanti gioielli, dotati di un'anima.
Altea è bellissima ma non molto acuta d'ingegno, poco reattiva, quasi imbambolata, ha un'espressione di costante stupore estatico. A scuola viene emarginata da tutti per la sua straordinaria bellezza e derisa perché considerata stupida.
In realtà è una ragazza sensibile e riflessiva, ama osservare le cose per carpire il loro intimo segreto, un semplice fazzoletto di carta ad esempio può trasformarsi in un impalpabile abito di seta, con plissettatura degna del Bernini.
Se la bruttezza può a volte suscitare compassione, la bellezza "irrita senza pietà".
Crescendo Altea diventerà una modella, la musa di una nota gioielleria parigina, facendone risaltare i gioielli con il suo incarnato madreperlaceo.
Bella, solitaria e altera come un diamante, dopo una dolorosa delusione d'amore adolescenziale.
Un giorno i destini di Deodato e Altea si incrociano per caso ed è subito amore.
Un sentimento forte, puro, assoluto, che resiste agli assalti del tempo e va oltre le apparenze.
Ma come Amélie ci regala un banale lieto fine, considerato "una caduta di stile dal 99,99% delle letterature degne di questo nome"?
L'amore che trionfa sulle avversità, andando oltre l'aspetto esteriore perché ciò che conta davvero, intelletto sensibilità tenerezza, è racchiuso dentro di noi?
Forse, ma cos'è l'amore se non incanto, perturbante stupore, misteriosa alchimia di sguardi e istanti e allora sì, ben venga il lieto fine.
C'era un volta un principe molto brutto dall'intelligenza brillante che aveva molto da raccontare e una principessa incantevole dalla pelle di luna che amava ascoltare, esseri imperfetti, prigionieri della solitudine e delle proprie paure, un bel giorno s'incontrarono e da quel momento in poi non si lasciarono più, amandosi follemente.
***
"Quel giovane uomo di diciassette anni, robusto nel corpo e nell'animo, si era innamorato follemente della bambina minuta.
-Potresti trovare di meglio che una candidata al suicidio, gli aveva detto lei.
Sposami.
- Non sono all'altezza.
Insieme direi che siamo alti abbastanza."
-Potresti trovare di meglio che una candidata al suicidio, gli aveva detto lei.
Sposami.
- Non sono all'altezza.
Insieme direi che siamo alti abbastanza."
"Aveva ragione: il bambino possedeva quella superiore forma di intelligenza che si potrebbe chiamare "il senso dell'altro."
L'intelligenza classica comporta raramente questa virtù del tutto paragonabile al dono delle lingue: chi ne è provvisto sa che ogni persona è un linguaggio specifico e che tale linguaggio può essere appreso a condizione di ascoltarlo con la più estrema apertura di cuore e di sensi. È anche per questo che si tratta di una facoltà analoga all'intelligenza: ha a che fare con la comprensione e la conoscenza. Le persone intelligenti che non sviluppano questo accesso all'altro diventano, nel senso etimologico del termine, degli idioti: esseri centrati su sé stessi.
L'epoca in cui viviamo rigurgita di questi idioti intelligenti, il loro simpatico club fa rimpiangere i bravi imbecilli di una volta".
L'intelligenza classica comporta raramente questa virtù del tutto paragonabile al dono delle lingue: chi ne è provvisto sa che ogni persona è un linguaggio specifico e che tale linguaggio può essere appreso a condizione di ascoltarlo con la più estrema apertura di cuore e di sensi. È anche per questo che si tratta di una facoltà analoga all'intelligenza: ha a che fare con la comprensione e la conoscenza. Le persone intelligenti che non sviluppano questo accesso all'altro diventano, nel senso etimologico del termine, degli idioti: esseri centrati su sé stessi.
L'epoca in cui viviamo rigurgita di questi idioti intelligenti, il loro simpatico club fa rimpiangere i bravi imbecilli di una volta".
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