giovedì 15 novembre 2018

L'inconfondibile tristezza della torta al limone

L'inconfondibile tristezza della torta al limone, Aimee Bender
Rose è una bambina vivace e intelligente, vive con la mamma, il papà e il fratello Joseph a Los Angeles. Una famiglia come tante eppure speciale, dotata di preziosi doni, strambi poteri.
Rose attraverso il cibo che mangia riesce a sentire le emozioni, i sentimenti, gli stati d'animo di chi l'ha preparato, rabbia, senso di colpa, nostalgia, tristezza, vuoto.
Accade per la prima volta il giorno del suo nono compleanno, nella torta al limone e cioccolato preparata da sua madre avverte un gusto amaro, insoddisfazione, infelicità, inquietudine, "sa di vuoto" afferma lapidaria. Da questo momento in poi il cibo la spaventa, quei sentimenti che le arrivano diretti senza filtro la terrorizzano.
Biscotti rabbiosi, pizza triste, sandwich leggeri che assaggia con invidia. Trova sollievo soltanto nei cibi industriali o in quelli delle macchinette, neutri, asettici e rassicuranti, necessari per sopravvivere.
Rose è "il vetro restituito dal mare" che tutti vorrebbero portarsi a casa, una foresta pluviale rigogliosa, ha tanto da offrire al mondo, lei che sogna di essere un oceano ed è spaventata dalla sua straordinaria sensibilità.
Joseph è un ragazzo geniale e introverso, chiuso in se stesso, nella sua camera piena di libri, ha un unico amico, George, un ragazzo brillante e simpatico.
È un prisma poliedrico dalle mille sfaccettature, un deserto buio che avrebbe soltanto bisogno di sole, interagisce poco con l'ambiente esterno, il suo potere misterioso è quello di sparire all'improvviso come in un difficile trucco di magia. Entrambi non riescono a controllare i loro poteri, ne subiscono gli effetti senza poterci fare niente.
E poi ci sono Paul e Lane. Un padre che lavora sodo e odia gli ospedali, un uomo semplice dalla vita abitudinaria, che fatica a decifrare la sua complessa e bizzarra famiglia e una madre inquieta e insonne, che ama sperimentare usando la propria creatività privilegiando olfatto e tatto, cucinando torte deliziose o intagliando il legno.
Un romanzo magico e surreale, che mescola fantastico e quotidianità, una scrittura limpida e nitida, originale e profonda, che dietro il gioco dei poteri strambi e forse magici focalizza l'attenzione su alcune tematiche importanti. Una famiglia che vive tra insoddisfazione e tensioni, carenza di dialogo e distanze, silenzi che scavano voragini, un rapporto problematico con il cibo veicolo di emozioni negative, che avvelena e spaventa e poi la solitudine profonda di una mente geniale, incapace di relazionarsi con il prossimo, la depressione che annienta, inghiotte e trasforma in qualcosa di inanimato, tematiche affrontate anche nel romanzo "Un segno invisibile e mio".
Una famiglia composta da un padre distratto, che non vuole vedere né sentire, che rifiuta il suo dono speciale trincerandosi nella sua vita ordinaria e da una madre che ama profondamente i propri figli, soprattutto il primogenito, un amore assoluto, percepito come qualcosa di soffocante. Una bambina sensibile e attenta, gelosa di questo amore esclusivo, desiderosa di attenzioni e parole, un ragazzo dagli occhi grandi chiuso nel proprio universo interiore, una caverna oscura piena di solitudine e tristezza.
Ci sono pagine dove senti tutto il peso di quel dolore che spegne lo sguardo e fa invecchiare di colpo di mille anni e infine il cibo che diventa il canale attraverso il quale si trasmettono sentimenti ed emozioni, quando ogni pasto diventa una sofferenza interiore, quando vorresti strapparti la bocca per non sentire quel gusto amaro che ti chiude la gola, avvelenandoti con il suo brutto sapore.
Quando vorresti trasformarti e sparire per sempre, quando il cibo ti nausea e fa paura, quando in famiglia si respirano silenzi e bugie, quando si è insoddisfatti, infelici e delusi, quando ci si sente soffocare, quando vorresti trattenere con tutte le tue forze chi non può restare, quando un tratto di pennarello dietro lo schienale di una sedia è tutto ciò che ti resta ed è meglio di niente, quando malgrado tutto scegli di vivere nel mondo, di farne parte.
Questo libro mi ha lasciato in bocca un sapore amaro, un nodo in gola, un senso di smarrimento, inquietudine e malinconia che non saprei nemmeno spiegare a parole, come una nube grigia che oscura tutto il cielo, facendomi perdere in strani pensieri inquieti, che portano lontano.
Un'allegoria della vita familiare, con quel retrogusto amaro di incomprensione, incomunicabilità, insoddisfazione latente, solitudine e dilagante infelicità, amore che a volte non basta, faticoso, sbagliato, trattenuto, difficile da vivere, legami forti e complicati, famiglia culla e caverna, approdo e punto da cui riuscire a spiccare il volo, che ci protegge e ferisce, per sempre parte di noi.
 
***
"Joseph qualche volta mi veniva a cercare, allo stesso modo in cui il deserto fa sbocciare un fiore di tanto in tanto. Ci si abitua tanto alle sfumature del beige e del marrone e poi un papavero giallo come il sole salta fuori dalla pala di un fico d'india. Quanto mi piacevano quei momenti-fiore, come quando mi indicava la luna e Giove, ma erano rari, e non c'era mai da aspettarseli."
 
"Il primo pasto preparato da me, tutto da sola. La mano mi tremava leggermente mentre assaggiavo.
Il sugo era buono, e semplice, ben concentrato.
Tristezza, rabbia, carri armati, buchi, speranza, colpa, nervi, Nostalgia, come fiori che marciscono. Una fabbrica, fredda.
Mi portai il tovagliolo agli occhi.
Andrà tutto bene, disse papà, battendomi sulla mano."
 
"Ti prego, dissi. George. Non mi sono mai aspettata niente di più di quella volta, gli dissi.
Tic, tic, contro le finestre laterali.
Perché no? domandò, dopo una breve pausa.
Perché no cosa?
Perché non aspettarsi più di un'unica volta?
Le goccioline d'acqua colavano sulle finestre. A casa non c'era ancora nessun altro. Me lo vedevo proprio seduto sulla sedia, in ascolto. Con quella sua faccia concentrata e in ascolto. Con le foglie ottobrine che fuori cominciavano appena a farsi rosse.
Fondamentale, nel nostro bacio, per me, era stata la sua caratteristica di unicità, che mi ero chiarita già nel momento in cui stava accadendo: baciare George era un po' come rotolarsi nel caramello dopo aver passato anni a sopravvivere a base di spaghetti di riso.
Voglio dire, continuai, con voce flebile. Giusto?
Be', fece lui, più ad alta voce, per me è stata una cosa importante, disse. Ok? Non è stato un "niente".
No, dissi io. Mi misi in grembo la pila di elenchi telefonici.
Anche per me. Non volevo dire questo...
Cioè, io sono qui, disse. Tu sei lì. Tu dovresti farti la tua vita.
Io ho la mia vita. È giusto. Ma tu sei Rose, disse. Ok?
 
"A volte, disse, perlopiù a se stessa, mi pare di non conoscere i miei figli.
Io mi fermai accanto a lei, come per ascoltarla. Vicina. Lei lo disse rivolta alla finestra. Ai vasi di fiori davanti a noi, pieni di viole del pensiero e giunchiglie, che si chinavano al crepuscolo (...)
Era un'affermazione passeggera, alla quale pensavo non sarebbe rimasta attaccata; dopotutto, ci aveva messo alla luce da sola, ci aveva cambiato i pannolini e dato da mangiare, ci aveva aiutato a fare i compiti, ci aveva baciato e abbracciato, ci aveva coperto d'amore. Che davvero non ci conoscesse mi sembrava la cosa più umile che una madre potesse mai ammettere. Si asciugò le mani con lo strofinaccio per i piatti, e già stava rientrando nel suo solito mondo, dove un pensiero del genere era ridicolo, non aveva senso: ma io l'avevo sentito, standomene lì in piedi, ed era la prima cosa detta da lei in un lungo lasso di tempo che potevo afferrare completamente.
Mi chinai verso di lei e la baciai sulla guancia.
Da tutti e due, le dissi."
 
"Al bistrot fu facile scaricare la macchina.
Dentro l'armadio misi la borsetta, una casacca bianca da chef e una scatola piena di attrezzi da cucina e libri che mi ero comprata da sola. La scatola di teak con le ceneri di nonna. Il portagioie di rovere che aveva fatto mia madre. Il suo grembiule, quello con le coppie di ciliegie, che mi aveva dato in premio una volta che le avevo preparato il brasato. Uno sgabello di velluto e vimini che non volevo venisse ritappezzato. Un poster arrotolato di una cascata. La nappa di plastica di un tocco da diplomandi.
Nell'angolo, una sedia pieghevole."

 

 

 

 




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