lunedì 12 novembre 2018

La lotteria

La lotteria, Shirley Jackson
"Lotteria di giugno, spighe grosse in pugno."
Un libricino di ottantadue pagine, quattro racconti brevissimi che trasmettono una strana inquietudine, un'ansia sottile, l'oscuro presagio che qualcosa non va come dovrebbe, forse sta per accadere qualcosa di inquietante, è soltanto una vaga impressione, una sensazione di cose fuori posto, un leggero brivido, una paura strisciante, una porta socchiusa sul mistero. Si apre lentamente, il tempo di gettare una rapida occhiata e poi subito si richiude.
Quattro racconti brevi che si leggono rapidamente, una scrittura essenziale e incisiva.
Nel primo racconto "La lotteria" in una calda giornata di giugno immersi in un'atmosfera bucolica tra cieli limpidi e natura rigogliosa, gli abitanti di un paese di trecento anime si radunano in piazza, uomini donne bambini, chiacchierano a bassa voce, spettegolano, pochi sorrisi tesi, nervosi. Come ogni anno da tempi immemori sta per svolgersi la tradizionale lotteria per propiziare il raccolto, la bussola nera per l'estrazione è lì pronta sul suo sgabello, qualcuno si attarda, qualcuno dovrà sostituire un familiare indisposto, ecco ora è tempo di iniziare e poi tutti a casa in perfetto orario per il pranzo di mezzogiorno...
Nel secondo racconto "Lo sposo" ispirato ad un'antica ballata scozzese una donna non più giovane, dal volto giallognolo segnato dalle rughe, cerca l'abito adatto per il suo giorno speciale, sta per sposarsi ed è in tremendo ritardo. E allora caffè, tanti caffè, aspirina in borsetta contro l'emicrania, e via con l'abito più bello, meglio quello azzurro o quello fantasia che però non sembra adatto alla stagione e al suo fisico non proprio perfetto. L'attende una nuova vita con il suo sposo alto e biondo, vestito di blu, uno scrittore di cui è difficile ricordare esattamente le sembianze, ma in fondo con chi ami succede sempre così, no?
Ma le ore passano, lo sposo tarda ad arrivare e allora conviene andargli incontro là fuori, tra le vie della città...
Nel terzo racconto "Colloquio" il più breve di appena tre pagine, una donna racconta al proprio medico le sue ansie e inquietudini tra follia e incomunicabilità. L'ho trovato troppo sintetico e inconcludente.
Nell'ultimo "Il fantoccio" due amiche si recano in un ristorante rispettabile e alla moda, mentre cenano in fondo alla sala assistono a varie esibizioni, ballerini, un'orchestra che suona e poi un uomo e il suo pupazzo di legno dal ghigno strano, un ventriloquo. Poi finito lo spettacolo ascoltano una bizzarra discussione con quel fantoccio animato dalla testa di legno, così sgarbato e irriverente.
Il primo racconto mi ha colpito molto con quell'atmosfera idilliaca spalancata sull'abisso, gli altri meno, li ho trovati eccessivamente brevi ed ermetici, criptici e incerti.
Ho preferito nettamente la prosa dei suoi romanzi più celebri da "L'incubo di Hill House" ad "Abbiamo sempre vissuto nel castello", passando per la dolce "Lizzie", lì la scrittrice riesce davvero a creare atmosfere inquietanti e ansiogene senza alzare la voce, con la sua scrittura tersa, curata e perfetta apre una finestra di orrore sulla realtà quotidiana così normale, spaventosa e straniante, ma questa è un'altra storia.
 
"Ho saputo" disse Mr Adams al Vecchio Warner accanto a lui "che nel villaggio su a nord parlano di lasciar perdere la lotteria."
Il Vecchio Warner sbuffò. "Pazzi scatenati" disse. "Se stai a sentire i giovani, non gli va bene niente. Manca poco che vorranno tornare a vivere nelle caverne, nessuno più che lavora, e prova a vivere così per un po'. Una volta c'era un detto, "Lotteria di giugno, spighe grosse in pugno." In men che non si dica mangeremo tutti erba bollita e ghiande. Una lotteria c'è stata sempre soggiunse stizzito."

 

 

 



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