Voli separati, Andre Dubus
"Vieni ancora a trovarci qualche volta;
a casa non c'è mai nessuno tranne noi
e noi non abitiamo più qui."
a casa non c'è mai nessuno tranne noi
e noi non abitiamo più qui."
Questa è la prima raccolta di racconti di Dubus, pubblicata nel 1975. Racconti che hanno come protagonisti uomini e donne comuni, mariti, mogli, figli, tutti chiusi nella propria desolante infelicità. Sono insicuri, estremamente fragili, vulnerabili, bevono troppo per sopportare la fatica di esistere, per sopravvivere quando l'amore svanisce e si trasforma in rassegnazione, tedio, dolore. Lasciano le luci accese quando non sono in casa perché la notte che si portano dentro e quella là fuori fa paura, ascoltano la musica perché il silenzio di certe serate invernali potrebbe ucciderli, sono terrorizzati dalla loro vita tranquilla che ha le sembianze di un incubo spaventoso, i sogni giovanili infranti, l'amore svanito, restano soltanto macerie.
Donne e uomini infelici che si tengono a galla con gin tonic ghiacciato, birra e bourbon, tante troppe sigarette, non riescono ad affrontare da sobri quella che è la loro realtà quotidiana, un inferno senza uscita. Amano la bottiglia più di quanto abbiano mai amato se stessi, l'alcol è un potente anestetico che rende tutto più tollerabile, addormenta la tristezza per qualche istante, concedendo una tregua precaria. Anime stanche, alla deriva.
Peter e i suoi demoni, così spaventato da non riuscire nemmeno a uscire di casa, Beth insonne, insoddisfatta, rassegnata, intrappolata nel suo matrimonio infelice, Terry madre, moglie, casalinga perennemente in lotta con la casa, le faccende domestiche e un uomo che non la ama più.
Amori finiti, tradimenti, sogni che naufragano, insoddisfazione, inquietudine, paura, solitudine.
Una scrittura tersa e cristallina, dialoghi asciutti, diretti, un colpo in pieno viso. Queste storie fanno male, lasciano un sapore amaro in bocca, un'inquietudine opprimente. Sono racconti duri, non c'è nessun lieto fine, nessun amore salvifico, la vita di coppia diventa una trappola senza uscita, teatro di discussioni infinite, accesi scontri, stanca rassegnazione, profondo scontento.
Ho ritrovato quell' atmosfera mefitica che si respirava in "Revolutionary Road", la stessa cupa infelicità ben nascosta dietro il prato verde, le casette bianche. Il matrimonio, la vita familiare sono un desolante deserto, una gabbia di frustrazioni, bugie, rimpianti per come doveva essere e non è stato, disperazione rabbiosa. I racconti più impietosi sono gli ultimi due "Voli separati" e "Non abitiamo più qui", quando le illusioni si infrangono, ti ritrovi accanto un estraneo di cui non sopporti nemmeno la vista, fai finta di dormire, perdendoti nell'alcol e nei tuoi pensieri, ma resti in quell'inferno nonostante tutto per i figli, per vigliaccheria, perché non sai dove altro andare, provando a tenere insieme i cocci ma l'infelicità dilaga e sommerge tutto, sarà sempre così, ti trovi in un labirinto senza uscita e non puoi farci niente. Ogni giorno dovrai fare i conti con tutto questo, andando avanti, affondando poco a poco.
Una notte buia circonda queste storie, rischiarate da brevi fugaci attimi di luce, un abbraccio davanti al fuoco, una mattina spensierata con i propri figli, ma forse non basta nemmeno questo.
A fine lettura ero avvolta da questa greve infelicità che si respira in ogni pagina, inquieta perché sapevo che quelle non erano soltanto storie racchiuse in un libro, quella infelicità, quel buio spaventoso, quella solitudine, quel disamore, quella strisciante insoddisfazione mi appartengono, sono reali. Tutto questo non svanisce quando chiudo il libro, me lo porto dentro, me lo sento addosso, è qualcosa con cui tutti dobbiamo fare quotidianamente i conti, cercando di sopravvivere per non affogare.
Quelle anime stanche, alla deriva, terrorizzate dal buio siamo noi.
Donne e uomini infelici che si tengono a galla con gin tonic ghiacciato, birra e bourbon, tante troppe sigarette, non riescono ad affrontare da sobri quella che è la loro realtà quotidiana, un inferno senza uscita. Amano la bottiglia più di quanto abbiano mai amato se stessi, l'alcol è un potente anestetico che rende tutto più tollerabile, addormenta la tristezza per qualche istante, concedendo una tregua precaria. Anime stanche, alla deriva.
Peter e i suoi demoni, così spaventato da non riuscire nemmeno a uscire di casa, Beth insonne, insoddisfatta, rassegnata, intrappolata nel suo matrimonio infelice, Terry madre, moglie, casalinga perennemente in lotta con la casa, le faccende domestiche e un uomo che non la ama più.
Amori finiti, tradimenti, sogni che naufragano, insoddisfazione, inquietudine, paura, solitudine.
Una scrittura tersa e cristallina, dialoghi asciutti, diretti, un colpo in pieno viso. Queste storie fanno male, lasciano un sapore amaro in bocca, un'inquietudine opprimente. Sono racconti duri, non c'è nessun lieto fine, nessun amore salvifico, la vita di coppia diventa una trappola senza uscita, teatro di discussioni infinite, accesi scontri, stanca rassegnazione, profondo scontento.
Ho ritrovato quell' atmosfera mefitica che si respirava in "Revolutionary Road", la stessa cupa infelicità ben nascosta dietro il prato verde, le casette bianche. Il matrimonio, la vita familiare sono un desolante deserto, una gabbia di frustrazioni, bugie, rimpianti per come doveva essere e non è stato, disperazione rabbiosa. I racconti più impietosi sono gli ultimi due "Voli separati" e "Non abitiamo più qui", quando le illusioni si infrangono, ti ritrovi accanto un estraneo di cui non sopporti nemmeno la vista, fai finta di dormire, perdendoti nell'alcol e nei tuoi pensieri, ma resti in quell'inferno nonostante tutto per i figli, per vigliaccheria, perché non sai dove altro andare, provando a tenere insieme i cocci ma l'infelicità dilaga e sommerge tutto, sarà sempre così, ti trovi in un labirinto senza uscita e non puoi farci niente. Ogni giorno dovrai fare i conti con tutto questo, andando avanti, affondando poco a poco.
Una notte buia circonda queste storie, rischiarate da brevi fugaci attimi di luce, un abbraccio davanti al fuoco, una mattina spensierata con i propri figli, ma forse non basta nemmeno questo.
A fine lettura ero avvolta da questa greve infelicità che si respira in ogni pagina, inquieta perché sapevo che quelle non erano soltanto storie racchiuse in un libro, quella infelicità, quel buio spaventoso, quella solitudine, quel disamore, quella strisciante insoddisfazione mi appartengono, sono reali. Tutto questo non svanisce quando chiudo il libro, me lo porto dentro, me lo sento addosso, è qualcosa con cui tutti dobbiamo fare quotidianamente i conti, cercando di sopravvivere per non affogare.
Quelle anime stanche, alla deriva, terrorizzate dal buio siamo noi.
"Ma il suo cuore era come una pietra, il suo cuore era un orologio, il suo cuore era un occhio che la guardava."
"Osservava il viso di lui che parlava, quel viso su cui Miranda non esisteva. E dove esisteva allora? Quali saranno gli occhi che mi cattureranno, gli occhi di quale persona potranno mai riconoscermi quando i miei stessi occhi, ogni volta che mi guardo al mattino, non mi riconoscono?"
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