domenica 11 febbraio 2018

Una risata nel buio

Una risata nel buio, V. Nabokov
"A volte la morte è il finale di quella barzelletta che è la vita."
 Con un incipit inaspettato e fulmineo lo scrittore dispettoso svela quella che sarà la trama del libro, scrivendo apertamente quello che accadrà. Un uomo ricco e rispettabile abbandona la moglie per la giovane amante, e siccome Nabokov è adorabilmente perfido precisa anche che, non riamato, la sua vita finirà "nel peggiore dei modi". A questo punto strizza l'occhio al lettore, potrebbe fermarsi qui, in fondo ha già svelato il contenuto del libro, ma vale comunque la pena di raccontare questa storia perché i particolari possono rivelarsi interessanti, tutto quello che non è racchiuso nelle prime cinque righe rappresenta l'essenza stessa del romanzo, ossia letteratura. Soltanto uno scrittore geniale come Nabokov poteva fare una cosa del genere senza togliere nulla alla sua opera, che cattura e avvince fino alla fine. La trama non è tutto, i particolari, i dettagli che costellano la nostra fragile esistenza e ci rendono quello che siamo, le sfumature, le luci e le ombre, il modo di animare e raccontare una storia questo sì fondamentale ed essenziale, sono la vera anima del romanzo. Così come le epigrafi poste sulle lapidi non racchiudono l'esistenza intera di chi è sepolto là sotto, così quelle scarne righe iniziali non racchiudono il romanzo nella sua interezza e nulla tolgono alla narrazione.
La prima versione del libro "Kamera obscura" fu scritta in russo, poi riscritta in inglese e pubblicata nel 1937 divenne una risata nel buio, Laughter in the dark.
Un racconto che sembra una fiaba nera, una storia a tinte fosche e cupe che esplora l'abisso più profondo dell'animo umano, i suoi impulsi irrefrenabili, meschinità e miserie, arte sublime e squallore, il piacere sensuale che offusca la razionalità e il buon senso, incapacità di vedere e buio rivelatore, eppure aleggia su tutto un'ironia feroce, alcuni eventi per quanto drammatici sembrano quasi una farsa, una grottesca commedia degli orrori sospesa tra l'abisso e il ridicolo.
Berlino anni 30, il protagonista Albinus è un uomo maturo, piacente, occhi azzurri, una lieve balbuzie, stimato critico d'arte, benestante, una vita tranquilla e agiata, una bella famiglia. Sua moglie Elisabeth è una donna eterea e pudica, un chiarore soffuso e labile. Albinus ha tutto, ma vuole evadere dalla sua gabbia dorata e rassicurante, vuole vivere appassionatamente e il destino gli viene in aiuto.
Uno sguardo furtivo nel buio di un cinema ed ecco che la sua vita cambia. Margot ha diciotto anni, "il viso pallido, imbronciato, di una bellezza struggente". Descritta con pochi sapienti tratti di colore, quasi una fotografia, caschetto nero, occhi allungati, bella, scaltra, sensuale e astuta.
Da questo momento in poi la serena quotidianità domestica si infrange e nulla sarà più come prima. Albinus rispettabile e colto gentiluomo, Margot bella e spregiudicata, Axel ironico, istrionico e pungente, vertici di uno strambo triangolo.
Sembra quasi di leggere una sceneggiatura, una scrittura che in modo diretto ed essenziale si dipana sotto gli occhi del lettore, rivelando le vite mediocri dei suoi protagonisti come fossero sequenze di un film assurdo.
Il racconto di un'intensa storia d'amore, in balia della passione più sfrenata e appagante? Forse, ma là fuori nel buio qualcuno ghigna e sorride, tirando le fila del gioco come un abile e scaltro burattinaio, facendo precipitare la farsa in tragedia, lasciandoci in bocca un sapore amaro venato di malinconia.
Molti anni dopo quella passione ardente e irrinunciabile, quel fuoco bruciante, irrazionale e pericoloso a cui sacrificare tutto a costo della vita stessa si chiamerà Lolita.
 
Lui le afferrò i polsi e con la violenza che nasce dalla timidezza tentò di baciarla, ma lei si chinò e le labbra di lui si posarono sul cappellino di velluto.
"Mi lasci andare" mormorò lei, con il capo chino.
"Non deve farlo, lo sa bene."
"Lei però non vada via" esclamò lui. "Non ho nessun altro al mondo che lei."
 
 

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