Rayuela, Cortàzar (1963)
Rayuela, il gioco del mondo, un viaggio dalla terra al cielo, il cui centro è l’amore, un viaggio di un uomo tra gli uomini. Un libro complesso e impegnativo, che spesso ti porta a rileggere frasi, parole, ampi flussi di coscienza per coglierne l’essenza. Ricco di digressioni e riferimenti musicali, pittorici e letterari, voli del pensiero a cui a volte si fatica a stare dietro. Leggere questo libro è percorrere un sentiero tortuoso e sconosciuto, a volte vorresti abbandonarlo e tornare su un percorso noto e comodo, invece rimani inchiodato alla pagina arrancando dietro parole oscure e frasi talmente belle da leggerle ad alta voce, una due tre volte, e quando arrivi alla fine sei spossato, ma felice perchè ne è valsa la pena e il paesaggio da lassù è incantevole. C’è tutta la vita dell'uomo in questo gioco, dall’amore al dolore, alla filosofia, alla ricerca impossibile del centro e di se stessi, lucida follia. Questo libro è una sfida per il lettore, un’avventura, un incredibile viaggio, unico nel suo genere. Ma è soprattutto il gioco dello scrittore con il lettore, che dovrà entrare nel labirinto della sua mente e della sua particolare scrittura orientandosi tra multiformi frammenti sparsi.
Il libro può essere letto nel modo tradizionale, lineare e in un secondo modo suggerito dalla scrittore saltellando da un capitolo all’altro, avanti e indietro. La lettura tradizionale si conclude con il capitolo 56, dove terminano le prime due parti del romanzo, la seconda lettura include anche la terza parte del libro, fornisce al lettore ulteriori dettagli e sembra non avere mai fine, gli ultimi capitoli infatti rimandano continuamente a se stessi.
Dimenticate l’impianto narrativo tradizionale, prendete un sassolino e un gessetto e iniziate a giocare.
«La Rayuela (Il gioco del mondo) si gioca con un sassolino che bisogna spingere con la punta della scarpa. Ingredienti: un marciapiedi, un sassolino e un bel disegno fatto col gessetto, preferibilmente a colori. In alto sta il cielo, sotto sta la terra, è molto difficile arrivare con il sassolino al cielo, quasi sempre si fanno male i calcoli e il sassolino esce dal disegno. Poco a poco, nonostante tutto, si comincia ad acquisire la necessaria abilità per salvare le diverse caselle, (Rayuela chiocciola, Rayuela rettangolare, Rayuela fantasia, poco usata) e un giorno si impara a uscire dalla terra e a far risalire il sassolino fino al cielo, fino ad entrare nel cielo (…), il brutto è che proprio a quel punto, quando quasi nessuno ha ancora imparato a far risalire il sassolino fino al cielo, finisce di colpo l’infanzia e si casca nei romanzi, nell’angoscia da due soldi, nella speculazione di un altro cielo al quale bisogna comunque imparare ad arrivare. E siccome si è usciti dall’infanzia… ci si dimentica che per arrivare al cielo si ha bisogno di questi ingredienti, un sassolino e la punta di una scarpa».
“Tocco la tua bocca, con un dito tocco il bordo della tua bocca, comincio a disegnarla come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si aprisse, e mi basta chiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare, faccio nascere ogni volta la bocca che desidero, la bocca che la mia mano ha scelto e ti disegna sulla faccia, una bocca scelta tra tutte, con la sovrana libertà che scelgo per disegnarla con la mia mano sulla tua faccia, e che, per un azzardo che non cerco di comprendere, coincide esattamente con la tua bocca che sorride sotto quella che la mia mano ti sta disegnando.
Mi guardi, da vicino mi guardi, sempre più da vicino e allora giochiamo a fare il ciclope, ci guardiamo tanto da vicino che i nostri occhi si allargano, si attaccano tra di loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirano confusi, le bocche s’incontrano e lottano nel tepore, si mordono con le labbra, appoggiano appena la lingua tra i denti, giocano nei loro recinti là dove un’aria pesante va e viene col suo profumo antico e il suo silenzio. Allora le mie mani cercano di immergersi nei tuoi capelli, di accarezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre noi ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranze oscure. E se ci addentiamo, il dolore è dolce, e se affoghiamo in un breve e terribile assorbirsi dell’alito, quell’istantanea morte è bella. E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare su di me come una luna nell’acqua.”
“E non le parlo con le parole che sono servite unicamente a non capirci, adesso che è tardi ormai comincio a sceglierne altre,le sue, quelle che sono avvolte in ciò che lei capisce e che non ha nome,brezze e tensioni che contraggono l’aria fra due corpi o riempiono di polvere d’oro una camera o un verso.Ma non abbiamo continuamente vissuto così,lacerandoci con dolcezza?
Ci sono fiumi metafisici, lei vi nuota come quella rondine sta nuotando nell’aria,girando allucinata intorno al campanile, lasciandosi cadere per poi alzarsi più alta di slancio. Io descrivo e definisco e desidero quei fiumi, lei vi nuota. Io li cerco, li trovo, li guardo dal ponte,lei vi nuota. E non lo sa, proprio come la rondine. Non ha bisogno di sapere come me, può vivere nel disordine senza che alcuna coscienza di ordine la trattenga.Quel disordine è il suo ordine misterioso, quella bohème del corpo e dell’anima che le spalanca le vere porte. La sua vita non è disordine che per me,sotterrato in pregiudizi che disprezzo e allo stesso tempo rispetto. Io, condannato ad essere assolto irrimediabilmente dalla Maga che mi giudica senza saperlo. Ah, lasciami entrare, lasciami vedere un giorno come vedono i tuoi occhi.
Inutile. Condannato ad essere assolto. Torna a casa, e leggi Spinoza. La Maga non sa chi sia Spinoza.La Maga legge interminabili romanzi di russi e tedeschi e li dimentica immediatamente. Non sospetterà mai d’avermi condannato a leggere Spinoza. Giudice inaudito, giudice per grazia delle sue mani, delle sue corse in mezzo alla strada, giudice perché mi guarda e mi lascia ignudo, giudice perché balorda e infelice e disorientata e ottusa e men che niente. Per tutto quello che so dal mio amaro sapere, con il mio marcio metro da universitario e da uomo illuminato, per tutto questo, giudice. Lasciati cadere rondine, con quelle affilate forbici che ritagliano il cielo di Saint-Germain-des-Près, strappa questi occhi che guardano senza vedere, sono condannato senza appello, pronto a quel patibolo su cui mi fan salire le mani della donna che cura il figlio suo, presto la pena, presto l’ordine falso di essere solo e di ricuperare la sufficienza, la egoscienza, la coscienza. E con tanta scienza un inutile desiderio di avere compassione di qualcosa, e che piova qui dentro, che finalmente cominci a piovere, a sapere di terra, di cose vive, sì, finalmente di cose vive.”(Rayuela)
Dichiara Cortàzar a proposito
del suo libro:“quella di proporre una doppia lettura risponde un po’ al modo
disordinato, anacronistico e fuori dal tempo normale con il quale ho scritto il
libro.
Questo uscire dal futuro per
tornare al passato e avvicinarsi al presente, tutto ciò dava al racconto una
plasticità che mi sembrava illogico far scomparire appiattendo il libro e
sviluppandolo come un qualsiasi romanzo dall’andamento lineare.Ovvero,
cominciare da un punto e finire all’estremo opposto. No. Questa poteva essere
una possibilità e infatti è il primo modo di lettura. Ma mi è sembrato che ci
dovesse essere una seconda opzione nella quale il lettore poteva saltare dai
capitoli successivi ai capitoli precedenti(…) il lettore si trova a che fare
con un libro che gli si muove tra le mani, che lo incita a spezzare
continuamente le nozioni di spazio e tempo.”
Riguardo al suo protagonista Horacio Oliveira afferma :ӏ un libro che ha per protagonista un uomo che
non è affatto un genio,e che cerca disperatamente qualcosa, senza sapere
esattamente cosa.
Lui è condannato alla ricerca, a
una ricerca senza una meta promessa né definita né definitiva, è come se
Oliveira riassumesse in sé il divenire della specie umana, sta sempre cercando
qualcosa, un qualcosa che quando si cerca di definirlo scivola in termini
astratti.Ciò che lui chiama centro sarebbe quella dimensione nella quale
l’essere umano può reinventare la realtà.Allora, che cos’è questo centro?questo
rifugio? Il centro è il risultato dell’eliminazione di tutto ciò che viene
rifiutato,e in realtà Rayuela è un’accumulazione di rifiuti. Oliveira distrugge
tutto al suo passaggio. Butta via tutto: donne, cose, tempo, città.Perchè solo
allora, dopo aver liquidato tutto ciò che lui voleva liquidare, c’è la speranza
di reinventare la realtà. L’altro centro che Oliveira sta cercando è il centro
che racchiude tutte le emozioni, la pietà, l’affetto, l’essere accolto da
un’altra persona, nel senso più ampio del termine, sensazioni delle quali lui
ha nostalgia e che non trova mai. Ciò che
completa ulteriormente il personaggio è questo non voler restare un apprendista
filosofo, perché Oliveira non è altro che un apprendista filosofo”.
E infine :”ciò che sto scrivendo sarà qualcosa di più
simile a un antiromanzo, il tentativo di rompere gli schemi in cui il genere è
pietrificato. L’ho cominciato da diverse parti simultaneamente, e sono nello
stesso tempo lettore e autore di quello che ne sta uscendo. Con Rayuela ho rotto una tale quantità di dighe e porte,
mi sono spezzato in tanti e vari modi(…) Spero che non le diano fastidio le
innovazioni tecniche del romanzo, capirà presto che gli apparenti capricci
hanno lo scopo di esasperare il lettore, di farlo diventare un complice, un
collaboratore dell’opera. Ho voluto scrivere un libro che si possa leggere in
due modi: come piace al “lettore femmina” o come piace a me,matita in mano,
litigando con l’autore, mandandolo al diavolo o abbracciandolo”. Rayuela è una
feroce scossa, un grido di allerta, un appello al disordine necessario(...) La
ricerca di quello che è “altro”, si questo è il tema centrale e la ragione
d’essere di Rayuela. L’intero libro si muove attorno a quel senso di mancanza,
di assenza, e anche se il protagonista è lontano dal giungere alla meta che
vagamente intravede, la sua epopea comica non è altro che la ricerca di un
Graal dove non c’è più il sangue di un Dio, ma forse il Dio stesso, quel Dio
però sarebbe l’uomo, qui giù,l’uomo libero da tutto ciò che lo condiziona e lo
deforma, a cominciare dagli dei medesimi. Horacio usa la maga come strumento di
ricerca dell’assoluto.Ricordo bene che mentre scrivevo, la relazione
Oliveira-Maga era per me anche una relazione Oliveira-lettore, perché quel
lettore era il mio caro antagonista,come lo è l’essere amato, ed esigevo un
atteggiamento di contatto critico, che mi lanciasse i piatti in testa come io
stavo facendo con lui.”
(dalle lettere di Cortàzar)
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