domenica 2 agosto 2015

Tutta la luce che non vediamo



Tutta la luce che non vediamo, Anthony Doerr

“Toccare veramente qualcosa, significa amarlo”.

1934 Marie-Laure vive a Parigi con il suo papà, è  una bambina dalla pelle candida, con i capelli rossi e le efelidi, ha perso la vista a sei anni, ma vede e sente a suo modo il mondo, soprattutto i colori, attraverso gli altri sensi. Costretti a fuggire dalla propria città  a causa dell’occupazione nazista  troveranno riparo a Saint-Malo presso la casa del bizzarro prozio Etienne uomo colto, che non esce di casa da anni, traumatizzato da un’altra guerra e assediato dai propri fantasmi.
Werner vive in un orfanotrofio in Germania  insieme alla sorellina Jutta, ama la radio e la scienza e grazie a questa sua passione riuscirà a sfuggire al duro lavoro in miniera e a entrare  presso l’accademia della gioventù hitleriana. Crescendo i loro destini finiranno per incrociarsi inevitabilmente, mentre infuria la guerra e il mostro nazista avanza.
Ambientato durante la seconda guerra mondiale questo romanzo è suddiviso in capitoli brevi che scandiscono la narrazione con uno stile terso e curato nei minimi dettagli, ogni capitolo è un piccolo gioiello. Ma al di là dell’impianto narrativo di cui non  anticipo altro, tutto il libro oscilla tra buio e luce.
 Il buio dell’anima di un ragazzino (Werner) cresciuto a due passi dalle miniere che hanno inghiottito per sempre  nelle viscere della terra  il padre, il buio degli occhi di una bambina di sei anni (Marie-Laure) quando all’improvviso il mondo si spegne e diventa un’enorme ombra nera, il buio della distruzione, della violenza disumana che spegne intelligenza  e sogni (Friedrich), dell’odio razziale, della follia della guerra, della propaganda ottusa.
E poi la luce della vita che va avanti malgrado tutto perché “la disperazione non dura e i malefici non esistono”, la luce di una ragazzina che continua a vedere il mondo a colori, lo sente lo tocca lo respira, lo trasforma in odori, profumi, suoni, “una ragazzina smilza e sveglia e dentro il petto le pulsa qualcosa di enorme, qualcosa di infinitamente desideroso, qualcosa d’intrepido”.
La luce  della passione per i libri  e per la scienza, la luce della mente, dell’amore indissolubile  di un padre per la figlia e di due fratelli, dell’immaginazione, libera e inviolabile, della fantasia che corre lontano, del dubbio critico  che si insinua dietro l’indottrinamento forzato, del “non lo faccio”, dell’abisso nero che si svela, la luce del sapere  e del progresso che apriranno le porte del futuro, la luce invisibile  che  forse riuscirà a liberarci dopo tanto orrore.
Quella  luce che non vediamo, ma che è lì dentro di noi, che ci avvolge e ci salva, se soltanto troviamo il coraggio di “aprire  gli occhi prima che si chiudano per sempre”, il coraggio di vivere.
Un libro delicato, poetico, splendido.

“Di martedì il museo è chiuso. Marie-Laure e suo padre dormono fino a tardi; bevono il caffè denso di zucchero. Fanno una passeggiata al Panthèon, o al mercato dei fiori, o lungo la Senna. Ogni tanto vanno in libreria. Lui le ravvia i capelli dietro le orecchie; se la fa dondolare sopra la testa. Le dice che è il suo émerveillement. Le dice che non la lascerà mai, mai nella vita.”

“Il mondo gira e rimbomba. Corvi che gridano, freni che sibilano(…) Marie-Laure strascica i piedi finchè la punta del bastone galleggia nello spazio. Il cordolo di un marciapiede? Uno stagno, una scala, un dirupo? Si gira di novanta gradi. Fa tre passi avanti. Adesso il bastone trova la base di un muro. “Papà…”
“Sono qui.”
Sei passi sette passi otto. Un boato di rumore(…) Marie-Laure lascia cadere il bastone; si mette a piangere. Suo padre la prende in braccio, se la stringe al torace scarno.
“E’ troppo grande “mormora lei.
“Ma tu puoi farcela, Marie.”

Marie-Laure  segue cavi e tubature, funi e ringhiere, siepi e marciapiedi. Coglie la gente di sorpresa. Non sa mai se la luce è accesa o spenta.
I bambini che incontra traboccano di domande : fa male? Per dormire li chiudi, gli occhi? Come fai a sapere che ore sono?
Non fa male, spiega lei. E non è un buio, non come lo immaginano loro. Tutto è fatto di tele e reticoli e terremoti di suoni e consistenze(…)
Il colore, un’altra cosa che la gente non si aspetta. Nella sua fantasia, nei suoi sogni, è tutto colorato. I fabbricati del museo sono beige, castagna, nocciola. Gli scienziati sono lilla e giallo limone e rosso volpe. Gli accordi di pianoforte gettano neri densi e azzurri complicati lungo il corridoio, suo padre emana migliaia di colori.

Lei si sdraia. Lui si accende un’altra sigaretta. Gliene restano sei. I pipistrelli si fiondano in picchiata dentro nugoli di moscerini, e gli insetti si disperdono e poi tornano in formazione.
Siamo topi, pensa lui, e il cielo brulica di falchi.

 

Nessun commento:

Posta un commento