Tutta la luce che non vediamo, Anthony Doerr
“Toccare veramente qualcosa, significa amarlo”.
1934 Marie-Laure vive a Parigi con il suo papà, è una bambina dalla pelle candida, con i
capelli rossi e le efelidi, ha perso la vista a sei anni, ma vede e sente a
suo modo il mondo, soprattutto i colori, attraverso gli altri sensi. Costretti a
fuggire dalla propria città a causa
dell’occupazione nazista troveranno
riparo a Saint-Malo presso la casa del bizzarro prozio Etienne uomo colto, che non
esce di casa da anni, traumatizzato da un’altra guerra e assediato dai propri
fantasmi.
Werner vive in un orfanotrofio in Germania insieme alla sorellina Jutta, ama la radio e la scienza e grazie a questa sua passione riuscirà a sfuggire al duro lavoro in miniera e a entrare presso l’accademia della gioventù hitleriana. Crescendo i loro destini finiranno per incrociarsi inevitabilmente, mentre infuria la guerra e il mostro nazista avanza.
Werner vive in un orfanotrofio in Germania insieme alla sorellina Jutta, ama la radio e la scienza e grazie a questa sua passione riuscirà a sfuggire al duro lavoro in miniera e a entrare presso l’accademia della gioventù hitleriana. Crescendo i loro destini finiranno per incrociarsi inevitabilmente, mentre infuria la guerra e il mostro nazista avanza.
Ambientato durante la seconda guerra mondiale questo romanzo
è suddiviso in capitoli brevi che scandiscono la narrazione con uno stile terso
e curato nei minimi dettagli, ogni capitolo è un piccolo gioiello. Ma al di là
dell’impianto narrativo di cui non anticipo altro, tutto il libro oscilla tra buio
e luce.
Il buio dell’anima di
un ragazzino (Werner) cresciuto a due passi dalle miniere che hanno inghiottito
per sempre nelle viscere della terra il padre, il buio degli occhi di una
bambina di sei anni (Marie-Laure) quando all’improvviso il mondo si spegne e
diventa un’enorme ombra nera, il buio della distruzione, della violenza disumana
che spegne intelligenza e sogni
(Friedrich), dell’odio razziale, della follia della guerra, della propaganda
ottusa.
E poi la luce della vita che va avanti malgrado tutto perché
“la disperazione non dura e i malefici non esistono”, la luce di una ragazzina
che continua a vedere il mondo a colori, lo sente lo tocca lo respira, lo
trasforma in odori, profumi, suoni, “una ragazzina smilza e sveglia e dentro
il petto le pulsa qualcosa di enorme, qualcosa di infinitamente desideroso, qualcosa
d’intrepido”.
La luce della passione
per i libri e per la scienza, la luce
della mente, dell’amore indissolubile di
un padre per la figlia e di due fratelli, dell’immaginazione, libera e
inviolabile, della fantasia che corre lontano, del dubbio critico che si insinua dietro l’indottrinamento
forzato, del “non lo faccio”, dell’abisso nero che si svela, la luce del sapere e del progresso che apriranno le porte del futuro, la luce invisibile che forse riuscirà a liberarci dopo tanto orrore.
Quella luce che non
vediamo, ma che è lì dentro di noi, che ci avvolge e ci salva, se soltanto
troviamo il coraggio di “aprire gli
occhi prima che si chiudano per sempre”, il coraggio di vivere.
Un libro delicato, poetico, splendido.
“Di martedì il museo è chiuso. Marie-Laure e suo padre
dormono fino a tardi; bevono il caffè denso di zucchero. Fanno una passeggiata
al Panthèon, o al mercato dei fiori, o lungo la Senna. Ogni tanto vanno in
libreria. Lui le ravvia i capelli dietro le orecchie; se la fa dondolare sopra
la testa. Le dice che è il suo émerveillement. Le dice che non la lascerà mai,
mai nella vita.”
“Il mondo gira e rimbomba. Corvi che gridano, freni che
sibilano(…) Marie-Laure strascica i piedi finchè la punta del bastone galleggia
nello spazio. Il cordolo di un marciapiede? Uno stagno, una scala, un dirupo? Si
gira di novanta gradi. Fa tre passi avanti. Adesso il bastone trova la base di
un muro. “Papà…”
“Sono qui.”
Sei passi sette passi otto. Un boato di rumore(…)
Marie-Laure lascia cadere il bastone; si mette a piangere. Suo padre la prende
in braccio, se la stringe al torace scarno.
“E’ troppo grande “mormora lei.
“Ma tu puoi farcela, Marie.”
Marie-Laure segue
cavi e tubature, funi e ringhiere, siepi e marciapiedi. Coglie la gente di
sorpresa. Non sa mai se la luce è accesa o spenta.
I bambini che incontra traboccano di domande : fa male? Per
dormire li chiudi, gli occhi? Come fai a sapere che ore sono?
Non fa male, spiega lei. E non è un buio, non come lo
immaginano loro. Tutto è fatto di tele e reticoli e terremoti di suoni e
consistenze(…)
Il colore, un’altra cosa che la gente non si aspetta. Nella
sua fantasia, nei suoi sogni, è tutto colorato. I fabbricati del museo sono
beige, castagna, nocciola. Gli scienziati sono lilla e giallo limone e rosso volpe. Gli
accordi di pianoforte gettano neri densi e azzurri complicati lungo il
corridoio, suo padre emana migliaia di colori.
Lei si sdraia. Lui si accende un’altra sigaretta. Gliene
restano sei. I pipistrelli si fiondano in picchiata dentro nugoli di moscerini,
e gli insetti si disperdono e poi tornano in formazione.
Siamo topi, pensa lui, e il cielo brulica di falchi.
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