venerdì 7 dicembre 2018

Come Dio comanda

Come Dio comanda, Niccolò Ammaniti
"Io e te siamo una cosa sola. Io ho te e tu hai me.
Non c’è nessun altro. E quindi Dio non ci dividerà mai."
Un paesaggio spoglio e desolato, campi coltivati, tralicci della luce, scheletri neri contro l'orizzonte, fabbriche e centri commerciali, capannoni abbandonati e fatiscenti, strade lucide d'asfalto e pioggia che cade grigia e sottile su esistenze ai margini, affogate nell'alcol, nella disperazione, nel lavoro che non c'è, nella violenza. Pioggia fitta che gela le ossa e anestetizza l'anima.
Varrano, un paese anonimo e grigio sperduto in una pianura sconfinata. In questo scenario arido e disperato si muovono stancamente gli antieroi di questo romanzo, poveri disgraziati allo sbando che vivono di espedienti, pochi soldi, lavoro saltuario, tanti guai, la bottiglia come ancora di salvezza, la violenza cieca e brutale, l'unica legge.
Corrado Rumitz detto Quattro Formaggi come la pizza di cui è ghiotto, un disadattato dal cervello scombinato, fulminato dai cavi dell'alta tensione mentre pescava, vittima di scherno e prese in giro, scosso da tic, spasmi scomposti, una passione folle per il presepe.
Danilo Aprea, una vita normale, un lavoro, una bella famiglia. Ma poi un giorno tutto questo svanisce, la distrazione di un momento e ti trovi tra le mani il vuoto, la moglie va via, provando a rifarsi una vita e a lui rimane soltanto il senso di colpa lacerante e la bottiglia, unica amica fidata.
Rino Zeno, capelli rasati, muscoloso e tatuato, disoccupato, perennemente ubriaco e violento, con la bandiera nazista in camera, tra le mani una lattina di birra e un telecomando. Una vita allo sbando, tra alcol e sigarette, tanta rabbia cieca in corpo e un'unica certezza, Cristiano, suo figlio, l'unica cosa bella in questa vita storta e sbagliata. La sua unica paura quella di perderlo, che qualcuno possa separarli. Cristiano ha tredici anni, alto e magro come un chiodo, sveglio e coraggioso, è cresciuto in fretta, senza una madre e con un padre ribelle che lo ama a modo suo, che vuole insegnarli a difendersi, a cavarsela in ogni circostanza, senza farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Ha perso la sua innocenza, costretto a fare i conti con una realtà dura e selvaggia. Un legame fortissimo il loro, viscerale, simbiotico, indissolubile, sono soli al mondo e possono contare l'uno sull'altro, nessuno potrà mai dividerli. Su questa strana coppia vigila Beppe Trecca, l'assistente sociale ansioso e distratto, un uomo fragile e insicuro dalla vita sentimentale incasinata. E poi la scuola, Fabiana ed Esmeralda due ragazze bellissime, il sogno di ogni ragazzo.
In una notte apocalittica di buia tempesta, tra fulmini, acqua che allaga il mondo, fango, pozzanghere, un bosco inquietante e oscuro, come in un brutto incubo le vite e il destino dei vari personaggi si intrecciano e da quel momento in poi nulla sarà più come prima.
Questo romanzo, vincitore del premio Strega nel 2007, racconta con uno stile crudo, duro e diretto di queste vite allo sbando, sopraffatte da una violenza cieca e brutale, bestiale e disumana come un pugno nello stomaco.
Un libro che trasuda desolazione tetra e senza speranza in ogni pagina, una violenza che è anche verbale e si traduce in un linguaggio forte, volgare, spietato. Antieroi negativi ed emarginati, che puzzano di birra e sudore, terra e fango, si aggirano in un paesaggio spettrale dove il buio prevale sulla luce. Menti agitate da demoni personali e pensieri perversi, bruciate dall'infelicità e da un profondo disagio esistenziale. Uomini randagi e incattiviti che mordono appena cerchi di fargli una carezza, bastonati dalla vita, sconfitti, marci dentro. Soli, feroci, in bilico tra rabbia furiosa e cupa disperazione.
Prese in giro crudeli, rancore covato per anni, amori smarriti lungo la strada, fantasie che generano mostri che in una notte di tempesta prendono vita, divorando tutto.
Un libro che ci parla di amore, morte, disperazione, di un mondo di reietti che cercano di sopravvivere nel buio.
E oltre il buio fitto una luce fioca e lontana, pallida fiammella guizzante al vento che però non si spegne, resiste, non riesce a rischiarare tutto il buio nero immenso, ma getta una luce tremolante, che ti guida in qualche modo nell'oscurità e ti fa andare avanti a tentoni, piegato, ferito, zoppicante. Il rapporto di amore assoluto che lega un figlio a un padre, un legame che resiste a tutto, mai messo in discussione, che va oltre la violenza, la paura, l'orrore, la morte, indistruttibile, tenace, fortissimo, a volte tutto sbagliato. È questa la debole fiamma che rischiara questa lunga notte nera come inchiostro che pagina dopo pagina ci inghiotte, disorienta, terrorizza, travolgendoci come un fiume in piena con un ritmo incalzante e frenetico, che serra il respiro in gola. Non basta a cancellare l'orrore, ma è tutto quello che resta per sopravvivere in quel deserto desolato, in questa povera terra di nessuno senza eroi, dove la follia, la violenza, la solitudine, la disperazione sono il pane quotidiano, dove si vive nel presente travagliato e incerto, il passato non esiste più e il futuro è un miraggio lontano, dove ciascun personaggio agisce inseguendo i propri fantasmi deliranti, cercando tracce di improbabili miracoli, dove la vita scorre come dio comanda.
Quella debole luce è tutto ciò che resta in questa oscurità senza fine e forse non basta.
 
***
"Non parlare di libertà. Tutti sono bravi a parlare di libertà. Libertà di qua, libertà di là. Ci si riempiono la bocca. Ma che diavolo te ne fai della libertà? Se non hai una lira, un lavoro, hai tutta la libertà del mondo ma non sai cosa fartene. Parti. E dove vai? E come ci vai? I barboni sono i più liberi del mondo e muoiono congelati sulle panchine dei parchi. La libertà è una parola che serve solo a fottere la gente. Sai quanti stronzi sono morti per la libertà e nemmeno sapevano che cos'era? Sai chi sono gli unici ad averla? La gente che ha i soldi. Quelli sì... rimase in silenzio a rimuginare e poi poggiò la mano sul braccio del figlio. Vuoi vedere qual è la mia libertà? Cristiano fece sì con la testa. Rino tirò fuori da dietro la schiena una pistola. Questa signorina qui di cognome fa libertà e di nome fa 44 Magnum".
"Barcollò provando una vertigine, sollevò le braccia verso le nuvole, gettò la testa indietro e s'immaginò di cacciare fuori tutto quello che teneva dentro, quella rabbia nera, quella paura, quella sensazione di non contare un cazzo, di essere il più sfigato del pianeta, il più solo e disperato essere del mondo. Fuori. Sì, fuori. Doveva sputare fuori dalla bocca tutti i pensieri, tutte le angosce, tutto. E trasformarsi in un cane nero. Un cane nero, un cane senza cervello, che correva allungando le zampe, curvando la schiena, rizzando la coda. Toccava appena terra e si distendeva perfetto come un angelo."

 

 

 



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