martedì 5 dicembre 2017

Prima che tu dica pronto

Prima che tu dica pronto, Italo Calvino

Questa raccolta comprende alcuni racconti apparsi su riviste, altri inediti, scritti tra il 1943 da un giovanissimo Calvino e il 1984.
Racconti che partendo da un avvenimento quotidiano diventano simbolo di qualcos'altro ben più complicato e indefinito, come quando tra la folla in un lampo di folle saggezza si percepisce l'assurdità del tutto. Apologhi dietro cui si cela un preciso riferimento alla situazione politica del tempo, che con ironia, apparente leggerezza e semplicità toccano temi ancora attuali, muovendosi tra il passato di antiche civiltà perdute, il caos del presente, l'incertezza inquieta e angosciosa del futuro.
Il racconto che dà il titolo all'intera raccolta è attualissimo, esprimendo la solitudine e l'incomunicabilità, il tentativo disperato di colmare il vuoto dentro e fuori di noi, di "esistere" attraverso i fili del telefono o le più moderne tecnologie.
La migliore introduzione a questa raccolta sono le parole dello stesso scrittore.

"Spesso è un'insoddisfatta aspirazione di vita che spinge a scrivere, e l'espressione trovata sulla carta è pure la chiave per la vita."

"Faccio racconti di partigiani, di contadini, di contrabbandieri in cui partigiani, contadini, contrabbandieri non sono che pretesti a storie piene di colore, d'accorgimenti narrativi e d'acutezze psicologiche: in fondo non studio che me stesso, non cerco che di esprimere me stesso, non cerco di rappresentare che dei simboli di me stesso nei personaggi e nelle immagini e nella lingua e nella tecnica narrativa. Non sono in fin dei conti che uno dei vecchi scrittori individualisti che però s'esteriorizza in simboli d'interesse attuale e collettivo."
...

"Ora ci rincorriamo, giochiamo a denti stretti, l'amore, ecco l'amore uno dell'altra, una voglia di graffi e morsi uno dell'altra, pugni anche, sulle spalle, poi un bacio stanchissimo : l'amore.
"Vedi forse io ho paura di te. Ma non so dove rifugiarmi. L'orizzonte è deserto, non ci sei che tu. Tu sei l'orso e la grotta. Perciò io ora sto accucciata tra le tue braccia, perché tu mi protegga dalla paura di te."
"Non devi dirmi queste cose. Non si sarebbe più né l'orso né la grotta. E pure intorno a me non resterebbe che paura."
- Dì sono una cosa, io? dice.
-Ugh, dico.
Ho scoperto una piccola fossetta su una spalla, sopra l'ascella, soffice, senza osso sotto, del tipo di fossette delle guance. Parlo con le labbra sulla fossetta.
- Spalla come guancia, dico. Non si capisce niente.
- Come? chiede. Ma non le importa nulla di quel che dico.
- Corsa come giugno, dico, sempre nella fossetta. Lei non capisce quello che faccio ma è contenta e ne ride. E' una cara ragazza.
- Mare come arrivo, dico, poi tolgo la bocca dalla fossetta e ci poso l'orecchio per sentire l'eco. Non si sente che il suo respiro e, lontano e sepolto, il cuore.
- Cuore come treno, dico.
(...) E quello che facciamo adesso non è una cosa pensata più una cosa vera: il volo sopra i tetti, e la casa che svetta con le palme alla finestra di casa mia al paese, un grande vento ha preso il nostro ultimo piano e lo trasporta per i cieli e le fughe rossicce delle tegole.
Sulla riva del mio paese, il mare s'è accorto di me e fa le feste come un grande cane. Il mare, gigantesco amico, dalle piccole mani bianche che raspano la ghiaia, ecco che scavalca i contrafforti dei moli, impenna la bianca pancia e salta i monti, eccolo che arriva festoso come un immenso cane dalle zampe bianche di risucchio. Tacciono i grilli, tutte le pianure sono invase, campi e vigneti, ora solo un contadino alza il tridente e grida: ecco il mare sparisce come bevuto dalla terra. Ciao mare.

(Amore lontano da casa)

"Storie non posso raccontartene dico, perché ho l'intercapedine. C'è un precipizio vuoto tra me e tutti gli altri. Ci muovo le braccia dentro ma non afferro niente, getto dei gridi ma nessuno li sente: è il vuoto assoluto."

(Vento in una città)

"È in questo silenzio di circuiti che ti sto parlando. So bene che, quando finalmente le nostre voci riusciranno ad incontrarsi sul filo, ci diremo delle frasi generiche e monche; non è per dirti qualcosa che ti sto chiamando, né perché creda che tu abbia da dirmi qualcosa. Ci telefoniamo perché solo nel chiamarci a lunga distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di un' eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s’è aperta sotto i piedi d’una coppia di esseri umani e gli abissi dell’oceano si sono spalancati a separarli mentre l’uno su una riva e l’altra sull’altra trascinati precipitosamente lontano cercavano col loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme e che si faceva sempre più flebile finché il rombo delle onde non lo travolgeva senza speranza. Da allora la distanza è l'ordito che regge la trama d'ogni storia d'amore come d’ogni rapporto tra viventi, la distanza che gli uccelli cercano di colmare lanciando nell’aria del mattino le arcate sottili dei loro gorgheggi, così come noi lanciando nelle nervature della terra sventagliate d’impulsi elettrici traducibili in comandi per i sistemi a relais: solo modo che resta agli esseri umani di sapere che si stanno chiamando per il bisogno di chiamarsi e basta."
"Come un bosco assordato dal cinguettio degli uccelli, il nostro pianeta telefonico vibra di conversazioni realizzate o tentate, di trilli di suonerie, del tinnire d’una linea interrotta, del sibilo d’un segnale, di tonalità, di metronomi; e il risultato di tutto questo è un pigolio universale, che nasce dal bisogno d’ogni individuo di manifestare a qualcun altro la propria esistenza, e dalla paura di comprendere alla fine che solo esiste la rete telefonica, mentre chi chiama e chi risponde forse non esistono affatto".

(Prima che tu dica pronto)

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