lunedì 11 dicembre 2017

Battito, tremore, infinito sospirare...

Parole come ferite che sanguinano, cicatrici indelebili dell'anima.

"Cara Connie,
volevo fare l’uomo forte e non scriverti subito, ma a che servirebbe? Sarebbe soltanto una posa. Ti ho mai detto che da ragazzo ho avuta la superstizione delle “buone azioni”? Quando dovevo correre un pericolo, sostenere un esame, per esempio, stavo attento in quei giorni a non essere cattivo, a non offendere nessuno, a non alzare la voce, a non fare brutti pensieri. Tutto questo per non alienarmi il destino. Ebbene, mi succede che in questi giorni ridivento ragazzo e corro davvero un gran pericolo, sostengo un esame terribile, perché mi accorgo che non oso esser cattivo, offendere gli altri pensare pensieri vili. Il pensiero di te e un ricordo o un’idea indegni, brutti, non s’accordano. Ti amo.
Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me. Amore, il pensiero che quando leggerai questa lettera sarai già a Roma – finito tutto il disagio e la confusione del viaggio -, che vedrai nello specchio il tuo sorriso e riprenderai le tue abitudini, e dormirai da brava, mi commuove come tu fossi mia sorella. Ma tu non sei mia sorella, sei una cosa più dolce e più terribile, e a pensarci mi tremano i polsi."

(17 Marzo 1950)

"Carissima, non sono più in animo di scrivere poesie. Le poesie sono venute con te e se ne vanno con te. Questa l’ho scritta qualche pomeriggio fa, durante le lunghe ore all’Hotel in cui aspettavo, esitando, di chiamarti. Perdonane la tristezza, ma con te ero anche triste. Vedi, ho cominciato con una poesia in inglese e finisco con un’altra. C’è in esse tutta l’ampiezza di quel che ho sperimentato in questo mese: l’orrore e la meraviglia. Carissima, non avercela a male se sto sempre parlando di sentimenti che tu non puoi condividere. Almeno puoi capirli. Voglio che tu sappia che ti ringrazio di tutto cuore. I pochi giorni di meraviglia che ho strappato dalla tua vita erano quasi troppo per me – bene, sono passati, ora comincia l’orrore, il nudo orrore e io sono pronto a questo. La porta della prigione è tornata a chiudersi di schianto…Farai in tempo a ricevere La luna e i falò. Forse sarà già ad aspettarti in North Vista Avenue prima che tu arrivi. Sono così contento che ci sia il tuo nome. Ricorda che ho scritto questo libro – interamente – prima di conoscerti, eppure in qualche modo sentivo in questo libro che stavi per venire. Non è stato meraviglioso viso di primavera, io di te amavo tutto, non solo la tua bellezza, il che è abbastanza facile, ma anche la tua bruttezza, i tuoi momenti brutti, la tua tachenoire, il tuo viso chiuso. E pure ti compiango. Non dimenticarlo."

(Lettera di Cesare Pavese a Constance Dowling,17 aprile 1950)

"L’amore è veramente la grande affermazione. Si vuole essere, si vuole contare, si vuole – se morire si deve – morire con valore, con clamore, restare insomma. Eppure sempre gli è allacciata la volontà di morire, di sparirci: forse perchè esso è tanto prepotentemente vita che, sparendo in lui, la vita sarebbe affermata anche di più?"

"Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perchè un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla".

(Il mestiere di vivere)

To C. from C.

You,
dappled smile
on frozen snows –
wind of March,
ballet of boughs
sprung on the snow,
moaning and glowing
your little “ohs”-
white-limbed doe,
gracious,
would I could know
yet
the gliding grace
of all your days,
the foam-like lace
of all your ways –
to-morrow is frozen
down on the plain
you, dappled smile,
you, glowing laughter

Tu,
screziato sorriso
su nevi gelate –
vento di Marzo,
balletto di rami
spuntati sulla neve,
gemendo e ardendo,
i tuoi piccoli “oh!” –
daina dalle membra bianche,
graziosa,
potessi io sapere
ancora
la grazia volteggiante
di tutti i tuoi giorni,
la trina di spuma
di tutte le tue vie –
domani è gelato
giù nella pianura –
tu, screziato sorriso,
tu, risata ardente.
...

The cats will know

Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l’alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.
Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.
Farai gesti anche tu.
Risponderai parole-
viso di primavera;
farai gesti anche tu.
I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l’alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi più non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffriremo nell’alba,
viso di primavera.

...

Ti ho sempre soltanto veduta,
senza parlarti mai,
nei tuoi istanti più belli.
Ma ho l'anima ormai tanto tesa,
schiantata dalla tua figura,...
che non trovo più pace
al suo brivido atroce.
E non posso parlarti,
nemmeno avvicinarmi,
ché cadrebbero tutti i miei sogni.
Oh se tale è il tremore orribile
che ho nell'anima questa notte,
e non ti conoscerò mai,
che cosa diverrebbe il mio povero cuore
sotto l'urto del sangue,
alla sublimità di te?
Se ora mi par di morire,
che vertigine folle,
che palpiti moribondi,
che urli di voluttà e di languore
mi darebbe la tua realtà?
Ma io non posso parlarti,
e nemmeno avvicinarmi:
nei tuoi istanti più belli
ti ho sempre soltanto veduta,
sempre soltanto sognata.


...

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

(C. Pavese)

 
 
 


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