La ragazza interrotta , Susanna Kaysen (1993)
“Quando sei triste hai bisogno di sentire il tuo dolore
fatto musica”.
In questo diario la scrittrice racconta l’esperienza del suo
ricovero in una clinica psichiatrica (che aveva annoverato tra i suoi pazienti illustri
Sylvia Plath, Robert Lowell, Ray Charles) nel 1967 quando aveva soltanto 18 anni ed era una ragazza inquieta, tormentata
e infelice, ci descrive i propri pensieri più intimi e le ragazze conosciute nel
reparto. La diagnosi ufficiale: disturbo della personalità borderline, ma labile
è il confine tra normalità e follia ed è proprio questa linea sottile che separa dal
baratro a terrorizzare i presunti
"normali" o sani di mente.
Lo stile è distaccato, a tratti ironico, sintetico, estremamente realistico nel descrivere episodi crudi e drammatici. Da questo libro è stato
tratto il celebre film “ragazze interrotte” che valse ad Angelina Jolie un Oscar
come migliore attrice non protagonista nel duemila. Il libro è però nettamente
diverso dal film, soprattutto nel finale.
Il titolo del romanzo rimanda a un dipinto che aveva colpito
particolarmente Susanna al punto da farla piangere , “il concerto interrotto” di Vermeer, dove una
ragazza guarda intensamente fuori dal quadro, lontano, in cerca di uno sguardo che incontri il suo.
Le sembra quasi che voglia metterla in guardia, “premurosa o
triste, interrotta mentre suona, strappata e fissata sulla tela nella imperfetta e minacciosa luce della vita”.
Il film mi aveva colpito maggiormente, tuttavia ho apprezzato anche il libro,
diretto, intenso, scarno ed essenziale.
"La gente ti chiede: come ci sei finita? In realtà, quello che vogliono sapere è se c'è qualche probabilità
che capiti anche a loro. Non posso rispondere alla domanda sottintesa. Posso
solo dire che è facile. Ed è facile scivolare in un universo parallelo. Ce ne
sono tanti: mondi di pazzi, criminali, storpi, moribondi, forse anche di morti.
Sono mondi paralleli a questo e gli somigliano, ma non ne fanno
parte. Nell'universo parallelo le leggi della fisica sono sospese. Non necessariamente ciò che sale scende, un corpo in stato di quiete
non tende a rimanerci, e non è detto che ogni azione provochi una reazione
uguale e contraria. Anche il tempo va diversamente. Può avere andamento
concentrico, scorrere all'incontrario, saltellare dal presente al passato. La
disposizione stessa delle molecole è fluida: i tavoli possono diventare
orologi; le facce, fiori. Ma queste sono cose che si scoprono in seguito. Un
altro aspetto singolare dell'universo parallelo è che, pur essendo invisibile
da questa parte, quando ci sei dentro ti è facile vedere il mondo da cui
provieni. A volte sembra immane e minaccioso, tremolante come un enorme ammasso
di gelatina; altre volte è lillipuziano e attraente, rotante e luminoso nella
sua orbita. Comunque sia, non lo puoi ignorare.
Ad Alcatraz ogni finestra ha la vista su San Francisco."
Ad Alcatraz ogni finestra ha la vista su San Francisco."
“Controllo”. Non finiva mai, nemmeno di notte, era la nostra
ninnananna.
Era il nostro metronomo, il nostro polso. Era la nostra vita misurata in dosi appena un po' più grandi di quei famosi cucchiaini da caffè. Cucchiai da minestra, magari. Cucchiai di latta ammaccati, traboccanti di ciò che avrebbe dovuto essere dolce ma era acido, andato a male, passato senza poterlo assaporare: la nostra vita.
Era il nostro metronomo, il nostro polso. Era la nostra vita misurata in dosi appena un po' più grandi di quei famosi cucchiaini da caffè. Cucchiai da minestra, magari. Cucchiai di latta ammaccati, traboccanti di ciò che avrebbe dovuto essere dolce ma era acido, andato a male, passato senza poterlo assaporare: la nostra vita.
"Stavolta lessi il titolo del quadro: ragazza interrotta
mentre suona.
Interrotta mentre suona: com’era stata la mia vita,
interrotta nella musica dei miei diciassette anni, com’era stata la sua vita,
strappata e fissata su tela: un momento reso immobile, per tutti gli altri
momenti, qualsiasi cosa fossero o avrebbero potuto essere. Quale vita può
guarirne?
Adesso avevo qualcosa da dirle.”Ti vedo”, dissi.
Il mio fidanzato mi
trovò che piangevo nel corridoio.
“Cos’è successo?” domandò.
“Ma non vedi, lei sta cercando di venirne fuori” dissi,
indicandola.
Guardò il quadro, guardò me e disse:” non fai che pensare a te
stessa. Non capisci niente di arte”.
Si allontanò per guardare un Rembrandt.
Da allora sono tornata al Frick , per guardare lei e gli
altri due Vermeer. Gli altri due quadri sono autosufficienti. I personaggi si
guardano l’un l’altro: la signora e la domestica, il soldato e la sua
innamorata. Vederli è come sbirciare attraverso un buco in una parete. E la parete
è fatta di luce: quella luce di Vermeer del tutto credibile eppure irreale. Una
luce così non esiste, ma vorremmo che ci fosse. Vorremmo un sole che ci rendesse
giovani e belli, vorremmo vestiti che scintillano e s’increspano sulla pelle,
vorremmo soprattutto che un nostro sguardo bastasse a ravvivare tutti quelli
che conosciamo, come succede alla domestica con la lettera e al soldato col
cappello.
La ragazza che suona posa in un altro genere di luce,
l’intermittente, minacciosa luce della vita, che ci fa vedere noi stessi e gli
altri solo in modo imperfetto, e assai di rado."
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