martedì 9 luglio 2019

Si sta facendo sempre più tardi

Si sta facendo sempre più tardi, Antonio Tabucchi
"E ti direi anche che ti aspetto, anche se non si aspetta chi non può tornare..."
L'immagine di copertina di questo libro è una bella fotografia di Eddie Kuligowski, un abbraccio di quelli che tolgono il respiro. Lui e lei di schiena, giacca sgualcita, cappello da sole, eppure qui non mancano le zone d'ombra.
Un romanzo epistolare, diciassette lettere scritte da personaggi maschili a donne misteriose e lontane, smarrite nei labirinti oscuri e nebulosi del tempo e della memoria tra malinconia e nostalgia.
E infine un'ultima lettera, risposta remota e inesorabile.
Un puzzle dove i pezzi non si incastrano tra loro, foto sfocate dai contorni sbiaditi, un sentiero che si interrompe bruscamente o si perde nel nulla, c'è sempre qualcosa che sfugge e sfuma nell'indefinito.
Un libro che inizialmente lascia perplessi.
Ho faticato non poco nel decifrare le prime lettere, mi sfuggiva il loro significato più profondo.
Più leggevo più mi sembravano impenetrabili, un mero esercizio di virtuosismo stilistico, una scrittura visionaria, surreale, onirica, numerosi riferimenti letterari, sprazzi di pura poesia a comporre un insieme indecifrabile ed enigmatico.
Come perdersi in un labirinto, girando a vuoto.
Da un certo momento in poi le nebbie si sono diradate, la narrazione è diventata fluida e chiara e ho trovato la giusta chiave di lettura. In particolare in una lettera c'è un passaggio che mi è sembrato una sorta di salvagente lanciato dallo scrittore al povero lettore smarrito in balia delle onde. Questo qui: "Sono storie senza logica, prima di tutto. Detto fra noi, mi piacerebbe proprio trovare quello che ha inventato la logica per cantargliene quattro. E senza rime, soprattutto senza rime, dove una cosa non torna con un'altra cosa, un pezzo di storia con un altro pezzo di storia, e tutto risulta così, come è la vita, che non obbedisce a rime, e ciascuna vita ha il suo accento, che è diverso dall'accento altrui. Eventualmente qualche rima interna, ma quelle, valle a capire."
Non c'è logica razionale in quello che si legge, ciascuna lettera segue un itinerario tutto suo, il passato, il presente e il futuro si confondono e danzano vorticosamente insieme, le lancette dell'orologio impazzite, il tempo che si srotola come un nastro, avanti e indietro, sfiorando un presente inquieto.
In alcune lettere lo scrittore si diverte a ingarbugliare le cose, in altre raggiunge vette di puro lirismo, gioca con un'ironia cinica e beffarda, trasmette il peso logorante dell'assenza, del vuoto, del non senso del tutto, in altre ancora ci racconta la bellezza della musica o di quell'amore perso chissà dove, unico rimedio all'insensatezza del mondo.
Un buco nella rete alla ricerca di un'improbabile via di fuga, un biglietto in balia della corrente, un fiume senza sponde né approdi, giochi proibiti, nuvole che nascondono il volto della luna, una lettera all'emoglobina, filo spinato e cieli di cobalto, temporali estivi, un'arpa con una corda sola, "Ich sterbe", un principe stanco del suo amore lunatico, Ofelia in minigonna annegata nel laghetto artificiale, ricordi d'amor perduto, il brutto addormentato nel bosco, una vecchia, struggente canzone napoletana, l'isola, una brezza che soffia dal mare e scompiglia i capelli, finestre affacciate su orizzonti sconfinati e paesaggi interiori immensi. Una nenia lenta, malinconica, lontana. Un messaggio in bottiglia.
Leggere questo libro è percorrere un cammino tortuoso e impervio avvolto dalla nebbia, ci sarà un panorama mozzafiato alla fine o un dirupo buio dove precipiterà il lettore sfinito?
Paesaggio che toglie il respiro e pazienza se per raggiungerlo hai dovuto faticare un po' tra sassi e rovi.
In questo libro enigmatico, misterioso, complesso, illogico, irrazionale, malinconico, dove il tempo segue un percorso tutto suo, quello della memoria e del ricordo, scandito dal pulsare del sangue e dai battiti del cuore, dove per orientarsi bisogna guardare il cielo stellato e quell'universo senza confini, lo scrittore prova a parlare d'amore, quell'amore che sfugge a ogni definizione logica e razionale, procedendo per lampi e frammenti, sentieri tortuosi e incerti, sempre più in fretta, prima che sia tardi.
L'amore è un labirinto oscuro e indecifrabile dove perdersi, attimi di luce e poi buio denso, mentre il tempo corre via veloce.
"Come vanno le cose, e cosa le guida: un niente".
E poi...
Tempo scaduto, destino ineluttabile, filo spezzato, game over.

***
"Perciò ti mando un saluto impossibile, come chi fa vani cenni da una sponda all'altra del fiume sapendo che non ci sono sponde, davvero, credimi, non ci sono sponde, c'è solo il fiume, prima non lo sapevamo, ma c'è solo il fiume, vorrei gridartelo: attenta, guarda che c'è solo il fiume!, ora lo so, che idioti, ci preoccupavamo tanto delle sponde e invece c'era solo il fiume. Ma è troppo tardi, a che serve dirtelo?"
"Le finestre a volte non hanno imposte, si aprono su orizzonti ben più larghi di quelli reali."
"A cosa serve un'arpa con una corda sola quando tutte le altre sono spezzate?"
"Canta l'Africa. Africa, ah, Africa che non ho mai conosciuto, Africa madre, Africa ventre, Africa che la mia Europa ha stuprato per secoli, Africa immensa, povera, malata eppure ancora allegra nonostante il cancro che ti rode, Africa che dici nha desventura, nha crecheu come si dice amore nella tua lingua che abbiamo imbastardito e che ora canta una popolana di Oporto, crecheu crecheu crecheu, nha desventura, Africa che maledetti banditi continuano a stuprare, Africa dove la luna è enorme e rossastra come si legge nei libri esotici, nell'assenza e nella distanza che mi separa da te, Africa dove molti continuano a scrivere per servitù nella lingua in cui io scrivo per libertà, puristi più dei puristi, come se le bidonville di Luanda, i terreni minati degli assassini fossero la loro Real Academia, il loro Port Royal, oh Africa del nomade Kapuscinski, del magnifico Luandino, oh Africa che ora passi sotto le finestre di questa pensioncina della Ribeira di Oporto attraverso l'imitazione incerta di una venditrice di arance, Africa, per favore riportami a casa mia; la mia casa che desidero, se ho ancora una casa, ecco, ora è giorno pieno, il sole d'inverno getta un raggio sulla coperta raggrinzita in fondo al letto, è ora di alzarsi, è ora di uscire, è ora di pensare chi non sei, così ti dici in silenzio, è davvero l'ora di pensare chi non sei."
"Fu più forte di me, mi avvicinai in punta di piedi, ti sfiorai i capelli, i capelli color del miele e ti dissi: donna sognatrice. E allora tu ti girasti e mi baciasti sulla bocca. E poi con l'indice sulle labbra che mi avevano baciato sussurrasti: sssst. Non dire una parola, John, ti prego, non è il momento, non dire niente. E io non dissi niente."
***
Colonna sonora, ovviamente questa:
"Te voglio, te penso, te chiammo
te veco, te sento, te sonno..."
(Passione, Roberto Murolo)




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