Anonimo veneziano, Giuseppe Berto
Venezia brumosa e autunnale, la nebbia novembrina che avvolge calli e antichi palazzi, Venezia malinconica, onirica, decadente, marcia, agonizzante, una città che torna a essere fango, bella da morire. Questa città non è soltanto sfondo sfumato da cartolina a questa triste vicenda, ma correlativo oggettivo dello stato d'animo dei due protagonisti, una città che vive e respira con loro.
Lui e Lei. Non hanno nome, sono soltanto un uomo e una donna.
Lui ha quarant'anni, abiti sgualciti, una vaga trasandatezza, un genio sfortunato, un musicista di talento, un cialtrone squattrinato, un eterno ragazzo dallo sguardo fermo, ironico, a tratti disperato. Lei è una giovane donna bella ed elegante, curata, una donna che un tempo ha amato quest'uomo, ha sofferto molto e ora ha paura. Non sa perché lui abbia voluto incontrarla a Venezia in un nebbioso giorno di novembre, dopo anni di oblio.
Ora è lì davanti a lui, occhi bassi, sulla difensiva, chiusa in se stessa, scostante, senza alcuna tenerezza.
Eppure in un tempo lontano sono stati marito e moglie, per la legge lo sono ancora, malgrado lei abbia un nuovo compagno. Lui è il padre di suo figlio.
Un amore tormentato, distruttivo, masochista, un amore che si nutre di passione e sofferenza, che lacera e ferisce. Un amore forte, tenace, violento, assoluto, che brucia come fiamma e lascia dietro di sé cenere e odio.
Tra i due ci sono litigi, discussioni, schermaglie velenose, il passato che ritorna rabbioso col suo carico di recriminazioni e rancore, un passato mai dimenticato. Volano accuse reciproche, infedeltà, assenze, abbandoni, nuovi amori di convenienza.
Lui si diverte a provocarla e a ferirla perché non riesce a tollerare quello sguardo lontano, diffidente, spaventato. La vuole disperatamente lì con sé nel suo effimero presente. Ha bisogno di lei. Non può farne a meno. Lei è sulla difensiva, teme un qualche imbroglio, che lui voglia portarle via il figlio o spillarle denaro, ora che con fatica è diventata una donna benestante, con una vita familiare tranquilla e agiata.
A spasso insieme per la città in un giorno di novembre, prima che il treno della sera la riporti a Milano. Una manciata di ore per fare i conti con un passato dolente e scoprire il motivo di quell'incontro misterioso e inatteso.
E poi lentamente l'odio e il rancore si sciolgono, riaffiorano i ricordi belli, i tempi felici, quando erano due ragazzi giovani affamati di vita e d'amore. Le barriere difensive, le brutte parole, l'ironia pungente e cattiva vengono meno. Ci sono un uomo e una donna che si amano ancora malgrado tutto il male che si sono fatti, sono lì senza maschera, occhi negli occhi, labbra su labbra in un bacio che è istante eterno, perfetto e compiuto in sé in quel momento e non ha bisogno di nient'altro.
La casa di un tempo, i sogni e quella vecchia trattoria ci sarà ancora? Il dialogo diventa aperto e sincero, si depongono le armi e quell'inquietudine, quella disperazione nello sguardo di lui vengono all'improvviso svelati. Il tempo si dilata e poi precipita. La verità brutale e spietata è talmente sconvolgente da sembrare irreale e poi parole vane, faticose, inutili, la voglia di scappare via e restare lì per sempre, la voglia disperata di morire insieme anche se è impossibile, anche se non servirebbe a nulla, perché la verità tremenda e atroce a cui nessuno può sfuggire è che si muore soli.
Un uomo che cerca la donna che non ha mai dimenticato e che ama ancora per vincere la sua paura più grande, "la paura della paura", per avere negli occhi e nel cuore il ricordo di quell'ultimo incontro, per provare a lenire la sofferenza e trovare il coraggio di accettare il proprio destino, andarsene con dignità.
In questo romanzo breve i dialoghi serrati e intensi, gli scorci descrittivi delineano la psicologia dei personaggi, le loro paure e inquietudini, personaggi umani, vinti che non si arrendono. La città, la musica, l'amore ritrovato e mai dimenticato ultimi baluardi contro la paura più grande, l'ultimo viaggio verso il mistero e l'ignoto. Numerosi i riferimenti all'Ecclesiaste e al celebre romanzo di Thomas Mann "La morte a Venezia", dove Venezia diventa scenario di amore e morte, bellissima, torbida, struggente.
Nato nel 1966 come sceneggiatura per l'omonimo film diretto da Enrico Maria Salerno che ebbe un enorme successo di pubblico, dramma in due atti edito da Rizzoli nel 1971, poi rielaborato nella forma di romanzo breve arricchito da brani narrativi nel 1976, questo libro racchiude le tematiche da sempre care allo scrittore, il tempo che scorre inesorabile, l'uomo che si confronta con il mistero più grande, la morte, il coraggio di affrontarla con dignità.
E infine la musica, il concerto per oboe e archi composto da un musicista sconosciuto del 1700, "l'Anonimo veneziano" di Alessandro Marcello, quelle note struggenti che sovrastano tutto, superando le miserie personali, gli amori impossibili, la musica come sogno di gloria, riscatto estremo, speranza, frammento d'eternità sottratto alla morte, qualcosa di vero e intenso da lasciare alle persone amate, sperando di sopravvivere nel loro ricordo e forse conquistare brandelli d'infinito.
Non è poi forse questo il fine ultimo dell'arte? Renderci immortali nel cuore di chi amiamo, per sempre.
Lui e Lei. Non hanno nome, sono soltanto un uomo e una donna.
Lui ha quarant'anni, abiti sgualciti, una vaga trasandatezza, un genio sfortunato, un musicista di talento, un cialtrone squattrinato, un eterno ragazzo dallo sguardo fermo, ironico, a tratti disperato. Lei è una giovane donna bella ed elegante, curata, una donna che un tempo ha amato quest'uomo, ha sofferto molto e ora ha paura. Non sa perché lui abbia voluto incontrarla a Venezia in un nebbioso giorno di novembre, dopo anni di oblio.
Ora è lì davanti a lui, occhi bassi, sulla difensiva, chiusa in se stessa, scostante, senza alcuna tenerezza.
Eppure in un tempo lontano sono stati marito e moglie, per la legge lo sono ancora, malgrado lei abbia un nuovo compagno. Lui è il padre di suo figlio.
Un amore tormentato, distruttivo, masochista, un amore che si nutre di passione e sofferenza, che lacera e ferisce. Un amore forte, tenace, violento, assoluto, che brucia come fiamma e lascia dietro di sé cenere e odio.
Tra i due ci sono litigi, discussioni, schermaglie velenose, il passato che ritorna rabbioso col suo carico di recriminazioni e rancore, un passato mai dimenticato. Volano accuse reciproche, infedeltà, assenze, abbandoni, nuovi amori di convenienza.
Lui si diverte a provocarla e a ferirla perché non riesce a tollerare quello sguardo lontano, diffidente, spaventato. La vuole disperatamente lì con sé nel suo effimero presente. Ha bisogno di lei. Non può farne a meno. Lei è sulla difensiva, teme un qualche imbroglio, che lui voglia portarle via il figlio o spillarle denaro, ora che con fatica è diventata una donna benestante, con una vita familiare tranquilla e agiata.
A spasso insieme per la città in un giorno di novembre, prima che il treno della sera la riporti a Milano. Una manciata di ore per fare i conti con un passato dolente e scoprire il motivo di quell'incontro misterioso e inatteso.
E poi lentamente l'odio e il rancore si sciolgono, riaffiorano i ricordi belli, i tempi felici, quando erano due ragazzi giovani affamati di vita e d'amore. Le barriere difensive, le brutte parole, l'ironia pungente e cattiva vengono meno. Ci sono un uomo e una donna che si amano ancora malgrado tutto il male che si sono fatti, sono lì senza maschera, occhi negli occhi, labbra su labbra in un bacio che è istante eterno, perfetto e compiuto in sé in quel momento e non ha bisogno di nient'altro.
La casa di un tempo, i sogni e quella vecchia trattoria ci sarà ancora? Il dialogo diventa aperto e sincero, si depongono le armi e quell'inquietudine, quella disperazione nello sguardo di lui vengono all'improvviso svelati. Il tempo si dilata e poi precipita. La verità brutale e spietata è talmente sconvolgente da sembrare irreale e poi parole vane, faticose, inutili, la voglia di scappare via e restare lì per sempre, la voglia disperata di morire insieme anche se è impossibile, anche se non servirebbe a nulla, perché la verità tremenda e atroce a cui nessuno può sfuggire è che si muore soli.
Un uomo che cerca la donna che non ha mai dimenticato e che ama ancora per vincere la sua paura più grande, "la paura della paura", per avere negli occhi e nel cuore il ricordo di quell'ultimo incontro, per provare a lenire la sofferenza e trovare il coraggio di accettare il proprio destino, andarsene con dignità.
In questo romanzo breve i dialoghi serrati e intensi, gli scorci descrittivi delineano la psicologia dei personaggi, le loro paure e inquietudini, personaggi umani, vinti che non si arrendono. La città, la musica, l'amore ritrovato e mai dimenticato ultimi baluardi contro la paura più grande, l'ultimo viaggio verso il mistero e l'ignoto. Numerosi i riferimenti all'Ecclesiaste e al celebre romanzo di Thomas Mann "La morte a Venezia", dove Venezia diventa scenario di amore e morte, bellissima, torbida, struggente.
Nato nel 1966 come sceneggiatura per l'omonimo film diretto da Enrico Maria Salerno che ebbe un enorme successo di pubblico, dramma in due atti edito da Rizzoli nel 1971, poi rielaborato nella forma di romanzo breve arricchito da brani narrativi nel 1976, questo libro racchiude le tematiche da sempre care allo scrittore, il tempo che scorre inesorabile, l'uomo che si confronta con il mistero più grande, la morte, il coraggio di affrontarla con dignità.
E infine la musica, il concerto per oboe e archi composto da un musicista sconosciuto del 1700, "l'Anonimo veneziano" di Alessandro Marcello, quelle note struggenti che sovrastano tutto, superando le miserie personali, gli amori impossibili, la musica come sogno di gloria, riscatto estremo, speranza, frammento d'eternità sottratto alla morte, qualcosa di vero e intenso da lasciare alle persone amate, sperando di sopravvivere nel loro ricordo e forse conquistare brandelli d'infinito.
Non è poi forse questo il fine ultimo dell'arte? Renderci immortali nel cuore di chi amiamo, per sempre.
***
"Alle quattro del pomeriggio stavamo già a letto insieme, in quella camera gelata, in fondamenta della Verona. Ti ricordi la mia camera in fondamenta della Verona?"
Certo, che si ricorda. Come si potrebbe dimenticare una camera in cui si va a letto con un uomo, quando è la prima volta che si va a letto con un uomo? Ed è bene rammentarlo, a lui, che era la prima volta. Sembra che tragga un po' troppo vantaggio dalla circostanza che lei non aveva impiegato che sei ore per decidere d'infilarglisi nel letto. "Era la prima volta" dice puntigliosa. "La prima volta che andavo con un uomo."
"E l'uomo era sbagliato" egli conclude con sorprendente sconforto. "Succede sempre così."
"Quando chi ti fa soffrire è uno che ami, l'unica possibilità di difesa è amarlo di meno, se ci riesci.
"Cos'hai?" Lei domanda.
Lui si ferma per guardarla e dice: "Poveri capelli tuoi, sono diventati spinaci."
"Sono brutta?"
"Direi di sì. Lascia che ti guardi meglio".
Le prende il viso tra le mani, le guarda dentro gli occhi, senza parole, chiedendole tuttavia aiuto, ormai è evidente che sta chiedendo aiuto. "Cos'hai?" essa ripete.
Si mette a scostarle i capelli, nel solito gioco d'amore ricordato. "Niente" dice.
"A me non puoi dire niente."
"Già, tu mi leggi dentro. Me n'ero dimenticato."
Fa di tutto per difendersi e lei n'è indispettita, e soprattutto non capisce. "Torni a farmi paura" dice.
"Ho di nuovo paura" lei dice. "Tu puoi farmi del male."
Questa volta, non si sogna nemmeno di smentirla. "Più di quanto non immagini" dice.
"Sta a vedere se io mi lascio fare del male."
"Non puoi evitarlo. Sei innamorata di me, sempre."
Lui si ferma per guardarla e dice: "Poveri capelli tuoi, sono diventati spinaci."
"Sono brutta?"
"Direi di sì. Lascia che ti guardi meglio".
Le prende il viso tra le mani, le guarda dentro gli occhi, senza parole, chiedendole tuttavia aiuto, ormai è evidente che sta chiedendo aiuto. "Cos'hai?" essa ripete.
Si mette a scostarle i capelli, nel solito gioco d'amore ricordato. "Niente" dice.
"A me non puoi dire niente."
"Già, tu mi leggi dentro. Me n'ero dimenticato."
Fa di tutto per difendersi e lei n'è indispettita, e soprattutto non capisce. "Torni a farmi paura" dice.
"Ho di nuovo paura" lei dice. "Tu puoi farmi del male."
Questa volta, non si sogna nemmeno di smentirla. "Più di quanto non immagini" dice.
"Sta a vedere se io mi lascio fare del male."
"Non puoi evitarlo. Sei innamorata di me, sempre."
(...) Lei ora si rivolta davvero. " E a me non piace affatto arrabbiarmi" dice con forza. " E andiamo via da qui, non posso sopportare questi posti."
"Hai tanta paura del passato?"
"Non si tratta di passato. E' che non posso più tollerare l'odore di questa città. Muore, torna ad essere fango.
Lui stranamente sorride, colpito dalla frase che sembra stimolare in lui un compiacimento perverso.
"Ma è proprio questo che la fa bella: muore."
"Hai tanta paura del passato?"
"Non si tratta di passato. E' che non posso più tollerare l'odore di questa città. Muore, torna ad essere fango.
Lui stranamente sorride, colpito dalla frase che sembra stimolare in lui un compiacimento perverso.
"Ma è proprio questo che la fa bella: muore."
"Ormai guardo le cose in un modo curioso, perché vorrei raccogliermele dentro. Ti sei accorta di come ti ho guardata tutto il giorno? Col tormento di non perdere niente di te. Non voglio perderti. Quando non vedrò più nulla, voglio vedere te, occhi e capelli e bocca, e le piccole rughe, fino all'ultimo istante."
Lei ora sta piangendo senza ritegno, ma anche senza rumore. "Basta" riesce a dire.
"Non piangere" lui le dice. "Ora la smetto. La smetto davvero. Mi faccio schifo. Però una cosa devi capire: io ti amo anche senza far l'amore."
"Lo so"
"Non ti ho mai amata quanto adesso. Altrimenti, perché mai ti avrei chiamata?"
"Neppure io ti ho mai amato quanto adesso"
"Allora va tutto bene. Nel migliore dei modi possibili."
Lei ora sta piangendo senza ritegno, ma anche senza rumore. "Basta" riesce a dire.
"Non piangere" lui le dice. "Ora la smetto. La smetto davvero. Mi faccio schifo. Però una cosa devi capire: io ti amo anche senza far l'amore."
"Lo so"
"Non ti ho mai amata quanto adesso. Altrimenti, perché mai ti avrei chiamata?"
"Neppure io ti ho mai amato quanto adesso"
"Allora va tutto bene. Nel migliore dei modi possibili."
"Ti scongiuro" egli le dice "Ti scongiuro, di' qualcosa, fa' qualcosa di sbagliato. Ho bisogno di odiarti, capisci. Se arrivo ad odiarti, non farò tanta fatica senza di te."
***
"Posso dire che in vita mia non avevo mai lavorato tanto per scrivere tanto poco, né mi ero mai così abbandonato al tormentoso piacere di permettere ai pensieri di cercarsi a lungo le parole più appropriate." (G. Berto)
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