Chi non ha sognato di perdersi su strade immense e sconosciute? Di salire su quel treno? Non si è sentito come Laura Brown almeno una volta nella vita? in cerca di un posto tranquillo dove leggere e dove nessuno possa trovarci, il peso faticoso del tempo, del fallimento e dell'intera esistenza sulle spalle.
Sto leggendo le ore di Cunnigham e mi sta piacendo moltissimo, questo libro tocca varie corde, vari stati d'animo, arriva in qualche modo alla parte segreta e oscura che si cela in ognuno di noi, intenso, lirico, graffiante, commovente.
E poi su tutto campeggia lei, immensa Virginia, i suoi libri, i suoi tormenti, la sua folle e lucida disperazione, la sua voce che attraversa tutto il libro, annodando in un unico filo il destino di tre donne, vissute in epoche diverse, così lontane, così uguali, così vicine a noi, a quello che siamo e sentiamo davvero.
"Mentre sfrega la schiena di Louis, Clarissa pensa: portami con te. Voglio un amore destinato a fallire. Voglio strade di notte,vento e pioggia, e nessuno che si chieda dove sono."
"Sono sola, pensa Virginia, mentre l'uomo e la donna proseguono su per la collina e lei continua a scendere. Ovviamente non è sola, non nel modo in cui chiunque altro la vedrebbe, eppure in questo momento, camminando nel vento verso le luci del Quadrante, riesce a sentire la vicinanza del vecchio diavolo (come altrimenti chiamarlo) e sa che sarà completamente sola se e quando il diavolo sceglierà di ricomparire. Il diavolo è un mal di testa; il diavolo è una voce dentro il muro; il diavolo è una pinna che rompe la superficie di onde scure. Il diavolo è il breve e cinguettante nulla che è stata la vita di un tordo. Il diavolo succhia tutta la vita dal mondo, tutta la speranza, e quel che resta quando il diavolo ha finito è un regno di morti viventi- privo di gioia, soffocante. Virginia sente, proprio adesso, una certa grandiosità tragica, perché il diavolo è tante cose ma non meschino, non sentimentale; ribolle di una verità letale, intollerabile. Proprio in questo momento, camminando, libera dal mal di testa, libera dalle voci, può affrontare il diavolo, ma deve continuare a camminare senza voltarsi. Quando raggiunge il Quadrante si volta verso la stazione ferroviaria. Pensa di andare a Londra, come Nelly per la commissione, anche se la commissione di Virginia sarà il viaggio stesso, la mezz'ora di treno, la possibilità di camminare da una strada all'altra, a un'altra ancora. Che salto! Che tuffo! Le sembra di poter essere felice, di poter prosperare, se ha Londra intorno a sè; se sparisce per un po' nella sua enormità, sfrontata e impudente ora sotto un cielo privo di minacce, tutte le finestre senza tende (qui il profilo austero di una donna, lì la corona di una sedia intagliata) il traffico, uomini e donne che se ne vanno spensieratamente in giro con i vestiti da sera; l'odore di cera e benzina, di profumo, mentre qualcuno suona il pianoforte; mentre clacson gemono e cani abbaiano, mentre l'intero carnevale rauco va avanti e continua, brillante, scintillante; mentre il Big Ben batte le ore, che cadono in cerchi di piombo sulle persone che vanno alle feste e sugli autobus, sulla regina Vittoria di pietra seduta davanti al palazzo tra le sue piattaforme di gerani, sui parchi che giacciono sprofondati nella loro solennità ombrosa dietro recinti di ferro nero.
Virginia scende le scale verso la stazione ferroviaria. La stazione di Richmond è allo stesso tempo una porta che conduce in altri luoghi e una destinazione in sè (...)
Sta meglio, è più al sicuro, se resta a Richmond; se non parla troppo, se non scrive troppo, se non prova troppe sensazioni; se non si reca precipitosamente a Londra e cammina per le sue strade; eppure così sta morendo, sta morendo delicatamente su un letto di rose. Meglio, davvero, affrontare la pinna nell'acqua che vivere nascondendosi, come se la guerra fosse ancora in corso...
La sua vita (ha già più di quarant'anni!) si sta consumando, misura dopo misura, e la carrozza carnevalesca di Vanessa- la sua festa gioiosa, la vita grande, i bambini e i colori e gli amori, la casa gioiosamente zeppa- è passata nella notte, lasciando dietro l'eco dei cembali, le note della fisarmonica, mentre le ruote si allontanano cigolando lungo la strada. No, non telefonerà dalla stazione: lo farà una volta arrivata a Londra, una volta che non si può più fare niente. Accetterà la sua punizione (...)
Pensa improvvisamente a quanto siano fragili gli uomini, a come siano pieni di terrori. In questo momento le sembra di essere a cavallo di una linea invisibile, un piede da questo lato, il secondo dall'altro. Da questa parte c'è il serio, preoccupato Leonard, la fila di negozi chiusi, l'altura scura che riporta a Hogarth House. Dall'altra parte c'è il treno. Dall'altro lato c'è Londra, e tutto ciò che Londra comporta: libertà, baci, arte in tutte le sue forme e il sottile scintillio scuro della follia. La signora Dalloway, pensa, è una casa in collina dove sta per cominciare una festa; la morte è la città in basso, che la signora Dalloway ama e di cui ha paura, e in cui vuole, in un certo senso, camminare tanto a lungo da non trovare più la strada per ritornare".
(Le ore, Cunningham)
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