Diari, Sylvia Plath
I Diari, frammenti dolorosi, pensieri sparsi, cronaca lucida e dettagliata di una vita che sta passando.
Sylvia la brillante studentessa, l'aspirante suicida, Lady Lazarus morta e risorta, l'appassionata, l'inquieta, la bambina che voleva essere Dio, la moglie ferita e tradita.
Un ritratto lucido e impietoso di Sylvia Plath, poetessa eccelsa, donna inquieta e tormentata, tra fantasmi e demoni interiori, mentre l'io ripete incessantemente la sua antica vanteria io sono io sono io sono e il cuore batte.
Ogni parola riflette la sua immagine, a tratti frantumata, sconvolta e in uno strano gioco di specchi anche la mia.
La sua voce diventa respiro universale, ancora oggi viva sotto il peso polveroso dei secoli, riecheggia dal passato, buca il presente, in un legame viscerale e simbiotico arriva fino a me a scuotermi e sconvolgermi.
Così vera, così forte, così lacerante.
Leggere Sylvia è tuffarsi nell'abisso.
Tic tac una vita sta passando, la mia.
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Adesso si è fatto tardi, tardi. E mi prende il solito panico da inizio settimana, perché non riesco a leggere e a pensare abbastanza...mentre alle mie spalle c’è sempre il tic tac che mi deride: Una Vita Sta Passando. La Mia Vita.
Proprio così...
E mi sono bevuta tutto lo sherry, scadente, e ho spaccato un po’ di noci, che dentro erano tutte aspre e rinsecchite, e il mondo materiale e inerte mi prendeva in giro. Domani? Continuerò a rappezzare maschere, inventando scuse per aver letto solo la metà di quello che volevo.
Eppure, una vita sta passando.
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Quante ragazze sognano di sposarsi dopo il college: guardale venticinque anni dopo, con gli occhi rugiadosi ormai raggelati, lo stesso aspetto, nessuna crescita tranne le escrescenze esteriori, simili a conchiglie di paguro. Sta’ attenta.
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Stasera sono brutta. Ho perso ogni fiducia nella mia capacità di attirare i maschi, e nell’animale femmina questa è una malattia alquanto patetica.
Ho una vita sociale pressoché nulla. L’unico legame con le uscite del sabato sera se n’è andato e non me n’è rimasto nessuno. Assolutamente nessuno.
Non c’è un ragazzo che mi interessi e ovviamente il sentimento è reciproco. Cos’è che attira gli altri? Ero sicura del mio aspetto, sicura del mio magnetismo, e il mio ego era soddisfatto.
Adesso, dopo tre appuntamenti al buio – due si sono rivelati un fiasco totale e anche il terzo si è afflosciato – mi chiedo come ho potuto mai pensare di essere appetibile. Ma nel mio intimo lo so.
Ero sempre piena di brio e sicura di me. Non cambiavo umore, non ero noiosa o compunta.
Ora capisco quello che voleva dire la protagonista di Celia Amberley, quando diceva: "Se mi bacia, vuol dire che andrà tutto bene. Sarò ancora attraente".
Prima di tutto ho bisogno di un ragazzo, un ragazzo qualsiasi, che sia affascinato dal mio aspetto – uno come Emile.
Poi ne cercherò uno autentico, che mi vada bene, all’istante. Fino ad allora sono perduta.
A volte penso di essere pazza.
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L’astratto uccide, il concreto protegge. Quanto aiuta spolverare, lavare i piatti tutti i giorni, parlare con gli amici che non sono matti e spolverano, lavano e pensano che questa sia la vita che c’è da vivere.
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Per me il presente è l’eternità e l’eternità è sempre in movimento, scorre, si dissolve. Questo attimo è vita. E quando passa, muore. Ma non si può ricominciare a ogni nuovo attimo, ci si deve basare su quelli già morti. È un po’ come le sabbie mobili… senza scampo fin dall’inizio. Un racconto, un quadro possono far rivivere un poco la sensazione, ma mai abbastanza, mai abbastanza. Niente è reale, eccetto il presente, e io mi sento già soffocare sotto il peso dei secoli. Un centinaio di anni fa una ragazza ha vissuto come vivo io. Poi è morta. Io sono il presente, ma so che anch’io me ne andrò. L’istante sublime, la fiamma che consuma arriva e subito scompare: sabbie mobili, sempre.
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C’è qualcosa che mi sta aspettando. Forse un giorno avrò una rivelazione improvvisa e potrò vedere l’altra faccia di questo enorme, grottesco scherzo. E allora riderò. E saprò cos’è la vita.
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Se nelle canzonette si sostituisse la parola "amore" con "desiderio", ci si avvicinerebbe molto di più alla verità…Quale ironia. Sei un sogno: spero di non incontrarti mai. Ma il tuo braccialetto è il simbolo del mio sangue freddo, la mia scissione della sera.
Ti amo perché tu sei me, quello che scrivo, il mio desiderio di vivere molte vite. Nel mio piccolo sarò un piccolo dio.
Sulla scrivania, a casa, c’è il racconto più bello che io abbia mai scritto.
Come posso dire a Bob che la mia felicità scaturisce dall’essermi separata da una parte della mia vita, una parte di dolore e bellezza, per trasformarla in parole scritte a macchina su un foglio?
Come può sapere, lui, che io giustifico la mia vita, le mie forti emozioni, le mie sensazioni, trasferendole sulla carta stampata?
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La scrittura è un rito religioso: è un ordine, una riforma, una rieducazione al riamore per gli altri e per il mondo come sono e come potrebbero essere. Una creazione che non svanisce come una giornata alla macchina da scrivere o in cattedra. La scrittura resta: va sola per il mondo. Tutti la leggono, vi reagiscono come si reagisce a una persona, a una filosofia, a una religione, a un fiore: può piacergli o meno. Può aiutarli o meno.
La scrittura prova delle emozioni per dare intensità alla vita: offri di più, indaghi, chiedi, guardi, impari e modelli: ottieni di più: mostri, risposte, colore, forma e sapere. All’inizio è un atto gratuito. Se ti fa guadagnare tanto meglio. […]
La cosa peggiore, peggiore di tutte, sarebbe vivere senza scrittura.