sabato 8 aprile 2017

Viole nere

Viole nere, poesie e racconti scelti (Tess Gallagher)

Tess non è soltanto la "moglie di" Carver, è un'ottima poetessa e scrittrice, le sue viole nere fioriscono nel buio dell'anima, quando le cose si illuminano per un'epifania improvvisa, quando il nostro respiro si fonde con quello dell'universo. Le viole nere sono profumate, misteriose, inebrianti, notturne, lunari, sono tutte le parole che non riusciamo a pronunciare di giorno perché ci fanno paura, hanno il profumo dei sogni e della nostra parte più vera e segreta, quella che fiorisce soltanto di notte, quella che la luce del giorno respinge nei sentieri oscuri e tortuosi del cuore, la più autentica.
Poesie intense e splendidi racconti, questo libro è un piccolo gioiello da leggere.


Se dico «viole nere» la nostra prima notte
è quasi abbastanza buia da attrarre la pioggia diurna
allo scintillio nomade del ricordo e io posso
tornare lì, portando amore
all’amore nella stessa stanza dove il suo estremo cuore
ha ceduto la sua invisibile ambra. È vero,
lui è in me sempreverde e io ne faccio verde uso
per amarti a ritroso attraverso la morte
e di nuovo in vita […] le viole
di cui ci nutriamo a vicenda petalo dopo vellutato
petalo per far durare la notte abbastanza a lungo
perché questo cuore rinnovato si apra a noi nell’oscurità
di sangue
fin nella sua più remota stanza.

Completamente

A quei tempi il mio spirito un'ape -
il mondo, un gigantesco ronzio che sbavava
dolcezza. Dolce da scoppiare.
Amore davanti. Amore sotto di me.
Ma soprattutto, l'estasi contraria
mi rimbalzava dentro - lo sterile fracasso
che l'amore alla fine fa mentre s'avvia al silenzio.
Completamente - esser distrutta nel regno
dei fiori. Completamente fradicia, trafitta
in un vuoto di pace.
Senza ricordare carezza esterna
o tenera occhiata.
È così che succede scontrandosi con l'essenza
senza volto del cuore. Non ci sono contorni. Solo
un invivibile carminio. Solo l'affollato braille
di un'impavida premonizione
che porge goffa l'altra guancia.

Letter to a Kiss That Died for Us

Sto scrivendo le tue memorie.
È come abbandonare il mondo
eppure trovarti ancora lì
come ci hai ricevuto e formato,
diventando all’istante irripetibile.
Continuo a pensare di poter scrivere una guancia
contro di te, se non proprio labbra. Una guancia magnetica
in modo che il suo clangore riecheggi
per un po’. T’induco in tentazione con nudità
in terrazza, con i tamburelli, con tutti i miei vezzi
da gitana. Con gli slanciati fianchi del desiderio
induco in tentazione te che te ne sei andato per sempre,
un pensiero che riesco a formulare
perché questa lettera è scritta
al di fuori di qualunque morte.

Dai racconti

"In preda al flusso pulsante e crudo di un linguaggio di cui non avrei saputo rendere conto, vegliai per tutta quella lunga notte e parlai con mio padre come si potrebbe parlare con l'oceano o col vento. Attraverso quello sfilacciato accompagnamento gli feci sapere che i ritmi dell'immensità in cui stava per entrare avevano la loro eco anche in me. Che non doveva sentirsi abbandonato. Che stavo per lasciarlo andare. Che fino a quel momento avevo sempre rinnegato il malfamato mondo dei ballerini e degli ubriaconi, dei giocatori d'azzardo e degli amanti dei cavalli, anche se a quel mondo, sicuramente, appartenevo anch'io. Ma che da quella notte in poi facevo voto di riempirmi della prima brutta voglia che mi avrebbe preso. Di tuffarmi nel cuore della mia vita e lì perdermi, inesorabilmente e per sempre."

"Il profumo dolce e soffocante dei gigli creava una corrente invisibile che attraversava la stanza e , benchè i fiori sembrassero segnalare una tristezza contro la quale non posso nulla, mi sono chinata all'indietro e ho respirato a pieni polmoni quella fragranza.
(...) Mi sono accorta che la nebbia aveva cominciato a circondare la casa. Potremmo essere ovunque, ho pensato.
Ovunque. Ma siamo qui."


"A quel punto mi svegliai di scatto. Faceva talmente caldo dentro casa che non pensai neanche a infilarmi la vestaglia, ma scesi di sotto al buio. Stranamente il mio sogno s'era intersecato con la realtà: Norman se ne stava davvero in piedi sotto gli alberi. Aprii la zanzariera e scesi i gradini della veranda avviandomi verso di lui. Non dissi niente, ma ebbi la sensazione che sapesse che ero lí. Le case ormai erano tutte al buio e gli aceri, con la brezza leggera che s'era levata, stormivano pian piano sopra di noi, uno stormire che avrebbe potuto benissimo provenire dalle stelle che ora erano visibili e rilucevano con calma intermittente in cielo. Avrei dovuto sentire freddo nell'aria notturna e, invece, niente. Mi sono resa conto che stavo mormorando parole di consolazione mentre ero lí in piedi accanto a Norman. Non mi preoccupavo affatto di essere nuda, come se, in un certo senso, stessi ancora sognando ed ero protetta dalla cecità del mondo ai sogni. Era uno di quei momenti di passaggio in cui la vita trabocca, eppure in qualche modo riesce a mantenere la propria forma. Norman si staccò dall'albero e disse: - Sei tu? - Sí, risposi. Poi gli misi la mano sotto al gomito e, come se il mondo intero ci stesse guardando e non guardando, condussi le nostre bellissime teste nel buio attraverso un labirinto di stelle, fin dentro alla mia casa immersa nel sonno".

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